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21 Maggio 2023
14:00

Perché i cani sono così affettuosi?

I cani ci dimostrano loro affetto ogni volta che torniamo a casa e in tante altre occasioni quotidiane. Ma perché i cani sono così affettuosi con noi? Perché lo rimangono per tutta la loro vita?

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Chiunque di noi ha la grande fortuna, quando rientra in casa, di trovare ad accoglierlo il proprio amico a quattro zampe sa esattamente cosa vuol dire essere salutati con tanta gioia e felicità, anzi da quella che di solito si può definire una vera e propria esplosione di allegria, qualcosa di incontenibile e contagioso che ha rari eguali nei rapporti coi nostri simili e che è l’inconfondibile manifestazione di ciò che loro provano per noi: un incredibile affetto. Un affetto che si manifesterà quasi sicuramente per tutto il corso della loro vita, anche quando, anzianotti e magari un po’ tremolanti sulle loro zampe, metteranno insieme tutte le loro energie per accoglierci come fossimo un super eroe.

E questa poi è solo una parte, perché i cani ci dimostrano loro affetto in tante altre occasioni quotidiane, in ogni istante che passiamo assieme. Lo possiamo vedere nei momenti in cui cercano un contatto fisico con noi, per esempio, in una serata passata sul divano, ma anche quando si sdraiano a poca distanza, pronti ad intercettare qualunque nostro sguardo o movimento, a ricambiarlo con un fremito e qualche sonora battuta di coda sul pavimento e sempre pronti, anche ad un nostro minimo cenno, per accorrere e vedere se abbiamo voglia di fare qualcosa assieme.

Certo non tutti i cani sono uguali, ci sono soggetti più schivi e timidi, così come ce ne sono di più espansivi e, allo stesso modo, ci sono cani più indipendenti o autonomi e altri più “appiccicosi”. Ma indubitabilmente nel rapporto con i propri umani di riferimento ci sarà sempre un modo speciale di accoglierli e di rapportarsi a loro, sicuramente diverso che con ogni altra persona.

Ma perché i cani sono così affettuosi con noi? Perché lo rimangono per tutta la loro vita e non accade, come per altre specie animali ed anche tra noi umani?

Per quanto queste possano sembrare domande banali e per quanto a volte le risposte le diamo per scontate, comprendere questi comportamenti e le loro ragioni è invece complesso e ancora oggi non è semplice dare delle risposte obbiettive. Ed anzi sono diversi gli studi in merito che hanno provato ad indagare quali sono le reazioni fisiche ed emotive che si scatenano nei momenti di rapporto e di intesa tra umani e cani, o se ci siano dei geni particolari che distinguono questa specie da altre e, in particolare, dal progenitore selvatico, il lupo. Ma questo non basta, perché anche la millenaria storia del nostro rapporto, nonché la selezione operata nel corso del tempo vanno considerate attentamente e valutate nelle loro luci così come nelle ombre.

La genetica e gli ormoni

Alcuni studi recenti hanno supposto che alla base di alcuni comportamenti dei cani potrebbero esservi delle particolari variazioni genetiche (rispetto ad altre specie) che li renderebbero più socievoli e più inclini a far riferimento all’uomo nei momenti del bisogno. Ad esempio uno studio pubblicato Scientific Reports ha mostrato non soltanto come vi potrebbe essere una tendenza in molti cani a far riferimento al proprio umano nella soluzione di un problema complesso, tendenza espressa attraverso il voltarsi attivamente verso di lui e ricercarne lo sguardo, o a comprendere ed accettare qualche indicazione utile a risolvere un problema, ma ha messo in luce anche che vi sono differenze tra razze. In particolare, a parità di capacità nel saper leggere le indicazioni e i segnali comunicativi degli esseri umani, quelle più antiche e dunque ancora maggiormente imparentate col lupo (come ad esempio Akita, Shiba e Husky) risulterebbero anche più autonome e meno inclini a ricercare e mantenere lo sguardo sull’umano rispetto alle più moderne.

E proprio il ricercare e mantenere lo sguardo sembrerebbe correlato ad alcuni geni che sovraintendono alla produzione di ossitocina e dei suoi recettori. Una variazione dei geni di questo particolare ormone, collegato a stati di benessere e prodotto ampiamente nelle relazioni sociali sembrerebbe proprio correlata maggiormente con i cani più moderni e dunque maggiormente selezionati, che quindi si rivolgerebbero agli umani e ne ricercherebbero lo sguardo con maggiore piacere.

I geni e i comportamenti ipersociali

Vi è poi un’altra importante ricerca, questa volta pubblicata su Science: in questo caso è stato scoperto che la variazione genetica coinvolgerebbe una particolare regione genomica sul cromosoma 6, presente tanto nei cani che negli umani. L’assenza di tale tratto negli esseri umani è collegata con la sindrome di Williams-Beuren (WBS), una malattia congenita caratterizzata, oltre che da una serie importante di deficit cognitivi, anche da un comportamento ipersociale.

Secondo i ricercatorivi sarebbero dei punti in comune tra architettura genetica di WBS e docilità canina, la quale dipenderebbe dunque da importanti fattori genetici che distinguono i cani dai lupi e da altre specie selvatiche come i coyote. In pratica, dunque, l’estrema socialità dei cani potrebbe essere dovuta alla selezione di una particolare variazione genetica che negli umani corrisponde ad una vera e propria patologia. Secondo questa tesi dunque l’ipersocialità canina non sarebbe tanto una questione di intelligenza e apprendimento, quanto una caratteristica innata che è stata selezionata dall’uomo così come le zampe corte nei Bassotti o il pelo riccio nei Barboni. Detto in altre parole, quelle che sarebbero caratteristiche assolutamente controproducenti per una sopravvivenza in natura, e sicuramente l’ipersocialità è tra queste, dato che potrebbe compromettere i normali meccanismi di allerta e fuga o la percezione di un eventuale pericolo, potrebbero essere state invece funzionali in un processo di domesticazione e dunque nella convivenza con la nostra specie.

Luci e ombre del processo di domesticazione

Ad ogni modo, anche quando si parla della selezione di qualche particolare gene o sequenza genica, non possiamo trascurare che nei millenni di storia della domesticazione questo non è avvenuto, così come si potrebbe pensare oggi, in un laboratorio e attraverso complicati processi di modificazione artificiale del DNA. Il processo attraverso il quale anche eventuali variazioni genetiche potrebbero essere avvenute è quello della selezione, in parte naturale e in parte artificiale, attraverso gli accoppiamenti degli individui e la sopravvivenza di quelli che meglio si adattavano alla convivenza con la nostra specie e a quelle mansioni nelle quali i cani erano da noi impiegati.

Anche questo processo tuttavia deve essere considerato tanto nelle sue luci quanto nelle inevitabili ombre. Se da un lato infatti la millenaria storia della domesticazione ha consegnato a noi contemporanei una incredibile varietà di cani diversi (per forme, taglie, tipologie di mantello, specializzazioni performative), ma comunque tutti generalmente ben disposti nei nostri confronti, pronti ad esserci d’aiuto in tantissime attività, o anche soltanto ad averci vicini come amici, dall’altro non possiamo trascurare  come questo processo è realmente avvenuto e che ha portato comunque ad una importante diversificazione tra i cani (e tra le diverse razze) nel loro grado di socievolezza, sia verso i propri compagni umani che, in generale, verso la nostra specie.

E così ad esempio potremo notare che razze selezionate per fare la guardia alle greggi, come i pastori guardiani, o anche per la difesa personale, come Doberman o Rottweiler, possono essere maggiormente diffidenti verso gli estranei, mentre altre selezionate per la caccia come Setter, segugi o Labrador sono in generale molto socievoli o, ancora, cani più primitivi come Husky, Chow chow e Akita tendono ad essere più indipendenti.

D’altra parte, però, non possiamo dimenticare come sia avvenuta la selezione da parte dell'uomo: in base al fatto che solo gli individui più docili e sociali hanno avuto maggiori chances di riprodursi. Gli individui infatti  che si dimostravano in qualche modo pericolosi o non adatti al lavoro, ad esempio, venivano in molti casi uccisi dai nostri antenati.

Purtroppo, e questo non possiamo nascondercelo se vogliamo realmente comprendere cosa è stato il processo di domesticazione del cane, la decisione di mantenere in vita soltanto gli individui che mostravano particolari caratteristiche da un punto di vista comportamentale è stata alla base del processo di selezione per centinaia e centinaia di anni e fino a pochi decenni fa. Ed anzi ancora oggi in stati considerati civili, come ad esempio negli USA, sono in vigore leggi che prescrivono l’abbattimento di tutti quei soggetti che manifestano anche minimi comportamenti aggressivi. Si pensi anche all'Inghilterra, dove alcune razze come ad esempio i Pitbull sono poi state messe al bando e vietate per legge perchè considerate troppo pericolose. In Italia invece dal 1991 la legge 281 prescrive che prima di poter sopprimere un cane perché aggressivo bisogna aver almeno provato un percorso di riabilitazione comportamentale: in questo caso siamo all’avanguardia come uno dei pochi paesi ad affrontare la questione considerando anche i diritti animali.

La selezione del cane ha molti lati oscuri e ciò che riceviamo in eredità è il frutto anche di questa parte, che ancora oggi facciamo fatica a raccontare e raccontarci. Certo c’è da una parte lo strettissimo rapporto, l’amore incondizionato e la profondità di sentimenti che siamo in grado di provare per quegli individui che in qualche modo si sono adattati al nostro stile di vita e ci hanno dimostrato affetto e devozione (cosa non semplice visto che apparteniamo ad una specie che su questo pianeta si è rivelata tra le più temibili e tra le più spietate), ma dall’altro c’è stata anche la nostra inflessibile determinazione nel non accettare e nel sopprimere tutte quelle caratteristiche che potevano andare contro i nostri interessi, la nostra sicurezza e la sicurezza dei nostri beni materiali. Ne sono esempi non soltanto i cani, ma anche altre specie come i lupi o gli orsi, che le recenti cronache hanno portato all’attenzione anche per le campagne d’odio da alcuni scatenate per poterli liberamente uccidere.

Fortunatamente oggi le cose sembrano in parte cambiate e molti umani cercano di affrontare anche quei comportamenti dei loro amici che non sempre sono di assoluta socievolezza e amicizia, lavorando sulla relazione e rispettando le caratteristiche dell’altro non solo nei pregi, ma anche nelle criticità. Però purtroppo non sempre è così e i canili sono pieni anche di storie di rinuncia e abbandono. Insomma la strada da fare è ancora lunga e tortuosa. A noi decidere come percorrerla, consapevoli della responsabilità di questa importante eredità che abbiamo ricevuto dal nostro passato, ma anche che ogni cane è un individuo unico e irripetibile, che può essere docile, affettuoso e mansueto, ma che in certi casi può avere anche le sue fragilità o le sue debolezze.

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Francesco Cerquetti
Esperto in etologia applicata e benessere animale
Laureato in Filosofia a partire dal 2005 ho cominciato ad appassionarmi di cinofilia approcciando il mondo dei canili. Ho conseguito il Master in Etologia Applicata e Benessere animale, il titolo di Educatore Cinofilo e negli IAA.
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