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10 Ottobre 2022
10:25

Continuano gli esperimenti su gufi alla John Hopkins University. PETA: «Non ci arrenderemo»

La PETA, organizzazione animalista da sempre contro la vivisezione, accusa alcuni scienziati della John Hopkins University di eseguire test cerebrali sui gufi e barbagianni.

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«Esperimenti raccapriccianti». È precisamente questa la definizione che la Peta, uno dei più antichi e agguerriti gruppi animalisti, dà sui test cerebrali che gli scienziati americani continuano a condurre sugli uccelli rapaci, gufi e barbagianni in primis, mutilandoli.

People for the Ethical Treatment of Animals descrive nella denuncia operazioni chirurgiche invasive, dispositivi metallici ed elettrodi impiantati nel cranio, luci e suoni che bombardano gli animali i quali non hanno nemmeno la possibilità di muovere le ali e sono costretti a subire queste orrende torture. Per poi essere soppressi perché ritenuti non più utili alla ricerca.

Il laboratorio sotto accusa è quello della John Hopkins University secondo cui questi test sono finalizzati a una maggiore comprensione dell’autismo, della schizofrenia e del disturbo da deficit dell’attenzione/iperattività nell’essere umano.

Studi che vengono sostenuti con finanziamenti dal National Eye Institute (NEI), un'agenzia federale che fa capo al National Institutes of Health, l'Istituto nazionale della sanità americano, l’ultimo dei quali di quasi 2 milioni di dollari.

Peta aveva chiesto al Governo del Maryland di risparmiare i rapaci che dopo gli esperimenti venivano soppressi e aveva ottenuto una risposta positiva. Dopo averlo accordato, però, l’istituzione ha fatto dietrofront attraverso l'agenzia ambientale statale, il Maryland Department of Natural Resources, rimangiandosi il divieto.

L'associazione è tornata quindi a chiedere sui social e diffondendo la sua campagna in difesa dei rapaci, di interrompere i test, chiedendo a gran voce se davvero questi esperimenti siano finalizzati a migliorare la salute delle persone: «Non sappiamo ancora se il permesso di continuare studi di dubbia finalità e gli abbattimenti siano in linea con la legge – scrivono gli animalisti – ma ovviamente approfondiremo».

Peta lotta da anni contro la sperimentazione animale. L’organizzazione ha stimato che ogni anno sono milioni gli animali soggetti alla crudeltà implacabile della vivisezione, che altro non è, come sappiamo, che una serie orribile di esperimenti su animali vivi.

Per Peta, però, questi esperimenti non sono affatto portatori di dati innovativi o utili, ma sono una pratica che ha prodotto «sofferenze insondabili, un mucchio di cadaveri, un enorme spreco di dollari delle nostre tasse».

La vicenda con la John Hopkins University inizia nel settembre del 2018, quando la National Public Radio (NPR) pubblica la notizia di un team di ricercatori del prestigioso istituto che stava studiando i barbagianni nel tentativo di capire perché le persone con disturbo da deficit di attenzione e iperattività faticavano a concentrarsi.

In particolare la notizia si concentrava sul laboratorio di Shreesh Mysore, un assistente professore affiliato al Dipartimento di Neuroscienze e al Dipartimento di Scienze Psicologiche e del Cervello.

Tali studi, però, attirarono l'attenzione di People for the Ethical Treatment of Animals, che si misero subito in attività chiedendo agli scienziati le prove che i barbagianni fossero trattati eticamente e le prove che gli esperimenti condotti fossero davvero in grado di rivelare informazioni utili agli esseri umani. Non ricevendo le risposte desiderate, da allora, la PETA ha tenuto diverse proteste e pubblicato numerosi articoli che chiedevano la fine degli esperimenti.

Inoltre, in una ricerca condotta nel 2021 l’associazione animalista ha voluto far conoscere meglio l'autore degli esperimenti, appunto il professore Shreesh Mysore.

Secondo quanto riportato da Peta, «Mysore tiene i barbagianni in gabbia in piccole scatole di plastica, taglia i loro crani, impianta elettrodi nelle loro teste, cementa un bullone di acciaio inossidabile alla base del loro cranio per limitare i movimenti della testa e trattiene gli uccelli pienamente coscienti in tubi di plastica per un massimo di 12 ore a un tempo. Quindi apre loro gli occhi e li bombarda con esplosioni di rumore e luce mentre fruga i neuroni nel cervello degli animali coscienti. Infine, mutila il loro tessuto cerebrale così gravemente che i gufi diventano “inutilizzabili” e a quel punto li uccide».

Esperimenti dalla crudeltà indescrivibile che conclude sempre PETA «non fanno nulla per approfondire la comprensione del disturbo da deficit di attenzione umano, come invece sostiene Mysore, visto che i gufi hanno sistemi uditivi e visivi completamente diversi da quelli umani».

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Simona Sirianni
Giornalista
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