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5 Gennaio 2021
15:55

Dieci milioni di euro per i canili, ma è solo la punta dell’iceberg

Stanziati dei fondi rivolti alla messa in opera di azioni che modifichino strutturalmente i canili e i rifugi. Ma destinare dei soldi non è l'unico modo per cambiare l'approccio al randagismo: c'è bisogno di una visione d'insieme che vada a toccare nel profondo l'assenza delle Istituzioni nella gestione dei cani liberi nella speranza che si riesca ad arrivare a una nuova legge che tuteli il benessere degli animali.

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Del randagismo non se ne occupa il suo Ministero, ma quello della Sanità. Sergio Costa, però, titolare del dicastero dell'Ambiente, ha postato su Facebook una notizia: un fondo da 10 milioni di euro rivolto ai gestori di canili. L'accesso ai finanziamenti, secondo quanto specifica il ministro Costa, servirà «per mettere a norma i rifugi per cani randagi nel caso non rispettino i requisiti edilizi o sanitari-amministrativi o per costruirne di nuovi».

«Come sapete non mi occupo mai di temi che non sono di mia competenza, ma oggi voglio fare un'eccezione. Come sapete sono sempre stato sensibile alle tematiche che riguardano gli animali e per questo voglio ringraziare le parlamentari del Movimento 5 stelle Daniela Torto e Loredana Russo per aver portato questa norma importante in legge di bilancio – scrive Costa – Molti di voi mi hanno chiesto aiuto per affrontare il tema del randagismo che in tante città è purtroppo molto presente. Finalmente garantiamo ai comuni in dissesto o pre-dissesto 10 milioni di euro per mettere a norma i rifugi per cani randagi nel caso non rispettino i requisiti edilizi o sanitari-amministrativi, o per costruirne di nuovi. Non è un discorso di buon senso ma di dignità, che va garantita sempre e comunque. Questo è il primo passo per arrivare ad affrontare in modo definitivo il problema del randagismo».

I canili, il fondo e i dubbi su una gestione scorretta che viene da lontano

Nel post del ministro dell'Ambiente si toccano superficialmente, in realtà, diversi aspetti di un fenomeno che viene definito "randagismo" ma che non nasce e finisce di certo nei canili italiani. Su Kodami abbiamo pubblicato un primo articolo della nostra esperta in Benessere animale, la dottoressa Laura Arena, che spiega i diversi tipi di cani che vivono su un territorio e in cui distingue chiaramente quali sono i soggetti che privi di un riferimento umano possono avere problemi e necessitano di un supporto e quali no. Nei canili come li conosciamo oggi, però, ci sono cani di ogni tipo e di ogni provenienza, molti dei quali vivevano sul territorio e non avevano alcuna necessità di entrare in contatto con gli esseri umani. Per le loro caratteristiche specifiche e storie di vita malamente private della libertà, in tanti non hanno speranze di essere adottati e avrebbero potuto continuare a vivere lontano dalle sbarre. Altro discorso, chiaramente, vale per i cani che invece sono stati maltrattati o abbandonati e che loro malgrado rimangono spesso in luoghi di reclusione a vita dove, come giustamente ha scritto Costa, tutelarli e accoglierli al meglio è «una questione di dignità».

Il fenomeno del randagismo, insomma, da un punto di vista organizzativo è la storia di una lunga carenza e assenza da parte delle Istituzioni. Un "non fare" che viene da lontano e che ha coinvolto migliaia di individui. I canili italiani nascono, infatti, nel 1991 con la legge 281 che all'epoca era una normativa all'avanguardia in Europa perché aboliva l'utilizzo dell'eutanasia dei cani in Italia a fronte della nascita di strutture di accoglienza. Ma oggi, invece, è una legge che non ha avuto applicazione pratica nel suo dettato più profondo, eticamente corretto ma rimasto su carta. Una legge obsoleta e che dovrebbe essere rivista nell'ottica di rifugi che siano luoghi di passaggio e in cui l'ambiente sia sempre e davvero a misura di cane.

E' così senz'altro importante destinare dei soldi perché i titolari e i gestori operino un cambiamento funzionale dal punto di vista strutturale perché sia prima di tutto garantito il benessere degli ospiti, ma bisognerebbe allo stesso tempo ricordare che una visione davvero moderna e in linea con le aspettative di vita di un soggetto dovrebbe puntare al consentirgli di andare via da quel luogo e non che questo venga trasformato semplicemente  in un centro di reclusione a vita solo "più decoroso". I soldi pubblici, inoltre, possono essere spunto di business non volti alla tutela degli animali: la cronaca lo ha già dimostrato con inchieste in cui lo Stato per primo – e dunque i cittadini stessi – è stato truffato da persone senza scrupoli che sulla pelle degli animali hanno fatto affari milionari.

Un tavolo comune, il randagismo come questione sociale e culturale

Una ultima considerazione, così, e allo stesso tempo un augurio è di ritornare a quel concetto di libertà che riguarda l'80% dei cani al mondo, sebbene in tanti ritengano che "cane" sia solo quello che vive nelle nostre case. Un lavoro serio, volto a cambiare il modo di concepire il rapporto cani e umani relativamente alla condivisione degli spazi, meriterebbe un approfondimento maggiore da parte del Governo. Un laboratorio permanente che vada al di là di soluzione solo economiche e una tantum, con un tavolo di lavoro che coinvolga Istituzioni e associazioni e che punti davvero alla valutazione in primis delle caratteristiche di ogni cane che si incontra per le strade delle nostre città. Un percorso da compiere oggi, subito, a distanza di 30 anni tondi tondi da quella legge che ci aveva messo in risalto rispetto agli altri paesi europei e che porti ad una nuova regolamentazione basata questa sì su quel buon senso accennato dal ministro: ascoltando chi davvero ne sa qualcosa sul tema e, soprattutto, ricordandoci che cani e uomini condividono il mondo da oltre 30 mila anni.

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Diana Letizia
Direttrice editoriale
Giornalista professionista e scrittrice. Laureata in Giurisprudenza, specializzata in Etologia canina al dipartimento di Biologia dell’Università Federico II di Napoli e riabilitatrice e istruttrice cinofila con approccio Cognitivo-Zooantropologico (master conseguito al dipartimento di Medicina Veterinaria dell’Università di Parma). Sono nata a Napoli nel 1974 e ho incontrato Frisk nel 2015. Grazie a lui, un meticcio siciliano, cresciuto a Genova e napoletano d’adozione ho iniziato a guardare il mondo anche attraverso l’osservazione delle altre specie. Kodami è il luogo in cui ho trovato il mio ecosistema: giornalismo e etologia nel segno di un’informazione ad alta qualità di contenuti.
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