Un rapporto intimo, privatissimo, commovente nella sua profondità. La relazione tra un senzatetto e il suo animale è, per il maggior numero dei casi, un amore incondizionato. Sono l’uno il mondo dell’altro, l’uno la salvezza dell’altro. E se nel bicchiere di plastica ci sarà qualche moneta, nella ciotola non mancherà mai qualche pezzo di cibo perché tutto ciò che si ha si condivide, sempre.
Adesso, però, qualcuno scende in campo per sostenerli. Save the Dogs, la Onlus fondata da Sara Turetta, ha lanciato il progetto “Amici di strada, compagni di vita”, per dare una mano alle persone che vivono in strada con i loro cani.
«È il primo progetto milanese di Save the Dogs – spiega Turetta – Lo abbiamo sviluppato con Fondazione Progetto Arca Onlus e si rivolge ai cani dei senza dimora: persone che hanno perso tutto ma non l’amicizia con il proprio cane, spesso l’unico legame affettivo della loro vita».
Come funziona il progetto?
Siamo partiti con un’attività di censimento e incontro con queste persone per instaurare un rapporto di fiducia, per capirne le esigenze e intercettarne i bisogni reali. Stiamo distribuendo un kit con i beni di prima necessità per gli animali, oltre al cibo anche un cappottino per il freddo, guinzaglio, ciotole, l’essenziale per un primo soccorso e tutto ciò che serve per migliorare il benessere degli animali e dei loro compagni di vita. Non ci limitiamo però a donare beni ma abbiamo scelto di andare oltre, per garantire le cure mediche necessarie e la sterilizzazione delle femmine stipulando accordi con alcuni centri veterinari di Milano. Questi cani ad oggi sono curati e nutriti solo grazie al buon cuore di singoli milanesi che si imbattono in queste storie difficili e se ne fanno carico con generosità e altruismo.
Le persone che vivono per strada come accolgono questa iniziativa?
Vi è uno stupore iniziale, ma poi si aprono e sono entusiasti. Sono contenti perché sono persone che amano molto i loro cani e se ne preoccupano. Ci è capitato anche di ricevere richieste specifiche, come ad esempio la museruola, spazzole o antiparassitari, proprio perché hanno a cuore la salute del loro animale. Noi concentriamo la nostra attività su coloro che hanno un rapporto autentico con il proprio cane e non li sfruttano per stimolare la generosità dei passanti. Fortunatamente ci sono molte associazioni umanitarie sul territorio che si occupano di offrire assistenza ai senza tetto, ma fino ad oggi nessuna onlus strutturata che si sia occupata dei loro cani.
È il primo progetto di questo genere in Italia?
Sì, è una novità assoluta in Italia: ci siamo ispirati a StreetVet UK e Feeding Pets of the Homeless (US). Non si tratta di un intervento “one shot”, è un progetto strutturato e continuativo che vogliamo incrementare a Milano e replicare in altre città, sempre in coordinamento con le associazioni umanitarie già attive sul territorio e con le amministrazioni comunali. Nelle nostre unità di strada c’è, infatti, sempre un educatore cinofilo responsabile, accompagnato da uno più volontari, proprio perché il team deve avere le competenze necessarie per riuscire a leggere il linguaggio del cane andando oltre le apparenze. Vogliamo prevenire possibili comportamenti a rischio dell’animale o eventuali situazioni di maltrattamento che dovessimo incrociare durante le attività in strada.
Il legame tra chi vive per strada e il proprio animale è molto intimo. Come stanno i cani ai quali portate il cibo?
I cani che vivono nella zona del centro stanno bene: sono ben nutriti e vengono curati dai veterinari di milanesi generosi che li incontrano per strada. Il discorso cambia nelle zone periferiche. Intorno alla stazione di Lambrate abbiamo incrociato casi più complessi e alcuni cani non ricevono né il cibo né le cure mediche necessarie. E stiamo già intervenendo per migliorare la loro situazione.
Hanno problematiche particolari?
Abbiamo riscontrato dermatiti, una lesione ad una zampa, un’otite, una fistola da curare fino ad ora.
Quali sono i problemi maggiori di Milano per quel che riguarda cani e compagni umani?
Sicuramente il problema maggiore è la mancanza di dormitori che li accolgano con il proprio animale. Progetto Arca ha appena avviato una struttura di Housing First (Cascina Vita Nova) nel quartiere Baggio per i senza dimora che vivono con un cane, con lo scopo di reinserirli nel tessuto economico e sociale ma non ci sono altre strutture che consentano di trascorrere la notte al riparo da intemperie e in un luogo sicuro. Finora i progetti che erano stati avviati di questo tipo si sono “persi”, a quanto ne sappiamo, per problemi gestionali e logistici.
Cosa ne pensa del patentino che Milano ha reso obbligatorio per le “razze speciali”. La lista delle razze pericolose era stata cancellata: approva la scelta del capoluogo lombardo?
«Sì, sono d’accordissimo, anzi, andrei ancora oltre: farei un patentino obbligatorio per chiunque decida di adottare o acquistare un cane, perché purtroppo mancano le conoscenze di base che sono indispensabili per poter compiere una scelta del genere con consapevolezza e preparazione adeguata».
Il randagismo non a Milano ma in gran parte d'Italia è ancora un fenomeno troppo diffuso. Qual è il motivo e cosa non si sta facendo?
«Per 40 anni le associazioni si sono concentrate sulla gestione dei canili e delle adozioni, limitandosi a campagne contro l’abbandono che personalmente reputo poco efficaci. Ci si è concentrati sul problema a valle e non si è lavorato abbastanza sul problema a monte. Noi, come Save the Dogs, abbiamo deciso nel 2019 di avviare interventi di sterilizzazione e microchip gratuiti in territori del Sud Italia martoriati dal randagismo e dal fenomeno dei canili lager, strutture con 1.000/1.500 cani condannati all'ergastolo. Abbiamo già superato le 800 sterilizzazioni, ma vorremmo arrivare a farne migliaia ogni anno: se le istituzioni mancano di visione, volontà e mezzi, allora dobbiamo fare noi associazioni da volano per risolvere questo problema doloroso».
Save The Dogs è una delle realtà più riconosciute del panorama del volontariato cinofilo. Guardandola oggi la sua associazione è diventata quello desiderava?
«In realtà non ho mai pensato a questo: ho sempre e solo voluto fare il bene dei cani e sviluppare progetti che li tutelino da abusi e sofferenze. Per farlo mi sono resa conto che serve un’associazione ben strutturata, efficace e pragmatica, proprio quello che Save the Dogs oggi è. Abbiamo tantissimi progetti in cantiere e molte idee ancora da realizzare: vogliamo fare la differenza, in Italia e in Romania, ma per farlo servono risorse importanti e reti per collaborare in modo virtuoso. Le stiamo costruendo ed è davvero un momento entusiasmante per noi».
Riesce a tornare in Romania ogni tanto da dove tutto è partito?
«Certo! Sono appena rientrata da Cernavoda, dove sorge il nostro fiore all’occhiello, “Footprints of Joy”. Il mio cuore è sempre là e ogni giorno comunico con lo staff locale, fatto da italiani e rumeni. Mi sono riproposta di tornare ogni 3 mesi. Stiamo cercando anche di far tradurre il mio libro in rumeno e ci sono buone possibilità: tutto è iniziato lì e dovrà crescere e continuare ancora!».