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15 Febbraio 2024
11:53

Pasqualini, ucciso da tre Rottweiler. Roberto Marchesini: «Patentino utile, ma la prevenzione è la strada da seguire»

Roberto Marchesini, etologo e fondatore dell'approccio cognitivo zoo-antropologico, spiega a Kodami le caratteristiche dei Rottweiller, la percezione dell'opinione pubblica e come si potrebbe agire in prevenzione dopo la terribile morte di Paolo Pasqualini. «Fondamentale è uscire dalla demagogia ed essere pragmatici: usciamo dalla visione che i cani aggrediscono solo se vengono maltrattati, perché non è così».

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Quanto accaduto a Manziana, dove è morto domenica scorsa Paolo Pasqualini a causa dell'attacco di tre Rottweiller mentre stava facendo jogging, è ancora oggetto di indagine. Al netto dunque dei punti da chiarire – primo tra tutti come abbiano fatto i cani a uscire dal cancello della proprietà che sorge a poca distanza dal luogo della tragedia – ciò che è accaduto ha inevitabilmente riacceso i riflettori su determinate razze, molossoidi in particolare, e sulla loro gestione.

In Italia a oggi non esiste un elenco di razze identificate come “pericolose” dopo l’abolizione di una circolare del Ministero (nel 2009), ma da tempo si dibatte sulla possibilità di introdurre ufficialmente un patentino per coloro che decidono di adottare cani di razze particolarmente impegnative da gestire, come avviene ad esempio nel Comune di Milano.

Ne abbiamo parlato con Roberto Marchesini, filosofo, etologo e fondatore dell'approccio cognitivo-zooantropologico.

«Nella mia vita ho avuto Rottweiler, e so che sono cani che hanno determinate caratteristiche – spiega a Kodami – non si può ignorare il fatto che è un cane che, al di là di come viene educato, è un cane che ha caratteristiche che non possono essere completamente eradicate dall’educazione. Chi prende un Rottweiler deve sapere che ha a che fare con un cane che non è un Labrador, deve conoscere le attitudini della razza, perché sono dentro di lui e in qualsiasi momento possono essere attivate. È indispensabile conoscere bene le esigenze e le caratteristiche di quel cane, la memoria di razza. L’educazione serve a indirizzare determinate tendenze, ma non ad annullarle».

«Dalla mia esperienza – prosegue Marchesini – il Rottweiler ha bisogno di avere vicino una persona che sia una guida sicura, un punto di riferimento costante. Se l’umano che ha al suo fianco è una guida sicura, che può indirizzare e controllare determinate espressioni, è un cane meraviglioso. Non è una definizione corretta sostenere a priori che sia un cane pericoloso, ma è certamente un cane con esigenze particolari che possono diventare pericolose se non vengono indirizzate e gestite. Non è un cane per tutti: ho avuto tanti cani di tante razze, e so benissimo che un Jack Russell ha determinate tendenze e che devo lavorarci sopra e capirle, idem il Labrador. Non si può pensare che l’appartenenza a una determinata razza si possa cancellare, l’espressione comportamentale è sempre dovuta a tre fattori: il fattore ereditario, che è quello genetico, l’educazione che ha ricevuto e la capacità di indirizzo, e il campo espressivo che la persona dà al cane».

Il patentino potrebbe essere una soluzione? «Potrebbe esserlo se viene fatto in modo serio – riflette Marchesini – se diventa un mero aspetto burocratico non risolve nulla, e non fornisce garanzia che poi la persona si comporti in modo corretto».

Quale potrebbe essere dunque la strada da seguire per una corretta convivenza? «Sarebbe più importante – precisa l'etologo – visto che tutti i cani vengono registrati attraverso il chip e le Asl sono al corrente del fatto che una persona ne ha due, o tre, andare a fare una valutazione effettiva sulla situazione. Per quanto mi riguarda, tre Rottweiler in un giardino rappresentano un “codice rosso”: un monitoraggio serio sul territorio da parte delle Asl avrebbe carattere preventivo. Se sono poche le persone che possono permettersi di tenere un Rottweiler figuriamoci quelle che ne possono tenerne tre. La valutazione delle situazioni di rischio è fondamentale, così come è fondamentale uscire dalla demagogia ed essere pragmatici: usciamo dalla visione che i cani aggrediscono solo se vengono maltrattati, perché non è così. La questione è molto più complessa e sfaccettata, anche se è certamente vero che in alcuni casi l’isolamento sociale, che è di fatto un maltrattamento, è un secondo fattore che può incentivare».

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Andrea Barsanti
Giornalista
Sono nata in Liguria nel 1984, da qualche anno vivo a Roma. Giornalista dal 2012, grazie a Kodami l'amore per gli animali è diventato un lavoro attraverso cui provo a fare la differenza. A ricordarmelo anche Supplì, il gatto con cui condivido la vita. Nel tempo libero tanti libri, qualche viaggio e una continua scoperta di ciò che mi circonda.
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