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8 Gennaio 2021
18:00

Le Iene e il randagismo, è ora di andare oltre il pietismo

Il 22 dicembre 2020 viene trasmesso un servizio di Cizco, "Vita da cani", che affronta il fenomeno del randagismo. Il focus è su alcune zone del sud Italia e su come operano delle volontarie recuperando e ricollocando in adozione i cani che si trovano sul territorio. Il servizio, lungo e pieno di spunti di riflessione, riporta una serie di inesattezze nonché di messaggi abbastanza fuorvianti sui cani liberi e il randagismo viene considerato nella sua accezione più negativa.

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Istruttrice cinofila
hanno collaborato: Stray Dogs International Project E Matteo Castiglioni
Associazione studi sul randagismo e istruttore cinofilo
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Lo scorso 22 dicembre 2020 viene trasmesso un servizio de “Le Iene”, intitolato "Vita da cani" e firmato da Cizco , che affronta il fenomeno del randagismo. Il focus è su alcune zone del sud Italia e su come operano “normalmente” delle volontarie recuperando e ricollocando in adozione i cani che si trovano sul territorio. Il servizio, lungo e pieno di spunti di riflessione, riporta una serie di inesattezze nonché di messaggi abbastanza fuorvianti sui cani liberi e il randagismo viene considerato nella sua accezione più negativa.

Il randagismo è un fenomeno sociale e culturale molto complesso che andrebbe analizzato da tanti punti di vista. E prima di fornire delle informazioni e delle soluzioni bisognerebbe comprenderne la natura e non limitarsi solo ad etichettarlo come un “problema” da risolvere.

Il “terzo mondo” e la visione occidentale dei cani

Il servizio de Le Iene si apre con immagini orribili di altri paesi del mondo in cui i cani vengono massacrati. Non occorre essere animalisti per comprendere e rigettare tanta barbarie. Ma far vedere delle foto o dei video che arrivano da alcune parti del Sud del mondo senza contestualizzare i fatti fa cadere in un luogo comune che è quello di considerare i paesi meno progrediti come carenti in merito alla tutela e al benessere animale. E nel montaggio così come è stato impostato si trasmette prima il messaggio di voler mettere in evidenza paesi "più civili" come il nostro, dove «i cani vengono vestiti e portati in vacanza al mare con noi». Ma subito si capisce che è un escamotage narrativo che non spiega nulla di ciò che accade in altre nazioni e serve solo a far entrare lo spettatore nel vivo del servizio per dire, sostanzialmente, che anche in Italia la situazione è comunque molto difficile. Si mettono in un unico calderone argomenti delicati che riguardano culture diverse e superficialmente si induce solo una sorta di senso di colpa generico e non una riflessione e un approfondimento sul cane in altre realtà prima di affrontare quella italiana.

I cani nel mondo, l’esempio della Turchia

Perdere di vista la differenza di specie tra gli esseri umani e i cani, costringendoli spesso ad una vita a misura d’uomo a scapito della loro caninità non è solo etologicamente poco corretto ma potrebbe in parte far avere un’idea di benessere apparente che nulla ha a che fare con le reali necessità e attitudini di un soggetto. Non è infatti inusuale in paesi come la Turchia, per fare un esempio, che i randagi vivono tutelati, monitorati, censiti e curati sul territorio e che il rispetto per questa specie passa principalmente dalla sinergia fra le istituzioni, gli enti preposti e i cittadini. Nelle immagini di Cizco questo aspetto di confronto tra diversi modi di approcciare tra una realtà data per scontata come “barbara”, perché appartenente a paesi poco industrializzati, e la nostra viene però completamente taciuta. Eppure l’attacco serve per imprimere sugli spettatori una visione pietistica supportata poi da quello che segue.

Una cosa che invece dal servizio per fortuna emerge chiaramente è che in Italia vi è appunto proprio una carenza di impegno se non addirittura la latenza totale di enti e organi competenti. Una scarsa collaborazione e comunicazione tra le figure istituzionali rivolta alla cura degli animali vaganti e quanto invece il grande lavoro del volontariato attivo spesso è abbandonato a se stesso.

Ma quanti sono i cani liberi al mondo?

L’Onorevole Brambilla, intervistata da Cizco, parla di un “problema randagismo” di cui si ignorano i “conteggi” e quindi le stime. Veniamo allora ai numeri che effettivamente non ci sono ma che possono però almeno in linea generale chiarire chi sia davvero il cane che abita sul nostro pianeta. L’ 80% dei cani nel mondo viene definito “stray dogs”, ossia cani liberi che ruotano intorno la vita dell’uomo senza farne parte integrante. Il restante 20% della popolazione mondiale dei cani vive con noi, in famiglia. Le stime sulla popolazione dei cani nel mondo sono svariate e ci offrono un ventaglio numerico molto ampio. C'é chi presenta numeri globali che vanno da "piú di 2 milioni nel mondo" a circa 900 milioni. Dobbiamo però considerare che sono appunto solo stime, spesso prive di fonte e senza una metodologia dichiarata e che sia valida per la raccolta dati. L'unico modo per poter avere un numero affidabile, e che quindi non si discosti troppo dalla realtà né in difetto né in eccesso, é il censimento. In un paese civile questo dovrebbe essere svolto a livello locale, i dati dovrebbero essere trasmessi a livello centrale e poi rendicontati a livello più ampio per poter arrivare a delle stime globali che siano attendibili.

Siamo davvero certi, però, che l’immagine del cane che vogliamo mettere in risalto su una rete nazionale è quella di un animale col cappottino o portato in una affollata spiaggia a 40 gradi? E soprattutto: dobbiamo farlo per forza a discapito dei cani liberi mostrati invece come reietti e bisognosi di essere “salvati”? Sono proprio queste antropomorfizzazioni e questa incapacità di considerare il cane nella sua peculiarità di specie a trasformarlo in surrogato umano. Una deriva che porta spesso alla maggior parte delle problematiche relazionali e delle cause per cui un professionista, dal veterinario esperto in comportamento all’educatore e istruttore cinofilo, viene interpellato.

Il duro lavoro dei volontari: emergenza costante tra polemiche, adozioni non consapevoli e assenza di formazione

Un altro punto da chiarire è indubbiamente sul lavoro puntualmente emergenziale che il volontariato si trova a fare sul territorio. Nessuno vuole in alcun modo negare l’importanza e il grande valore dei volontari che sono il cuore pulsante di strutture e rifugi. E nessuno vuole negare, proprio perché consideriamo il randagismo un fenomeno da indagare in maniera ampia anche da un punto di vista ambientale, che ci siano dei territori più difficili di altri. Però dobbiamo provare a considerare alcune cose senza scadere nel pietismo e nell'assistenzialismo che emerge prepotentemente dal servizio de Le Iene ma cercando di fare un’analisi reale.

Spesso il lavoro di queste persone, a volte strutturate in associazioni altre basato su catene di contatti e amicizie nate proprio per l’amore per gli animali, nasce in contesti in continua emergenza per sopperire le mancanze di Comuni ed enti che per legge sono tenuti a lavorare sul territorio di competenza. Concentrarsi solo su questo però senza avviare delle azioni sul territorio di apertura, accettazione, sensibilizzazione e presa in carico di responsabilità da parte delle singole istituzioni diventa solo un tentativo quasi mai riuscito di arginare le cose da un punto di vista demografico.

La sola sterilizzazione così come far adottare cani in altre zone rispetto a quelle in cui sono stati recuperati rappresentano le soluzioni più comuni ma che si risolvono puntualmente solo in un parziale allungamento del fenomeno che non può essere contenuto se non lo si analizza da un punto di vista scientifico. I cani definiti “randagi” sono principalmente cani padronali che vagano sul territorio, cucciolate indesiderate, cani da caccia e cani da pastorizia in sovrannumero o ritenuti inadatti al lavoro e infine veri e propri abbandoni di proprietà. E’ in questa fetta di numeri che l’azione sul territorio deve iniziare ad andare a concentrare i suoi sforzi ma, soprattutto, dirigendosi poi verso una visione più ampia del fenomeno: non un mero controllo demografico in termini di numeri, ma veri e propri censimenti e monitoraggi delle specifiche situazioni.

La mamma, il cucciolo e l’importanza di non separarli

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uno screenshot del servizio de Le Iene con il primo piano della mamma

Una parte del lavoro deve essere proiettata all’assunzione di responsabilità da parte delle istituzioni e alla comunicazione e cooperazione tra tutti i soggetti attivi, così come alla formazione dei volontari che monitorano il territorio e a una corretta informazione da parte dei media. Esistono, ad esempio, gruppi familiari in cui “catturare un cucciolo per il suo bene” in realtà non servirà a nulla se non probabilmente a rompere il delicato equilibrio di un gruppo. Sono necessarie, infatti, conoscenze pregresse per occuparsi di una specie tanto diversa dalla nostra come quella dei cani, così come diverse dovrebbero essere le figure professionali in ballo che il solo volontariato non può ricoprire.

C’è un passaggio, in particolare, nel servizio de Le Iene che provoca orrore dal punto di vista proprio della scarsa conoscenza dell’etologia canina. Cizco e le volontarie trovano dei cuccioli in uno stabile abbandonato e la telecamera indugia sul volto della madre che li guarda, con in sottofondo una “traduzione umana” da parte del cronista di quello che la cagna sta provando. A parte la spettacolarizzazione di un dolore, cosa che non andrebbe fatta né per gli esseri umani né tantomeno per gli altri animali, i successivi passi che vengono mostrati al fine di arrivare all’adozione del cucciolo non corrispondono ad un'idea di reale benessere del cane. Per quanto l’azione sembri lecita e necessaria, infatti, lo svezzamento di un cucciolo non corrisponde all’essere subito pronto alla vita. Soprattutto nei cani liberi che hanno la possibilità di crescere nelle prime fasi della vita in gruppi familiari, un cucciolo fa un apprendistato più lungo e toglierlo dalle cure parentali precocemente, seppur per la migliore adozione del mondo, potrebbe significare avere diverse difficoltà in futuro da un punto di vista comportamentale. Cosa che ci auguriamo non accada per quel soggetto, ovviamente.

«I più fortunati arrivano in canile e saranno adottati»: il messaggio più sbagliato

Un’ultima ma importante riflessione è su un messaggio che viene veicolato attraverso il servizio de Le Iene: «I più fortunati arrivano in canile e saranno adottati». Chiunque con un po’ di buon senso non immagina esattamente il canile come un albergo a cinque stelle. E non solo perché i rifugi sono spesso costruiti a misura d’uomo e non di cane con spazi ristretti, iper vicinanza fra cani, stress, deprivazione ambientale e di conseguenza dell’uso dei sensi, iper stimolazione olfattiva, etc. Ma perché non si tiene conto di un assunto fondamentale: il cane è un animale sociale. Questo significa che nella maggior parte dei casi, appunto quando non si parla di animali in evidente stato di difficoltà e che necessitano di un intervento, un cane viene prelevato da un gruppo familiare in cui ci sono tutti i suoi riferimenti e poi messo in una struttura con dei perfetti estranei senza alcun legame. Accade in molti rifugi, fatta eccezione che per i cuccioli che vengono invece isolati o a cui viene data la sola possibilità di avere interazioni con altri cani, pressoché sconosciuti con incontri intermittenti e poco proficui.

Ci sono però, bisogna sottolinearlo, moltissime strutture sparse lungo lo Stivale che sono rifugi davvero virtuosi. Posti all’interno dei quali operano volontari e professionisti che hanno a cuore il benessere dei cani e che agiscono lungo una filiera chiara e trasparente anche per i cani che provengono da altre zone. Persone che mettono a disposizione non solo un luogo fisico ma un lavoro di equipe che coinvolge più figure: a partire da chi trova o segnala il cane sino a coloro che se ne occuperanno dove verrà ospitato in attesa di adozione. E questo è lo snodo cruciale che dovrebbe spingere ognuno a collaborare e a fare rete per un obiettivo comune.  L’obiettivo finale deve essere collocare un cane in un’adozione ottimale in termini di famiglia e contesto ambientale, favorendo la sua permanenza in rifugio con esperienze che aiutino ad accrescere la sua adottabilità e le attività giuste nel tempo di latenza. L’obiettivo non è solo allora che un cane trovi una famiglia ma che possa condurre una vita gratificante in generale e che, soprattutto, non rientri in struttura.

Soccorrere i cani, assolutamente sì: ma farlo correttamente

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Tutto quanto scritto sin d’ora non esclude, anzi si spera che dovrebbe mettere sotto una luce ancora più forte, il grande lavoro dei volontari. E’ importantissimo infatti che chi di competenza intervenga e collabori con queste persone così integrate sul territorio nel prelevare gli animali che davvero sono in difficoltà: i soggetti che hanno bisogno di cure mediche, i cani incidentati o incapaci di rimanere liberi perché un pericolo per sé e per gli altri. Ma, ancora una volta ,e sperando che questo lungo articolo abbia chiarito almeno qualche aspetto solo leggermente toccato dal servizio televisivo, non si può generalizzare il fenomeno del randagismo. E rimane un dato di fatto: prelevare a caso e indiscriminatamente cani in piccoli gruppi può significare l’esposizione a reali pericoli che toccano anche le comunità di esseri umani. Si pensi a cani che non avevano intenzione di avvicinarsi all'uomo ma sono stati indotti da persone che in buona fede hanno distribuito cibo in prossimità di centri abitati e a quante volte poi si ha notizia di avvelenamenti seriali anche nella nostra civile Italia.

Le adozioni da Sud a Nord: come, quando e perché

Infine, come se non bastassero i tanti spunti di riflessione determinati dal servizio su Italia 1, si accenna pure al fenomeno delle staffette da Sud a Nord. Bene, nessuno vuole puntare il dito su questa pratica ma è utile che si ragioni sul come, quando e perché valga la pena di movimentare dei cani nati e cresciuti su un territorio in libertà in contesti metropolitani dove dovranno vivere una vita completamente diversa per ragioni già solo legate al rapporto tra la vita in periferia o in campagna e le grandi metropoli. Un altro messaggio  scorretto che ancora una volta emerge dal servizio è sul come viene gestita la filiera di un'adozione: 35 ore di viaggio con i cani e consegnati alle nuove famiglie come “pacchi” in snodi autostradali in prossimità di servizi di rifornimento. Soggetti catapultati in case di perfetti sconosciuti in cui, sia chiaro, ci auguriamo che si adattino velocemente e senza intoppi.

E’ molto commovente vedere le lacrime delle famiglie che attendono il loro cane ma se proprio i cani potessero dirci come si sentono, proverebbero le stesse emozioni? Perché quando si grida alle adozioni consapevoli con lo slogan “Un cane è per sempre” come punto di forza delle sacrosante “adozioni responsabili" dovremmo avere però anche la coerenza di gridare altrettanto forte che i cani non hanno scelto dove andare. Siamo noi che abbiamo deciso di tessere una relazione con loro e, come in qualsiasi amicizia che si rispetti, si dovrebbe quantomeno passare prima attraverso degli incontri di conoscenza reciproca.

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