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27 Giugno 2023
17:36

Il Segugio dell’Appennino è stato riconosciuto dalla FCI. Ma è davvero un traguardo di cui gioire?

Il Segugio dell'Appennino è la diciottesima razza italiana riconosciuta ufficialmente da FCI. Ma come avviene questo processo e quali sono i benefici e i rischi?

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©Enci – Ente Nazionale Cinofilia Italiana

La Commissione scientifica e la Commissione degli standard della Federazione Cinofila Internazionale (FCI) hanno approvato la richiesta di riconoscimento della diciottesima razza canina di origine italiana. Si tratta del Segugio dell'Appennino, un cane da caccia dalle origini antiche, selezionato nei secoli per collaborare con l'uomo durante le attività venatorie e, in particolare, nella caccia alla lepre. Un segugio capace di correre a lungo anche sui terreni scoscesi delle zone montane e abituato ad avvisare con l'abbaio gli umani, una volta che il suo ottimo fiuto individua la pista del selvatico.

«Un passo importante per la cinofilia italiana e per la valorizzazione del patrimonio zootecnico del nostro paese», ha commentato il presidente di Enci (Ente Nazionale Cinofilia Italiana), Dino Muto, al termine dell'evento di FCI che si è svolto in Uruguay nei primi giorni di maggio 2023. Proprio in quell'occasione, infatti, è stata annunciata la notizia.

Sebbene questo obiettivo venga comunicato dagli enti cinofili nazionali e internazionali come un importante traguardo, il riconoscimento di una nuova razza nasconde anche delle falle che è bene conoscere e su cui è importante riflettere.

Il percorso di riconoscimento delle razze

Il percorso di riconoscimento del Segugio dell'Appennino ha avuto inizio nel 2005, quindi quasi vent'anni fa. Per ottenere questo risultato, infatti, bisogna seguire un iter lungo e complesso, che parte dalla stesura dello standard ufficiale, ovvero il documento dettagliato che descrive le caratteristiche morfologiche e, molto brevemente, quelle caratteriali di ogni razza.

Nello standard si parla di proporzioni, misure e di altre caratteristiche tipiche, ma anche dei "difetti" estetici, che possono comportare l'esclusione del soggetto dalla razza di riferimento. Questi dettagli, però, non sono pensati solo per rispettare un determinato aspetto, bensì per favorirne l'utilizzo in ambito zootecnico, per evitare gli accoppiamenti tra consanguinei e lo sviluppo di patologie genetiche. Talvolta, infatti, viene definito anche il cosiddetto "standard di lavoro", nel quale vengono elencati i comportamenti che ci si aspetta dal cane durante lo svolgimento del compito per cui è stata selezionata la razza. Nel caso dei segugi, ad esempio, si parla dell'utilizzo dell'abbaio per segnalare la presenza della preda. In questo caso, inoltre, in chiusura viene sottolineato che: «Solamente soggetti funzionalmente e clinicamente sani, con caratteristiche tipiche della razza, possono essere usati per la riproduzione».

Una volta approvato lo standard da parte di Enci, la razza viene inserita nell'RSA, ovvero il registro delle razze italiane in via di riconoscimento. A partire da questo momento, avverranno gli accoppiamenti che daranno vita alle prime generazioni. Sarà solo a partire dalla quinta generazione che la razza potrà essere iscritta ufficialmente al ROI, ovvero il registro ufficiale delle razze e i cuccioli potranno finalmente avere accesso al pedigree, ovvero il documento che attesta la loro appartenenza alla razza e riporta il nome dei progenitori, il nome dell'allevamento, i testi genetici svolti e altre informazioni sulla salute del soggetto e sulle sue origini.

La Commissione Generale dell'FCI dovrà poi accettare e, infine, ratificare il riconoscimento per renderlo ufficiale e definitivo. Il Segugio dell'Appennino è in attesa dell'atto conclusivo e, per il momento, si trova in una fase di riconoscimento transitorio.

Gli effetti delle mode e delle adozioni su base estetica

La realtà dei fatti, però, ci parla di un mondo in cui questo processo non va sempre nella direzione sperata e, spesso, il riconoscimento di una razza porta con sé anche altri aspetti lesivi per il benessere dei cani che nasceranno in futuro. Lo standard ufficiale, infatti, rischia perdere il suo valore di fronte all'effetto delle mode e delle strane passioni che noi umani sviluppiamo per i caratteri estetici che attirano l'attenzione.

Basti pensare al trend, diffuso negli ultimi decenni, riguardo l'aspetto dei Pastori Australiani, che hanno il mantello sempre più bianco. Una caratteristica molto apprezzata dai pet mate che, però, porta con sé un aspetto genetico potenzialmente dannoso, ovvero l'aumento del rischio di sordità e cecità. Per quanto riguarda questa razza di pastore conduttore, nel testo dello standard il colore del mantello viene descritto con molta precisione: «Il bianco è ammesso sul collo (collare intero o parziale), petto, arti, parti inferiori del muso, lista sulla testa e può estendersi, a partire dalla regione inferiore, fino a 10 cm, misurando da una linea orizzontale che passa dal gomito – si legge – Il bianco sulla testa non deve predominare, e gli occhi devono essere completamente circondati da colore e pigmento».

Eppure, la nostra predilezione per i Pastori Australiani dal mantello chiaro ci ha portati a desiderare un cane sempre più bianco, ed ecco che i cani contraddistinti da questo carattere cominciano a diffondersi nelle case e, quando li incontriamo al parco, attirano l'attenzione e fanno pensare: «Che bel cane! Quando prenderò un Pastore Australiano, lo vorrò anche io così». Il mercato dei cani di razza, di conseguenza, esattamente come ogni settore commerciale, si adatta alla richiesta e, come un circolo vizioso, i cani bianchi si moltiplicano ulteriormente e, insieme a loro, le loro sofferenze.

Chi alleva con attenzione e cura, però, sa bene che, proprio per questo motivo all'interno dello standard, in riferimento al colore del mantello del cane, si legge anche: «La severità delle penalità per le deviazioni rispetto a quanto descritto, deve essere proporzionata agli effetti sulla salute e il benessere del cane».

Ciò non riguarda solo questa razza, ma anche moltissime altre. Basti pensare al muso sempre più schiacciato dei cani brachicefali, che ormai faticano a respirare, o al posteriore ribassato dei Pastori Tedeschi, che sempre più spesso soffrono di displasia delle anche. Come ha spiegato in un video l'istruttore cinofilo e membro del comitato scientifico di Kodami, Luca Spennacchio.

La soluzione di questo enigma, di fatto, si potrebbe trovare chiamando in causa gli enti che dovrebbero sorvegliare su questi processi e, nel nostro paese, si tratta proprio di Enci, responsabile del rispetto degli standard da parte degli allevatori. Allo stesso tempo, le Aziende Sanitarie Locali dovrebbero vigilare e multare la vendita e l'acquisto di cani non di razza che vengono spacciati come tali. Sono infatti moltissimi i soggetti che nascono da cucciolate casalinghe o all'interno di allevamenti amatoriali e vengono poi venduti come individui dotati di pedigree, pur non avendolo.

Questa pratica illegale ha il duplice effetto negativo di portare alla nascita di cani di cui non si conosce la condizione genetica e, inoltre, scoraggia quei pochi allevatori che, nonostante tutto, ci tengono davvero a mettere al primo posto il benessere dei cani e investono, quindi, nei controlli genetici, per poi trovarsi raggirati da un sistema che permette a chiunque di acquistare cuccioli senza pedigree. E per giunta a prezzi minori.

In questo mondo così complesso, il riconoscimento internazionale del Segugio dell'Appennino potrebbe davvero rappresentare un valore, in quanto lo standard è pensato proprio affinché le sue forme e il suo comportamento rimangano in linea con ciò che gli abbiamo chiesto di fare in questi ultimi secoli. Affinché questo sia davvero possibile, però, bisognerebbe fare in modo di proseguire il solerte lavoro svolto da quando è stato riconosciuto lo standard, continuando a vigilare per evitare che nei prossimi decenni, anche loro come molti altri, finiscano per cambiare forma, comportamento, attitudini. Bisogna inoltre evitare che con il tempo venga dimenticato il ruolo originale di questa razza, affinché non vengano scambiati per cani da compagnia, come è accaduto al loro cugino più famoso, il Beagle.

Un'ultima riflessione, infine, riguarda invece il ruolo stesso del segugio, ovvero quello di aiutante dei cacciatori in un "passatempo" che sempre più raramente ha a che fare con la sussistenza e, molto spesso, invece, viene confuso con uno sport che implica la morte di esseri viventi. Nel delicato contesto storico in cui ci troviamo, considerando la scarsità dei controlli svolti sulle razze e l'esorbitante numero di cani da caccia vittime di abbandono e maltrattamento che vivono nei box dei canili del nostro paese, per quale motivo dovremmo davvero aver bisogno di un'altra nuova e scintillante razza?

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Claudia Negrisolo
Educatrice cinofila
Il mio habitat è la montagna. Sono nata in Alto Adige e già da bambina andavo nel bosco con il binocolo al collo per osservare silenziosamente i comportamenti degli animali selvatici. Ho vissuto tra le montagne della Svizzera, in Spagna e sulle Alpi Bavaresi, poi ho studiato etologia, sono diventata educatrice cinofila e ho trovato il mio posto in Trentino, sulle Dolomiti di Brenta. Ora scrivo di animali selvatici e domestici che vivono più o meno vicini agli esseri umani, con la speranza di sensibilizzare alla tutela di ogni vita che abita questo Pianeta.
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