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20 Aprile 2021
13:30

Addestramento coercitivo: la paura come strumento di controllo

Sempre più spesso si parla di metodi per migliorare il comportamento del nostro cane ma si continua a fare molta confusione tra addestramento ed educazione. I due approcci sono diametralmente opposti e in alcuni casi, come l'addestramento coercitivo, si punta ancora all'azzeramento della personalità e dei bisogni a favore della violenza e dell'imposizione.

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Si parla spesso di modalità e soluzioni per migliorare il comportamento del nostro cane, aumentare le sue competenze e implementare la relazione. Per poter ottenere questo si tende a fare confusione tra educazione e addestramento. I due termini però non sono sinonimi ma descrivono due approcci totalmente diversi nel modo di porsi con i nostri animali. Se cerchiamo sul dizionario, la parola “addestramento” viene definita come “Insegnamento, formazione di tipo pratico”, ovvero tutto l'insieme di azioni ed esercizi che mirano, attraverso la disciplina, a rendere un soggetto “destro”, cioè capace di mettere in pratica le nozioni apprese in determinate situazioni. È chiaro dunque che l'addestramento non punta su un apprendimento di tipo cognitivo che prende in considerazione i pensieri, le emozioni e le peculiarità dell'individuo, cosa che invece prevede l'educazione.

L’addestramento coercitivo, la violenza per imporsi sul cane

L’addestramento, ancora molto usato in ambito cinofilo, può essere applicato con diversi sistemi e criteri, che variano dal metodo gentile fino purtroppo all'addestramento coercitivo. In un altro articolo abbiamo chiarito l’importanza delle tecniche addestrative in campi in cui il lavoro tra cane e conduttore sono basati sulla collaborazione e la reciproca fiducia, in questo caso, invece, il focus lo poniamo sull'addestramento coercitivo che è probabilmente stato uno dei primi approcci al comportamento del cane. È ancora sostenuto in alcuni ambiti della cosiddetta “vecchia scuola” e fonda le sue basi su un rapporto di subordinazione del cane rispetto all'umano che viene messo in pratica con l'attuazione di comandi e regole imposti all'animale con violenza e un tono di voce sempre autoritario.

Si inizia a parlare di addestramento vero e proprio intorno agli anni 70 quando, dopo la massiccia diffusione di cani nelle famiglie di tutto il mondo, si iniziò a sentire il bisogno di dare un’impostazione e delle regole alla convivenza uomo-cane (il primo manuale pubblicato in Italia risale al 1977). All’epoca era ancora forte l’idea che il cane dovesse rispecchiare in pieno il modello a cui era stato assegnato, per questo moltissime persone ricorrevano all’addestramento per rendere i loro Pastori Tedeschi e Belga cani da guardia scattanti, i molossi dei temibili difensori di proprietà, i Dobermann efficienti sentinelle e gli altri impeccabili e disciplinati cani da compagnia.

Le conoscenze e le competenze che si avevano allora non contemplavano l’uso di metodi basati sulla relazione e sulla personalità del cane in quanto non erano stati ancora condotti studi in merito, che inizieranno negli anni 80 fino ad arrivare ai giorni nostri e alla cosiddetta “nuova scuola” che si contrappone in modo deciso alla coercizione e alla spersonalizzazione del cane.

Per poter ottenere risultati rapidi, l'addestramento coercitivo – ribadiamo una deriva rispetto a metodi oggi moderni che prevedono sempre che il cane sia a suo agio nelle attività proposte dall’uomo – prevede l'uso della forza e dell'imposizione, avvalendosi spesso di cosiddette “tecniche di correzione” messe in pratica attraverso l'uso di strumenti quali il collare a strozzo, il guinzaglio ad anello scorrevole, il collare con le punte (rivolte verso il collo e la gola del cane) e il collare elettrico, vero e proprio dispositivo di tortura che emette scariche sull'animale qualora non risponda correttamente al comando o si rifiuti di metterlo in pratica. Come scritto su Kodami, ribadiamo che, sebbene l'uso del collare elettrico sia attualmente illegale nel nostro paese, non ci sono norme che ne regolamentino o proibiscano la vendita.

Quando la TV e i social mostrano solo parte della verità

Sono ancora tante le persone che non conoscono a fondo queste pratiche e che, spesso senza sapere quali strumenti e che punizioni vengono applicate al cane, ne rimangono affascinati attraverso la diffusione di video a fini pubblicitari di noti addestratori che usano il metodo coercitivo. Uno su tutti, famosissimo, è stato César Millàn che filmava le sue sessioni alle prese con cani definitivi pericolosi, morsicatori e ingestibili. Millàn sembrava avere una soluzione per qualsiasi problema ma poi si è scoperto che il suo “infallibile” metodo consisteva nell’infliggere soprusi e inguistizie al cane, negando completamente la funzione cognitiva dell’animale. In molti suoi video si assiste a scene in cui il cane viene vessato, aggredito verbalmente e strattonato. È tristemente famoso un episodio in cui un cane è addirittura svenuto in seguito allo strangolamento con collare a strozzo.

Non è difficile giungere alla conclusione che i sostenitori di tali metodi, divenuti fenomeni mediatici, diano un pessimo esempio su come ci si deve approcciare ad un animale e diffondano una malsana e distorta cultura cinofila.

Urla e punizioni corporali: la paura come strumento di controllo

Non è raro trovare materiale online, video e immagini, in cui si assiste a cruente scene di cani sottoposti ad urla, punizioni corporali (tirate di orecchie, botte sul muso o sul naso…) strattonati, strozzati e, addirittura, impiccati. Si possono purtroppo assistere a scene in cui il cane, letteralmente strozzato, viene sollevato da terra e tenuto sospeso fino a che non smette di reagire o cani che vengono addestrati alla difesa e sono aizzati contro figuranti o altri cani in modo che arrivino alla presa del morso. Ancora, si praticano interminabili lezioni di obbedienza in cui il cane deve rimanere immobile seduto o a terra senza rispondere agli stimoli e sopportando un’atroce frustrazione imposta.

Nelle sessioni di addestramento spesso l’umano di riferimento non è ammesso e l’addestratore si occupa personalmente dell’“allievo”; già questo è un indizio che dovrebbe far ragionare sull’etica applicata, se si considera che un percorso di crescita del cane, qualunque esso sia, è inevitabilmente condiviso con la sua famiglia.

L'addestramento coercitivo non si basa infatti sulla relazione e la comprensione dei bisogni, dei disagi e delle difficoltà del cane ma anzi lo considera un animale privo di bagaglio emozionale, non tenendo conto delle nuove scoperte etologiche derivate da anni di studi sull'osservazione del comportamento animale da cui è emerso che il cane è non solo un individuo senziente ma capace di provare una vastissima gamma di emozioni e sentimenti e di acquisire competenze attraverso le esperienze vissute.

I gravi effetti sul cane: dal dolore fisico ai disturbi comportamentali

Questo tipo di addestramento può causare gravi danni all'animale, anche a lungo termine: è molto comune che un cane sottoposto a tale metodo manifesti seri disturbi del comportamento come paure, insicurezza, aggressività, fobie, eccessiva reattività e importanti manifestazioni di stress. Tutte condizioni che compromettono la qualità della vita del cane e, inevitabilmente, quella del proprio umano; inoltre, molto spesso la quotidianità del binomio diventa difficile da gestire in quanto questi cani, traumatizzati, non solo non si comporteranno come imposto dall’addestramento, ma spesso avranno reazioni imprevedibili e anche aggressive nei confronti della famiglia.

Attualmente sono moltissimi gli enti che rifiutano categoricamente l'addestramento coercitivo, prima fra tutti l'ENCI (Ente Nazionale della Cinofilia Italiana) che promuove un approccio “gentile” e basato sulla conoscenza del comportamento, dei bisogni e delle motivazioni del cane, considerando ciascuno di essi come un individuo dotato di personali caratteristiche e peculiarità.

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