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21 Gennaio 2022
15:52

La Covid-19 colpisce cani e gatti, ma ecco se e quanto ci dobbiamo preoccupare

La pandemia di Covid-19 colpisce anche gli animali domestici. Sì, ma c'è da preoccuparsi per i cani e i gatti di casa? Secondo le prove che sono state raccolte il virus Sars Cov-2 è una zoonosi, cioè un virus nato negli animali e poi passato all’uomo attraverso un salto di specie. Stando al sequenziamento genetico, la versione umana è vicinissima a quella di un coronavirus che circola in una popolazione di pipistrelli, il Rinolophus. La ricerca, però, dovrà ancora approfondire le dinamiche del salto, e capire se c’è stato un passaggio diretto o un ospite intermedio che può averlo portato all’uomo.

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La pandemia di Covid-19 colpisce anche gli animali domestici. Sì, ma c'è da preoccuparsi per i cani e i gatti di casa? Secondo le prove che sono state raccolte il virus Sars Cov-2 è una zoonosi, cioè un virus nato negli animali e poi passato all’uomo attraverso un salto di specie, il cosiddetto "spillover", come spiegato su Kodami dal giornalista scientifico David Quammen durante una puntata del nostro format Meet Kodami ).

Stando al sequenziamento genetico, la versione umana è vicinissima a quella di un coronavirus che circola in una popolazione di pipistrelli, il Rinolophus. La ricerca, però, dovrà ancora approfondire le dinamiche del salto, e capire se c’è stato un passaggio diretto o un ospite intermedio che può averlo portato all’uomo.

Alcune specie animali hanno dimostrato una loro particolare suscettibilità al virus. E, nel corso di questi due anni di pandemia, un numero sempre crescente di prove ha dimostrato che gli animali infetti possono trasmettere tra di loro il virus attraverso il contatto. La scienza ha dimostrato contagi da visone a visone e da visone a gatto, per esempio. Ma non tutti gli animali si contagiano. Pollame e bestiame non sembrano, ora, particolarmente suscettibili.

Gli animali sono il motore della trasmissione da uomo a uomo?

L’aumento dei contagi può aumentare il rischio di varianti, e lo sta dimostrando il Sars Cov-2 negli esseri umani. Altrettanto può accadere nel mondo animale, con il rischio che questo possa poi portare a uno spillback, cioè a un ritorno del virus dagli animali all’uomo. Ecco perché è importante ridurre la circolazione virale, tracciare con attenzione i contagi e controllare la sua eventuale evoluzione nel mondo animale. Ma, ad oggi, la scienza è unanime: gli animali non sono il motore della trasmissione da uomo a uomo. Sono gli esseri umani che stanno facendo esplodere il numero dei casi.

La storia della pandemia ha dimostrato che i visoni d’allevamento sono particolarmente suscettibili al virus Sars Cov-2 e ci sono stati già alcuni casi di spillback, quindi di ritorno all’uomo. Per tutelare gli animali le autorità hanno comunque chiesto di applicare, un po’ in tutto il mondo, le misure di biosicurezza nel caso di contatti, come negli allevamenti, nei giardini zoologici e nei rifugi. Chi è un probabile caso positivo dovrebbe ridurre al minimo il contatto. Ad oggi ci sono stati riscontri della presenza del Sars Cov-2 su esemplari di cani, furetti domestici, leoni, lontra, tigri, visoni, puma, leopardi delle nevi, gorilla, cervi dalla coda bianca, gatti pescatore, Binturong, coati sudamericani, iene maculate, lince eurasiatiche e canadesi.

I principali segni clinici negli animali, come spiegano dagli statunitensi Cdc, i Centri di controllo e prevenzione sulle malattie, sono febbre, tosse, difficoltà di respirazione, letargia, starnuti, secrezione nasale, vomito e diarrea. Il Ministero della Salute, inoltre, risponde a una serie di domande su Covid-19 e animali per riuscire a gestire al meglio questa situazione

Cosa dicono le ricerche su cani e gatti

Un recentissimo studio franco-britannico pubblicato su Veterinary Record descrive l'infezione di cani e gatti domestici con la variante B.1.1.7 (meglio conosciuta come quella "inglese"). Due gatti e un cane sono risultati positivi Covid-test sul tampone rettale e due gatti e un cane sono risultati avere anticorpi anti Sars Cov-2 settimane dopo aver sviluppato segni di malattia cardiaca.

Molti compagni umani di questi animali domestici, spiegano i ricercatori, avevano sviluppato sintomi respiratori dalle 3 alle 6 settimane prima che i loro animali domestici si ammalassero e fossero risultati positivi anche al Covid-19. Gli studiosi, in questo caso, hanno notato come gli animali domestici abbiano avuto un esordio acuto di malattie cardiache, inclusi gravi disturbi del miocardio di sospetta origine infiammatoria ma senza segni respiratori primari.

Quanto sarebbe frequente l'infezione?

Una ricerca spagnola dell'Università di Madrid (e pubblicata su Transboundary and Emerging Diseases) ha cercato di capirci qualcosa. Sono stati prelevati campioni da animali che erano in contatto con 492 persone positive e sono stati messi a confronto con 1024 animali presi a caso. E nonostante l'alto numero di esemplari analizzati, solo in 12 (otto cani e quattro gatti, cioè lo 0,79% degli analizzati, è risultato positivo al Sars Cov-2. In 34 esemplari (tra cui 4 positivi), sono stati notati anticorpi neutralizzanti il virus. «Questo studio evidenzia che gli animali domestici sono suscettibili all'infezione da Sars-Cov-2 in condizioni naturali ma a un livello basso, come evidenziato dalla bassa percentuale di animali positivi rilevati, essendo gli esseri umani infetti la principale fonte di infezione – dicono i ricercatori – Tuttavia, l'inclusione degli animali nella sorveglianza del Covid-19 è ancora raccomandata».

Sempre sulla stessa rivista uno studio italiano aveva ritrovato questi stessi risultati: nei gatti il virus Sars-Cov-2 è risultato scarsamente presente. La ricerca aveva messo insieme Ptp Science Park, gli Istituti zooprofilattici di Lombardia ed Emilia-Romagna, le Università degli Studi di Milano e Bari, la Regione Lombardia, l’Ospedale Sacco, la Fondazione Cariplo e la Fondazione Veronesi. Dei 99 gatti monitorati in 25 colonie feline tutti sono risultati negativi nonostante un loro custode fosse stato trovato positivo. I mici, secondo gli studiosi, «non hanno un importante ruolo epidemiologico sulla trasmissione del virus».

Cosa fare con gli animali domestici in caso di positività umana

L‘Organizzazione mondiale per la sanità animale, l'Oie, raccomanda alle persone positive, o ai sospetti positivi, di evitare il contatto stretto con i loro animali da compagnia chiedendo la possibilità di coinvolgere, nel periodo di malattia, un altro membro della loro famiglia per prendersi cura di loro. Se proprio non ci sono alternative nell’affidamento, viene indicato di mantenere buone pratiche igieniche e di indossare una mascherina. Ma, comunque, non c’è «alcuna giustificazione nell'adozione di misure che possano compromettere il benessere degli animali da compagnia». Come buona pratica generale, le misure igieniche di base dovrebbero essere sempre attuate durante la loro cura, con il lavaggio delle mani evitare di baciarli, essere leccati dagli animali o condividere con loro il cibo.

Comunque, ad oggi, gli animali domestici non sono veicolo di contagio, come Kodami aveva già riportato. L'importante è evitare che il virus si replichi in maniera incontrollata. Quindi, almeno stando alle attuali ricerche scientifiche, proprio come per gli esseri umani vanno mantenute le sane e ordinarie regole igieniche e di pulizia.

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