11 Dicembre 2021
9:09

Allevamento intensivo, cosa è tra etica e insostenibilità

Gli allevamenti intensivi soddisfano ancora gran parte della richiesta mondiale di proteine animali, ma sono insostenibili da un punto di vista etico e ambientale.

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Membro del comitato scientifico di Kodami
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Nella società di oggi stiamo assistendo a un cambio delle abitudini alimentari sempre più orientato verso scelte vegetariane, vegane, o onnivore “cruelty-free”. L’esigenza nasce dalla crescente consapevolezza dei consumatori rispetto alle modalità d’allevamento degli animali. Petizioni, inchieste, documentari, notizie e immagini che circolano all’impazzata nel mondo dei media permettono ai consumatori di essere più informati e prendere una propria posizione rispetto al trattamento che serbiamo agli animali d’allevamento.

All’origine di questo viraggio culturale vi è quindi l’allevamento intensivo, metodo che prevede l’utilizzo (termine intenzionalmente scelto) di animali su grande scala numerica, stipati in poco spazio e con ritmi di produzione accelerati rispetto al naturale decorso della crescita animale e della naturale capacità produttiva.

Questo metodo d’allevamento si sviluppa intorno agli anni 60 del secolo scorso, di pari passo all’aumento della richiesta di consumo di carne e della produzione di antibiotici, che hanno permesso di sottrarre gli animali al pascolo e ammassarli in gran numero in spazi ristretti preservandoli però dalle malattie contagiose.

Gli allevamenti intensivi sono diffusi in tutto il mondo, principalmente nei paesi cosiddetti sviluppati, nonostante siano in crescita anche nei paesi (cosiddetti) in via di sviluppo.

In Italia, ad esempio, praticamente il 90% delle produzioni animali proviene da allevamenti intensivi. Nel nostro Paese, una zona ad alta vocazione zootecnica intensiva è la zona della pianura padana, dove troviamo la maggior parte degli allevamenti suini del Paese e una grande concentrazione di allevamenti bovini sia da carne che da latte.

Le specie animali principalmente allevate con questa metodologia sono i suini, i bovini da carne e le vacche da latte, i polli e le galline ovaiole, i conigli, i tacchini, gli agnelli, e anche i pesci. Nel mondo, ad esempio, circa il 40% del pesce consumato dalle persone è oramai allevato intensivamente.

Mentre questo tipo di allevamento permette di soddisfare la richiesta dei consumatori, e tutta la filiera dei controlli veterinari garantisce un’alta salubrità del prodotto finale (carne, latte, uova, pesce), numerose questioni etiche mettono in discussione questa pratica. In primis, tra tutte, la questione del benessere animale. Nell’era delle lotte per il riconoscimento dei diritti degli animali come esseri senzienti è questionabile che gli animali vivano ammassati o, peggio ancora, rinchiusi in gabbie e non possano esprimere i normali comportamenti che caratterizzano ogni singola specie e ogni singolo individuo all’interno della sua specie.

Alcune caratteristiche degli allevamenti intensivi

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Ritmi produttivi serrati e incalzanti, pratiche standardizzate e ripetute caratterizzano questo tipo di allevamento. Le tappe della vita di un animale si trasformano in mere fasi produttive per le quali sono state dettagliatamente studiate le ore di luce e buio cui l’animale deve disporre, la tipologia e la quantità di alimento, la metratura quadra disponibile, fino ad arrivare al momento in cui la carriera produttiva termina e l’animale viene macellato. Destino comune di tutti gli animali d’allevamento. Sì, anche le vacche da latte e le galline ovaiole vengono macellate a fine carriera.

La dignità della vita di questi animali è umiliata, e la loro aspettativa di vita notevolmente ridotta. Pensiamo che un bovino in natura potrebbe vivere fino a 20-25 anni e che, a seconda della filiera produttiva, vive in allevamento circa 4-5 anni se è una vacca da latte, o fino a circa 6 mesi se è un bovino da carne. Una gallina ovaiola vive al massimo 2 anni, mentre un broiler da carne vive all’incirca 6 settimane, quando in natura questi animali possono vivere fino a 8-10 anni. Un suino per la produzione di prosciutto vive all’incirca 6 mesi mentre in natura potrebbe vivere 15-20 anni. La scrofa produttrice di suinetti, quando inizia a produrre meno, viene immediatamente scartata.

Si sommano poi quegli animali che non arrivano nemmeno al mese di vita come i figli maschi delle vacche da latte, o al giorno di vita, come i pulcini maschi delle galline ovaiole.

Per tutti gli animali, e in ogni singola fase produttiva, è “accettata” una certa mortalità percentuale sul totale degli individui per i più svariati motivi.

Il sovraffollamento delle strutture intensive, a terra o in gabbia che sia, non permette agli animali movimenti adeguati e una corretta igiene; non sono inusuali le immagini di animali costretti a vivere nelle proprie feci. Anche l’assetto sociale tra individui si vede influenzato dal sovraffollamento, grandissima fonte di stress e potenziale causa di conflitti. Il peso forzatamente accumulato diventa una limitazione ai movimenti ma anche causa di gravi problemi di salute come zoppia, problemi cardiovascolari e respiratori e ulcere.

Alcune pratiche come le mutilazioni, effettuate senza anestesia alcuna e inestimabile fonte di dolore, sono considerate necessarie negli allevamenti intensivi, come il taglio delle corna nei bovini, il debeccaggio e il taglio degli speroni negli avicoli e il taglio della coda nei suini.

Dietro e prima di ciò che avviene in allevamento esiste, poi, tutto il mondo della spinta selezione genetica e dell’inseminazione artificiale. Insomma, nulla di naturale spetta quindi di diritto a questi animali.

Impatto degli allevamenti intensivi

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L’allevamento intensivo oltre a spezzare il legame fra la terra e gli animali e mettere in dubbio la questione etica rispetto alla dignità della vita, ha un forte impatto negativo sull’ambiente.

Gli animali allevati in maniera intensiva sono nutriti con alimenti come cereali, legumi o pesce che potrebbero essere destinati al consumo umano. A livello mondiale, circa un terzo della coltivazione di cereali, più del 90% della soia e un terzo del pescato viene utilizzato come alimento per questi animali. Paradossale, inoltre, che il pesce pescato debba essere alimento per il pesce allevato per il consumo umano con una ratio di quasi 5 a 1, ovvero 5 unità (tonnellate ad esempio) di pesce pescato per produrre una unità di pesce d’allevamento. Se questa stessa quantità di materie prime fosse utilizzata direttamente per il consumo umano sfamerebbe miliardi di persone; questione di enorme importanza se pensiamo che nel pianeta che viviamo più di 1 miliardo di esseri umani soffre la fame e la malnutrizione.

La produzione di questa quantità di cereali ha ovviamente un impatto sulla conversione dei terreni naturali in terreni agricoli, ed è quindi collegata alla deforestazione e all’impoverimento della qualità del suolo e all’estinzione di specie animali selvatiche.

Anche il consumo di acqua è smisurato, oltre all’acqua di abbeveraggio dobbiamo considerare l’enorme quantità di acqua utilizzata per irrigare queste monoculture; nell’era in cui circa due miliardi di persone soffre la scarsità di risorse idriche.

Oltre che indiretto, l’impatto ambientale degli allevamenti intensivi è anche diretto. Circa il 15-20% delle emissioni di gas serra del pianeta derivano proprio dal settore zootecnico. Inoltre, i liquami reflui che devono essere smaltiti ogni giorno raggiungono quantità inestimabili, mentre, al giorno d’oggi non siamo ancora preparati per uno riutilizzo etico ed energeticamente funzionale degli stessi. Così, i terreni che circondano gli allevamenti sono di solito fortemente inquinati e la vita è impoverita dalla presenza di questi materiali.

In conclusione, negli allevamenti intensivi gli animali vengono trattati come macchine da produzione piuttosto che come esseri senzienti e sono tra le principali fonti di inquinamento ed impoverimento del pianeta al giorno d’oggi. Quanto descritto potrebbe potenzialmente essere classificato come un crimine contro l’umanità e contro la natura e una fonte di maltrattamento animale, mentre gli allevamenti intensivi sono tutelati da normative speciali e ben voluti dai consumatori ignari o indifferenti e dalle industrie produttrici.

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Laura Arena
Veterinaria esperta in benessere animale
Sono un medico veterinario esperto in comportamento animale, mi occupo principalmente di gestione del randagismo e delle colonie feline, benessere animale e maltrattamento animale con approccio forense. Attualmente lavoro in Italia, Spagna e Serbia.
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