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4 Dicembre 2022
15:00

“Non dire gatto”, la storia del felino domestico nell’ultimo libro di Paola Valsecchi

Paola Valsecchi è una ricercatrice universitaria, docente in etologia applicata presso la Facoltà di Parma, che nel privato aiuta anche cani e gatti sfortunati a trovare una famiglia. In questa intervista, abbiamo parlato con lei del suo ultimo libro, "Non dire gatto. Una storia naturale, e no"

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Membro del comitato scientifico di Kodami
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Discreta e gentile, una persona che ha dedicato la sua vita agli animali. Paola Valsecchi è una ricercatrice universitaria, docente in etologia applicata presso la Facoltà di Parma, che anche nel privato dedica le sue energie a cani e gatti più sfortunati che cercano famiglia.

«Ho sempre vissuto con animali che ho adottati, presi in canile e gattile. Parlare di loro mi fa sempre molto piacere», dice la Valsecchi, che in passato ha pubblicato un libro sulla domesticazione del cane ("Attenti ai cani", ed. Il Mulino, 2020), e ora ha dato alla luce il suo ultimo lavoro, fresco di stampa, che tratta “dell’altra metà del cielo”, come dice lei stessa, ossia della storia del gatto con "Non dire gatto. Una storia naturale, e no" (ed. Il Mulino).

Proprio sulla sua profonda conoscenza e gli studi effettuati sull'etologia canina, Paola Valsecchi era stata ospite di Kodami in una puntata di "MeetKodami", il format di video interviste a cura della nostra direttrice Diana Letizia, in cui la professoressa ci aveva aiutato a capire il lungo viaggio della relazione tra uomini e cani, svelando anche il significato di alcuni comportamenti dei nostri "migliori amici" legati alle emozioni primarie e secondarie.

«La maggior parte della giornata di un ricercatore – racconta la professoressa – è fatta di studio e nel mio caso poi anche d’insegnamento. Ma lo studio comprende anche molto tempo trascorso nell’osservazione degli animali, anche quelli di casa. Ci si pongono delle domande alle quali poi si cerca di dare una risposta attraverso la ricerca e tutto parte proprio da lì, dall’osservazione e soprattutto del lavoro degli altri ricercatori. Quando si ha un’intuizione, quando si trova qualcosa di interessante, prima di tutto si fanno ricerche per vedere se altri nella comunità scientifica si sono occupati di quell’argomento».

Gli studi che Paola Valsecchi e il suo staff hanno condotto negli anni, soprattutto sul cane, hanno avuto un grande riscontro da parte delle persone che sono state coinvolte, felici di contribuire con i loro amati compagni a quattro zampe alla ricerca e dando vita a scambi interessanti: «Ci raccontano della vita quotidiana con i loro cani e gatti noi da loro possiamo imparare moltissimo: emergono esperienze di vita molto diverse e interessanti».

C’è da dire però che in Italia, benché vi siano diverse persone che si occupano dello studio degli animali domestici – e sarebbe bello ce ne fossero anche di più – non si fanno molte pubblicazioni divulgative. «Ci sono sempre moltissimi impegni nel quotidiano di un ricercatore, scadenze da rincorrere, dati da analizzare e così via. Ma posso anche dire che negli ultimi tempi ci sono ricercatori più portati alla divulgazione, certo è che l’ambiente accademico è sempre stato un ambiente un po’ chiuso – sottolinea la professoressa – proprio perché si è convinti di essere troppo specialisti. Si pensa che, forse, le nostre ricerche non possano interessare al grande pubblico ma come dicevo è importante che certe tematiche emergano e che gli studi, soprattutto al giorno d’oggi, arrivino alle persone, come per esempio il lavoro dei colleghi che si occupano di conservazione ed ecologia».

In effetti negli ultimi anni le possibilità di mettere in contatto il lavoro della ricerca con il grande pubblico sono aumentate di molto, anche grazie a Internet. «Io non sono molto social, lo ammetto, ma abbiamo una pagina del laboratorio su Facebook nella quale parliamo dei nostri progetti di ricerca e invitiamo così le persone che vorrebbero partecipare a contattarci».

Ed ecco che, su questo tema, emergono anche delle difficoltà, come prevedibile, quando ci si apre alle persone: «Riceviamo anche molte critiche, alle volte ci sono persone che sostengono che molte delle nostre ricerche non portano a nulla, che si sa già tutto in merito ad un certo argomento, che è già stato pubblicato il libro di quel tal dei tali che racconta quello che noi stiamo studiando già da tempo. Però su Kodami ci terrei a fare alcune precisazioni: un conto è il conoscere certi fenomeni grazie all’esperienza, come fanno gli educatori e istruttori cinofili e tutti coloro che lavorano con i cani, ad esempio. Si tratta di persone che hanno tantissima conoscenza del comportamento del cane, per esempio, e possono insegnarci moltissime cose anche a noi studiosi. Ma il nostro compito è quello di dare una base scientifica a queste osservazioni, renderle standardizzate e non vi è alcuna concorrenza tra gli uni e gli altri, anzi – conclude sul tema Paola Valsecchi – potrebbe esserci un’interazione stretta. Infatti moltissimi dei nostri studi avvengono in team proprio con esperti di cinofilia».

L'impegno della Valsecchi proprio nel voler diffondere il suo approccio e nel segno dell'ampliare le conoscenze a tutti è evidente nei suoi lavori editoriali. «Sono due libri che riflettono molto la mia anima di naturalista. In effetti ero un po’ restia nello scriverli, devo ammetterlo, perché ci sono già molti testi che trattano gli stessi argomenti ma alla fine mi sono lasciata prendere dalla passione di raccontare qualcosa che mi sta molto a cuore, e così ho fatto anche per l'ultimo, “Non dire gatto. Una storia naturale, e no"».

E chi è, dunque, questo animale che vive a stretto contatto con noi? «Il gatto arriva da quell’area geografica che poi è anche la culla di domesticazione di molte altre specie animali, l’area Medio orientale, più o meno quella della Mezzaluna Fertile. Siamo certi, intanto, che il gatto di casa non discenda dal gatto selvatico europeo, ma dal Felis libica diffuso in Africa, soprattutto nel Nord Africa. Vi è un altro gruppo di gatti che invece viene più specificatamente dall’Egitto: sappiamo infatti che gli Egizi avevano una vera e propria passione per questo piccolo predatore. Per quanto ne sappiamo oggi, il gatto, si è auto-domesticato, attirato dai roditori a loro volta attratti dai granai e magazzini alimentari dell’uomo, nel Neolitico. Inoltre lo stare nei pressi degli accampamenti di esseri umani forniva anche una maggior possibilità di sopravvivere perché è vero che è un predatore ma è di piccole dimensioni e anche lui ha chi lo preda a sua volta. Insomma la nicchia ecologica creata dalla presenza degli umani è stata da lui sfruttata al meglio».

Ci sono indubbiamente molte convinzioni in merito al comportamento del gatto che non sempre hanno ragione d’essere, che possono dipendere dalla sua natura che mantiene sempre un che di selvatico. «La domesticazione del gatto, possiamo dire, è stato un processo molto più blando rispetto al cane. Si è intervenuto meno pesantemente su di lui e questo ha dato vita a comportamenti che per i pet mate di gatti sono ben accettati e conosciuti. Facciamo un esempio: il fatto che alle volte mentre un micio ci sta in braccio a prendersi le coccole, di punto in bianco schizza via o dà una graffiatina del tutto imprevista… ecco, semplicemente ne aveva abbastanza. E questi atteggiamenti, soprattutto per le persone più avvezze alla relazione con il cane, sono cose inconcepibili».

Si dice spesso che i gatti "approfittano" delle persone, sono egoisti, ma la Valsecchi chiarisce appunto da cosa nascono questi luoghi comuni e quali sono le motivazioni dei felini domestici. «Non è affatto vero che il gatto è un opportunista: vede le relazioni in modo diverso da come le vede un cane e quando ti sta vicino, in braccio, è veramente lì con te perché ci vuole stare. E non è nemmeno vero che il gatto si affeziona solo alla casa, come si sente spesso dire. Anzi, un gatto instaura rapporti profondi con la propria famiglia umana».

Paola Valsecchi rimarca il fatto che cani e gatti hanno un’etologia e un’ecologia totalmente differenti, discendono da animali molto diversi con bisogni e attitudini diversi ed è questo che bisognerebbe apprezzare. Su Kodami ne avevamo parlato con Roberto Marchesini in un'altra puntata di MeetKodami in cui il filosofo, etologo e fondatore dell’approccio cognitivo-zooantropologico si era soffermato proprio su questo:

Paragonare cani e gatti per schierarsi da una parte all’altra non ha molto senso, insomma: è come chiedersi se sia meglio una mela o una pera. Certo, questo non toglie che una persona possa sentirsi più a suo agio con un cane che con un gatto, o viceversa. A tal proposito la professoressa racconta: «Ho vissuto con entrambe le specie e non ho una preferenza. Quando le persone si schierano da una parte o dall’altra del cielo, spesso ha a che fare con la loro stessa personalità. C'è chi è  più metodico, ama l’ordine, le regole precise della convivenza e così via e  forse propende più per la vita con il cane.  Ci sono invece persone che hanno un carattere più libero, meno conformiste che forse si trovano meglio con un gatto, proprio perché il gatto è un po’ così e si sente magari meno la dipendenza forzata dell’uno nei confronti dell’altro».

Indubbiamente la vita con il gatto mette alla prova chi ha sempre e solo vissuto con i cani. Naturalmente con il proprio cane si ha l’abitudine ad una sorta di controllo della situazione, si sa sempre dove sia ad esempio. Ma con il gatto le cose stanno in modo molto diverso per la maggior parte del tempo, soprattutto se il gatto è libero di uscire in autonomia e alle volte anche quando il micio si trova in casa non si ha idea di dove possa essere. Psicologicamente è qualcosa che può mettere in difficoltà.

Scorrendo le pagine del libro si arriva a comprendere che sul Pianeta, ad oggi, è stimato un numero enorme di gatti: si parla di 600 milioni di individui. «Questi dati sono appunto delle stime ma sono importanti perché – sottolinea Valsecchi – ci dicono del grande successo che il gatto ha avuto come specie, considerando poi che è un animale in grado benissimo di vivere una vita in modo totalmente indipendente da noi, del resto se ragioniamo vale anche per il cane quest'ultima affermazione. Circa 280 milioni di questi, quindi meno della metà, sono gatti di famiglia, che è comunque un numero sorprendente».

Ma ci possono essere dei problemi, dal punto di vista ecologico, con l’aumentare di un predatore così efficiente, considerando che la presenza del gatto in un territorio piuttosto che in un altro dipende esclusivamente da noi, dai nostri spostamenti? «In effetti, per esempio in Australia, hanno un problema piuttosto serio per la conservazione di molti marsupiali, proprio perché aver introdotto il gatto in quella parte di mondo è stato un errore che abbiamo fatto noi. È vero che comunque i marsupiali erano già in forte crisi dall’arrivo degli esseri umani ma quell’ecosistema non era pronto all’arrivo anche del gatto che quindi ha contribuito alla riduzione degli animali autoctoni».

La questione dell'impatto sulle altre specie è al vaglio di diverse ricerche in tutto il mondo, comunque. «Ci sono molti studi fatti con questionari diretti anche ai pet mate che vivono con gatti che girano liberi. Ma la percezione delle persone può essere anche sottostimata rispetto all’impatto dato che non sempre il gatto porta a casa le sue prede, alle volte le consuma sul posto o le lascia lì dove sono, ci gioca un po’ e basta. La cosa però difficile da capire, ed è il punto su cui si creano forti contrasti fra chi si occupa di conservazione e le società che si occupano della protezione degli animali, è quantificare l’entità effettiva di questo prelievo. Nel libro cito alcuni dei tantissimi lavori fatti in merito –  spiega la Valsecchi – però è difficile stimare effettivamente quanto la predazione del gatto incida effettivamente sulla popolazione dei merli o delle lucertole muraiole (Podarcis muralis) ad esempio che oltretutto anche i cani predano. Su questo non abbiamo il dato di partenza. Diverso invece è quando si sono fatti studi sull’introduzione di gatti sulle isole: qui i dati ci dicono di un effetto molto forte, infatti è stato verificato che rimuovendo i gatti le popolazioni degli animali si riprendevano».

E così si arriva al tema più scottante e che crea fortissimi contrasti tra le persone e per i più svariati motivi: il gatto di famiglia deve stare chiuso in casa o libero? «Onestamente non riesco a sposare una causa o l’altra in modo assoluto, diciamo che ho una visione ambivalente, dipende moltissimo dalle varie situazioni e contesti in cui la famiglia vive – spiega Valsecchi – In primis io metterei la sicurezza del gatto e una valutazione. Se si vive in una situazione di città metropolitana il gatto è a forte rischio e per me in quel contesto non dovrebbe essere lasciato libero di uscire. Non è tanto una questione di impatto sull’ecosistema ma di buon senso, di responsabilità e tutela del nostro gatto. Le persone che però vivono in campagna, per esempio, dove non ci sono particolari faune, particolarmente compromesse, allora lì sì, sono più propensa al lasciare andare il gatto in giro libero. Indubbiamente il poter uscire ed esplorare il territorio è una cosa molto importante per i loro bisogni etologici. Naturalmente qui si aprono gli attriti: anche all’ultimo Convegno della Società Italiana di Etologia su questo tema c’è praticamente stato uno scontro tra chi si occupa di animali selvatici, uccelli, rettili, anfibi, pesci e così via – che assolutamente non vorrebbe vedere nessun gatto al di fuori delle mura domestiche – e chi invece si pone in una posizione più cauta».

Quindi è necessario valutare le situazioni, ribadisce Valsecchi: «Se vivo a ridosso di un’area naturale protetta dove magari ci sono specie animali a rischio d’estinzione, o di un’area di transito per i migratori e così via, devo avere la consapevolezza che il mio gatto può essere una minaccia aggiuntiva a quelle che già questi animali devono affrontare per sopravvivere. Devo sentire l’obbligo morale di non lasciare che il mio gatto giri indiscriminatamente. L’area di casa, il giardino privato, difficilmente ospitano specie animali in crisi da un punto di vista demografico e i giardini possono essere messi in sicurezza consentendo così al nostro gatto di vivere anche all’aperto. E credo sia importante sensibilizzare su questi argomenti».

Il consiglio della professoressa dunque è di abbracciare l’idea di considerare sempre il contesto di vita del gatto per mediare tra i suoi bisogni e necessità e l’ambiente circostante. «Tengo a precisare anche – riprende la professoressa – che ci sono altre questioni anche a prescindere dalla libertà del gatto su cui dovremmo pensare relativamente al benessere animale, come l’allevamento intensivo degli animali che ha un impatto terrificante sul Pianeta. Ci sono moltissimi dati che dicono a chiare lettere che tutto il nostro sistema di allevamento non è più sostenibile da un punto di vista ambientale e credo che sia giusto parlarne sempre di più».

Le riflessioni di Paola Valsecchi portano a ragionare, in fondo, sulla consapevolezza delle nostre scelte. Valutando il contesto e il nostro stile di vita dovremmo chiederci, prima di tutto, quanto e come cambierà la nostra vita e anche quella – come nel caso di un gatto libero – di altri esseri viventi. Il senso è che non possiamo solamente rispondere ai nostri impulsi emotivi, alle volte dei veri e propri capricci, quando le nostre scelte hanno delle conseguenze sugli altri.

Allora quale consiglio dare, in conclusione, a chi sta pensando di prendere con sé un gatto? «Innanzi tutto suggerirei di rivolgersi alle tantissime associazioni che quotidianamente si occupano di gatti, che hanno anche decine e decine di cucciolate. La sterilizzazione non è ancora una pratica molto comune e non stiamo parlando di gatti provenienti dalle colonie feline, infatti questi vengono accuditi da volontari che si occupano anche della parte sanitaria. Si tratta per lo più di cucciolate casalinghe poi abbandonate. Il rivolgersi ad una associazione consente anche di essere informati su tutti gli aspetti pratici della gestione del gatto, cosa non secondaria per la prevenzione. Poi da etologa aggiungo: preparatevi ad un’avventura meravigliosa. Scoprirete un animale che ha ancora un lato selvatico, affascinante e che nello stesso tempo vi comunicherà tanto affetto che poi è un po’ quello che la maggior parte delle persone ricerca negli animali domestici. A me, per dirla tutta, piace anche solo guardarli: chiedo molto poco ai miei cani e gatti, lascio che si esprimano molto. Scoprirete che vivere con un gatto è per certi versi facile rispetto al cane che risulta nella relazione più impegnativo, soprattutto in ambito urbano per le sue esigenze di specie ma attenzione: non è che il gatto non sia impegnativo, diciamo che lo è diversamente. E' un animale molto comunicativo nei nostri confronti, ha un linguaggio ricchissimo e bisogna prepararsi a una vita insieme a lui consapevolmente. Un gatto vi mostrerà cose incredibili come le sue modalità di gioco, la sua agilità, la sua simpatia… In conclusione, mi auguro che chi voglia vivere con un altro animale, che sia gatto o cane, lo faccia anche con lo spirito della scoperta per riconoscere anche il valore del nostro rapporto con la natura che è la casa di tutti».

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Luca Spennacchio
Istruttore cinofilo CZ
Ho iniziato come volontario in un canile all’età di 13 anni. Ho studiato i principi dell’approccio cognitivo zooantropologico nel 2002; sono docente presso diverse scuole di formazione e master universitari. Sono autore di diversi saggi.
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