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27 Maggio 2022
10:29

“Facciamo finire l’era dei macelli”, l’iniziativa approvata dalla Commissione Europea

Con l'ICE dal titolo “End The Slaughter Age”, gli organizzatori hanno chiesto alla Commissione Europea di non dare più sovvenzioni agricole all’allevamento di bestiame, ma di darle invece, per la produzione dell'agricoltura cellulare e delle proteine vegetali, alternative molto più etiche ed ecologiche.

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Con un’Iniziativa dei cittadini europei (ICE) dal titolo “Facciamo finire l'era dei macelli”, lanciata dall'organizzazione internazionale End The Slaughter Age è stato chiesto alla Commissione Europea di non dare più sovvenzioni agricole all’allevamento di bestiame, ma di darle invece, per la produzione dell'agricoltura cellulare e delle proteine vegetali, alternative molto più etiche ed ecologiche.

L’ICE sarà avviata, domenica 5 giugno, data scelta dal comitato organizzatore poiché contemporanea con quella del National Animal Rights Day, una giornata dedicata alla sensibilizzazione sui diritti degli animali che si celebra ogni anno la prima domenica di giugno.

I promotori hanno sei mesi per avviare la raccolta delle firme. A quel punto, avranno un anno di tempo per ottenere un milione di dichiarazioni di sostegno in almeno sette Stati membri dell'Unione Europea. Soglia che imporrà alla Commissione di agire, decidendo se portare avanti o meno l'iniziativa e suffragare la scelta con motivazioni chiare ed esaustive.

Di certo, di motivazioni per la richiesta, ne ha End The Slaughter Age, come scrive direttamente sull’ICE. E queste riguardano, ovviamente, il benessere degli animali, ma anche quello degli esseri umani, a causa delle condizioni terribili in cui sono costretti a lavorare la maggior parte dei dipendenti del settore zootecnico.

Secondo le indagini dell’associazione Essere Animali, i dipendenti impiegati in questo settore, che solo in Italia sono oltre 21 mila, sono migranti provenienti dall’Europa dell’Est, dai Balcani, dall’Africa settentrionale e centrale e dall’Asia orientale sottoposti ad abusi, soprattutto contrattuali, di ogni genere.  Ma non solo, perché coloro che lavorano negli allevamenti intensivi ogni giorno rischiano incidenti fisici e di salute, dalle malattie respiratorie all'esposizione a batteri resistenti agli antibiotici.

Come detto, l'ICE, parte comunque dai diritti degli animali negati. E visto che sul sito dell’EFSA, l’Autorità europea per la sicurezza alimentare, si legge che «fonti di stress e condizioni di scarso benessere possono avere come conseguenza negli animali una maggiore predisposizione alle malattie trasmissibili, che può rappresentare un rischio per i consumatori» e che «il benessere degli animali riveste un ruolo sempre più preponderante nel mandato dell’ente» non si capisce, si chiedono gli organizzatori, come siano ancora permessi gli allevamenti.

Inoltre, «considerato quanto l’Unione Europea dia importanza al benessere degli animali» si legge ancora sull'Iniziativa, «anche nell’ottica di prevenzione delle malattia e, di fatto, pandemie, appare evidente come l’entrata della carne coltivata sul mercato, richiedendo meno risorse della carne tradizionale, costringerà l’industria animale a una gara al ribasso con i settori emergenti, che si tradurrà inevitabilmente in condizioni ancor più disumane per gli animali negli allevamenti».

Quindi, dato che il Trattato di Lisbona del 2009 ha riconosciuto esplicitamente che gli animali sono esseri senzienti e che l'UE e i suoi Stati membri hanno la responsabilità da un punto di vista etico di prevenire maltrattamenti, dolore e sofferenza, l’unica soluzione coerente, è il ragionamento, è chiudere definitivamente gli allevamenti per sempre.

Anche perché, i prodotti dell’agricoltura cellulare e di origine vegetale costeranno meno rispetto a quelli ottenuti dagli animali, e quindi appare chiaro come, lasciare un prodotto così inquinante sul mercato, sia semplicemente una scelta non solo inutile, ma persino dannosa e contraria alle politiche di sostenibilità dell’Unione Europea.

Così come appare evidente che, una volta ottenuta l’alternativa della carne coltivata, gli allevamenti stessi non abbiano più alcuna giustificazione morale e legale, contraddicendo palesemente le norme UE sul benessere animale. Ovvero le "cinque libertà": libertà dalla fame e dalla sete,  dai disagi ambientali, dal dolore, dalle ferite e dalle malattie, di manifestare comportamenti caratteristici della specie, dalla paura e dallo stress.

Infine, ma non certo perché meno importante del resto, il consumo di carne e degli altri derivati animali sta letteralmente uccidendo il pianeta. Al contrario dei prodotti ottenuti tramite l’agricoltura cellulare che, invece, hanno un impatto ambientale estremamente inferiore.

Secondo studi di ricercatori di Oxford e di Amsterdam, la produzione di carne coltivata emetterebbe il 4% dei gas serra, contro il 18% di emissioni dirette e il 51% contando anche quelle indirette della carne ottenuta tramite macellazione.

La carne coltivata ridurrebbe i consumi energetici per la produzione della carne del 45%, richiedendo solo il 2% di tutte le terre utilizzate oggi per l'industria dell'allevamento. Inoltre, per ogni ettaro utilizzato per la sua produzione, si potrebbero liberare tra i 10 e i 20 ettari di terra da destinare alla riforestazione, uno dei migliori modi per combattere il riscaldamento globale attraverso lo stoccaggio della CO2. Infine, riportando molta terra allo stato vergine si salverebbero un gran numero di animali selvatici.

Per quanto riguarda, inoltre, i prodotti plant-based, come la carne vegetale, i vantaggi riguardo la sostenibilità sono altrettanto palesi. Secondo uno studio del  Center for  Sustainable Systems dell’Università del Michigan, il Beyond Burger, una delle marche più famose e più simili alla carne di manzo per valori nutrizionali e caratteristiche, genera il 90% in meno di emissioni di gas serra, richiede il 46% in meno di energia non rinnovabile, ha un impatto del 99% in meno sulle risorse idriche e del 9% in meno sull’uso del suolo, rispetto alla stessa quantità di carne bovina.

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Simona Sirianni
Giornalista
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