Cattivi, crudeli, assassini: il caso dei Rottweiller di Manziana ci richiama alla parola “responsabilità”

La morte di Paolo Pasqualini, aggredito da tre Rottweiler a Manziana vicino Roma, ha riaperto un dibattito sulle razze di cani considerate "pericolose" che va avanti da anni senza trovare una soluzione.

15 Febbraio 2024
18:07
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Quel cane è pericoloso. Quei cani uccidono. Quei cani vanno abbattuti. I cani come i Rottweiler, i Pitbull o gli Amstaff, i Dogo Argentini e altre tipologie come questi, ovvero Terrier di tipo Bull e molossoidi, sono cattivi, crudeli. Quei cani… sbranano.

La morte di Paolo Pasqualini, a Manziana vicino Roma, a causa dell’aggressione di tre Rottweiler ha riaperto un dibattito che va avanti senza trovare mai una soluzione chiara e condivisa tra l’opinione pubblica, mentre le istituzioni latitano. Succede in Italia ma anche in altre parti del mondo, in cui si continua a puntare l’attenzione della cronaca nazionale non sulla dinamica, il contesto e soprattutto la prevenzione ma su un massificante preconcetto che viene puntualmente esasperato dal modo in cui si parla di questi terribili accadimenti.

Quando una persona perde la vita a causa del comportamento aggressivo di un animale il faro viene puntato su quest’ultimo come se fosse una persona: trattiamo l’argomento alla stregua di un omicidio, ovvero come se un essere umano abbia assassinato un altro essere umano.

È successo già a Satriano, in Calabria: vi ricordate? Caso che Kodami ha seguito con una inchiesta, ritornando diverse volte sul luogo e parlando anche con il papà di Simona Cavallaro, la 19enne che ha perso la vita dopo l’incontro nefasto con alcuni cani da pastore lasciati incustoditi dalla loro persona di riferimento.

Come per Satriano, dunque, siamo qui per dirvi che la responsabilità della morte di Pasqualini e di chiunque abbia perso la vita a causa del comportamento aggressivo di uno o più cani è nostra. È di chi quei cani deve conoscerli e seguirli con la diligenza del “buon padre di famiglia” se proprio vogliamo semplificare il ragionamento e ricondurlo nell’alveo delle regole di convivenza sociale che sono comprensibili per la nostra specie.

Come spiega Laura Arena su Kodami, veterinaria esperta in benessere animale e membro del nostro comitato scientifico, «una delle sfide che viviamo trasversalmente in tutti i paesi nell’ambito della Salute Unica e della convivenza con gli animali è la riduzione e la prevenzione di incidenti derivanti da morsicature o aggressioni causate da cani».

E così ritiene anche l’etologo e fondatore dell’approccio cognitivo zooantropologico Roberto Marchesini, che abbiamo intervistato e che su quanto accaduto dice: «Tre Rottweiler in un giardino rappresentano un “codice rosso”: un monitoraggio serio sul territorio da parte delle Asl avrebbe carattere preventivo. Se sono poche le persone che possono permettersi di tenere un Rottweiler figuriamoci quelle che ne possono tenere tre».

Le asl, appunto. Assenti anche nel caso di Satriano, oberate dalla burocrazia che è il male assoluto in ogni campo, non solo in quello della tutela umana e degli altri animali.

Mettendo da parte le emozioni, dunque, bisogna comprendere che fin quando non usciremo dalla logica del “tutto è permesso” e “nessuno controlla davvero”, parlare di “razze pericolose” e continuare a schierarsi tra chi dice “ci vuole il patentino” e chi lo avversa non servirà a nulla se nessuno forma chi deve formare e appunto se non vi è attenzione e serietà per far sì che per prima cosa si lavori sulla prevenzione e non sulla punizione.

Che poi è ampiamente dimostrato – visto che la fine di Paolo Pasqualini non è un unicum purtroppo – che l’inconsapevolezza di chi vive con un cane a fianco senza conoscerne la storia della razza, le motivazioni e la personalità del singolo individuo saranno sempre il primo motivo per cui si può arrivare a un evento così estremo e orribile.

Diverse nazioni hanno deciso di legiferare riguardo la convivenza con il cane a seconda della sua appartenenza ad una razza. Nel Regno Unito, è notizia di questi giorni, il Governo ha deciso di vietare la razza American Bully XL perché considerata "letale”. Per questo motivo allevatori e pet mate hanno cominciato a svendere le cucciolate sui social o ad abbandonare individui, anche adulti, nelle campagne. Si è arrivati al punto che per continuare a vivere con loro è necessario avere richiesto apposite certificazioni, ma chi invece decide di sbarazzarsi dell’animale potrà ricevere un indennizzo di circa 200 euro per farlo sopprimere.

Insomma, li creiamo come li desideriamo e poi quando non sappiamo come gestirli, si arriva a eliminarli con tanto di incentivo governativo. 

Questo è l’esempio più recente, ma nel tempo sono state create liste di cani classificati come pericolosi o potenzialmente pericolosi ovunque nel mondo. Anche in Italia questa cosa è avvenuta, ma nel 2009 la cosiddetta “Ordinanza Martini” ha bloccato tutto, affermando – per  fortuna rispetto a come era stato concepito il dettato normativo – che “come confermato dalla letteratura scientifica di Medicina Veterinaria, non è possibile stabilire il rischio di una maggiore aggressività di un cane sulla base dell'appartenenza a una razza o ai suoi incroci”.

Nel nostro paese si attribuisce sempre all’umano la responsabilità del benessere del comportamento dell’animale ed è un principio sacrosanto ma è ora di attribuirci una responsabilità altra che ci deve essere a monte per togliere ogni “sospetto” sull’umanizzazione del cane nel vederlo – se ci pensate bene – come un oggetto, un banale strumento che a un certo punto si rompe… del resto così come le nostre leggi lo considerano ancora.  E questa responsabilità sì che deve essere imposta dall’alto con un’azione che miri alla valutazione degli esseri umani ancora prima che a quella dei cani.

Un Rottweiler non è per tutti, punto e basta. Se lo desidero accanto a me devo dimostrare di volerlo conoscere fino in fondo e di rispettarlo come individuo dotato di cognizioni e emozioni che fanno parte anche del suo patrimonio genetico.

Potremmo mai dire che un italiano è identico a uno svedese? No, abbiamo culture diverse e poi, cosa non da poco, personalità diverse: ognuno è unico e ognuno è anche frutto dell’educazione ricevuta e dell’humus in cui è nato e cresciuto.

Allora, se proprio vogliamo fare un parallelo con gli esseri umani, proviamo a pensarla così e non potremmo che essere d’accordo: nella parola “responsabilità” va incluso un percorso preventivo di profonda conoscenza nella scelta del tipo di cane che si adotta e un altrettanto fondamentale coinvolgimento delle istituzioni per far sì che questa sia la regola da seguire.

Altrimenti continueremo a piangere la morte di altre persone ancora e a stigmatizzare, nella costante demagogia tipica della nostra specie, alcuni cani come… cattivi, crudeli e assassini.

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Diana Letizia
Direttrice editoriale
Giornalista professionista e scrittrice. Laureata in Giurisprudenza, specializzata in Etologia canina al dipartimento di Biologia dell’Università Federico II di Napoli e riabilitatrice e istruttrice cinofila con approccio Cognitivo-Zooantropologico (master conseguito al dipartimento di Medicina Veterinaria dell’Università di Parma). Sono nata a Napoli nel 1974 e ho incontrato Frisk nel 2015. Grazie a lui, un meticcio siciliano, cresciuto a Genova e napoletano d’adozione ho iniziato a guardare il mondo anche attraverso l’osservazione delle altre specie. Kodami è il luogo in cui ho trovato il mio ecosistema: giornalismo e etologia nel segno di un’informazione ad alta qualità di contenuti.
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