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2 Maggio 2021
7:30

Rex, il cane che i suoi umani volevano “aggiustare”

Ci sono storie di alcuni cani che ti entrano nel cuore più di altre forse perché sono meno compresi, forse perché riconosci in quello che le persone vedono come un problema tutta l’incapacità di esprimere se stessi a pieno che manca a quei cani. La storia di Rex lancia un messaggio: adottate sempre, consapevolmente.

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Istruttrice cinofila
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In questi anni di lavoro devo dire che mi sono capitate le telefonate più assurde e anche le richieste più disparate: le persone a volte ci vedono come una figura mitologica a metà fra un risolutore di problemi e l’ultimo sciamano che deve fare un miracolo. Con gli anni impari pian piano a dirottare le conversazioni, a dare consigli, ad accendere la miccia per fare vedere il cane da altre prospettive. Ma tante, troppe volte non si arriva da nessuna parte e lo realizzi già dalle prime battute.

Quella sera mi era arrivata una telefonata da lontano, una provincia a diversi chilometri da Firenze, e mi era stato letteralmente chiesto di “aggiustare il cane”. Un uomo, con fare piuttosto perentorio, mi chiedeva letteralmente di dargli dritte per non far fare al cane di famiglia delle cose che «rendono la nostra vita difficile». Il cane Rex, sempre secondo la sua opinione, non solo si rifiutava di fare le cose in “modo consono” ma continuava a perseverare nell’errore di certi comportamenti e… per dispetto nei loro confronti. Queste sono le chiamate più drammatiche per noi del mestiere, quelle in cui sai che portare le persone a vedere alcune sfumature del cane sarà un’impresa ma soprattutto che la base di partenza è così proiettata verso gli esseri umani e non l’altra specie, che dovrai fare uno sforzo sovrumano in termini di mediazione con grande impegno, con pazienza e autocontrollo.

Alcune persone pensano che il cane provi gusto a sfidarli, a far loro dei dispetti, che si diverta a metterli in situazioni di difficoltà. È indubbio che i cani provino emozioni, che abbiano tanto quanto noi una base fisiologica che regola queste ultime e il loro umore. Nessuno nega il fatto che i cani ci studino, ci osservino, che siano parte attiva delle scelte che operano nella loro vita e che spesso si prendano la briga di assumersi dei ruoli che esulano lontanamente da quello che vorremmo noi facessero. Ma dai da qui a dire che un cane provi gusto a farci i dispetti comportandosi in un certo modo ce ne vuole. Lo sguardo umano tende a analizzare sempre e solo il comportamento altrui, senza andare a scavare a fondo dentro se stessi, invece, per vedere quali motivi la persona abbia fornito al cane per arrivare a mettere in atto il “comportamento di ripicca”. Rex era, come spesso accade, un cane giovane, molto esuberante, sicuramente immaturo, con grande voglia di fare e una certa nevrilità tipica di un cane da caccia (almeno per metà da parte di padre, lo era). Non faceva nulla di così assurdo, in fondo, almeno dai racconti al telefono. Poi, come sempre capita, filtrate le prime cose, era meglio assicurarsi di persona andando a conoscere cani e persone: forse anche l’ambiente di vita non era a sua misura e toccava verificarlo.

Rex: un concentrato di energia con coda e naso!

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Me la ricordo come se fosse ieri la prima visita a casa di Rex. La prima difficoltà da superare era proprio come rapportarmi con la sua famiglia. Ogni volta che cercavo di ribattere alle parole della coppia di ragazzi con cui il cane viveva, venivo letteralmente sommersa di esempi su come tentavano di farlo calmare. Si percepiva la loro pazienza finita, la frustrazione, a tratti la rabbia con cui cercavano di impostare regole e “NO” urlati sul muso. Io ero la terza persona a cui si rivolgevano e quando qualcuno ti fa presente che non sei il primo, devi essere abilissimo a non entrare nella trappola che ti stanno tendendo: vogliono che tu risolvi il problema (possibilmente velocemente e senza il loro sforzo), che tu dimostri di esser bravo subito e che produci risultati come se sfoggiassi le mostrine dei tuoi talenti su una divisa. Ma, soprattutto, vogliono che tu abbia una buona impressione di loro perché se sei il terzo vuol dire che al cane ci tengono davvero, visto che ne hanno consultati già altri.

Si prospettava un percorso difficile e non tanto per Rex chiaramente ma proprio per entrare in comunicazione con i suoi umani di riferimento. Un altro ricordo chiaro che ho di quella prima visita era che subito Rex mi aveva ricordato il mio Metello: un cagnetto mezzo caccia che avevo accudito per un po’ e che purtroppo ebbe la sfortuna di incappare nella più terribile delle esperienze che si possano vivere. Fu avvelenato da una polpetta trovata nei dintorni di casa. Metello era un cane agitato: così come Rex aveva la coda che come un ventilatore roteava a velocità folle sbattendo ovunque. Avevano entrambi l'argento vivo tipico dei cani giovani, in quel momento della vita a metà tra l’essere dei cuccioloni impacciati e le prime avvisaglie della testardaggine di un adolescente.

Rex era un cane semplicemente confuso, che doveva trovare un campo di espressione per il suo surplus di energia ed essere guidato a calibrarsi nelle situazioni. Non c’erano dispetti di sorta né tantomeno la voglia di fare “debutto in società” dando spettacolo di se stesso: le situazioni sociali al guinzaglio erano difficili perché quel laccio conteneva tutta l’esplosività con cui si sarebbe buttato nel mondo a conoscere cani e persone.

Mi ci vollero un paio di lezioni abbondanti per convincerli che si poteva affrontare un percorso insieme, a patto che la sua famiglia si mettesse nelle condizioni di dare delle regole al cane senza isterismi, di garantirgli delle uscite di qualità e che dovevano avere pazienza e affidarsi a me disintossicandolo da situazioni in cui non era in grado di modularsi, fintanto che non gli avessimo fornito gli strumenti adeguati. Strappai una mezza promessa alla famiglia di Rex ma quel sesto senso che col tempo ho imparato ad ascoltare di più, mi diceva già che non sarebbe durata. Dopo poche settimane, infatti, ebbi la telefonata che non avrei mai voluto ricevere: Rex sarebbe andato in canile, non era più gestibile. “Si era permesso” di mordere la fidanzata e lui, con un tono ancora più perentorio della prima telefonata, non si era risparmiato nemmeno sui dettagli di come lo aveva punito. Sono passati diversi anni e proprio in questi giorni riecheggiano messaggi di dissenso verso i metodi punitivi contro i cani da parte di colleghi e persone che hanno cani. Il grande errore sta sempre nel considerare che un cane arrivi ad una escalation di episodi conflittuali che minano la relazione e la fiducia per sempre e che questa escalation rappresenti la punta dell’iceberg di tante piccole e microscopiche situazioni sommate in poco tempo. Se è vero che i cani vivono molto meno di noi in termini di anni, il passaggio di alcune fasi sensibili dal cucciolo all’adolescente è ancor più veloce e le persone non sono preparate. Ci chiamano quando la situazione è già in essere e come spesso scrivo e dico noi esperti non siamo attrezzati per fare miracoli, né per “aggiustare” i cani.

Trovare la situazione più idonea per i cani come Rex: urge un modo di pensare ai canili socialmente più equo

Mi resi subito conto che la situazione era impellente ma feci leva su quella necessità che tanti hanno di dover mostrare quanto fossero delle brave persone: ci tenevano all’apparenza. In termini di legge è possibile, purtroppo o per fortuna, cedere un cane a una struttura se sussistono validi motivi. Dovremmo concentrarci anche sul fatto che tante volte questo consente una totale deresponsabilizzazione delle persone che abbandonano il cane e un costo, in termini di cura e ricollocamento, per la comunità che lo ospita. Ecco: io quando mi trovo in una situazione come quella di Rex, credo che a livello sociale dovremmo trovare delle forme di scambio: tu stai in qualche modo gravando la comunità di una spesa (e non mi riferisco certo solo al denaro) e forse, laddove ci siano i presupposti, sarebbe utile che tu cedendo il cane, fino al suo ricollocamento, possa “sdebitarti” con la comunità. Ad esempio rendendoti attivo in lavori socialmente utili. Credo che ci sarebbe molta più consapevolezza nel gesto della cessione e che si possa davvero vedere con chiarezza che chi cede un cane in un canile per reali e accertati motivi, quindi con un peso a livello di coscienza, accetterebbe di buon grado lo scambio. Al contempo, credo che le strutture troverebbero meno oneroso ricollocare i cani e, forse, non si alimenterebbe la continua gogna giustizialista nei confronti di chi davvero non può occuparsi più di un cane e di chi invece, riconosciuto il proprio errore e i propri limiti, si affida ad una struttura.

Nel caso di Rex chiesi senza mezzi termini di non portarlo in una struttura a caso ma di considerare che prendersi l’onere di pagare una pensione, in fondo, era una spesa più che affrontabile per loro. Chiesi loro di darmi fiducia, di permettermi di trovargli una nuova sistemazione. Dissi loro che mi sarei offerta di lavorare con quel cane gratis se si fossero comunque assunti la responsabilità di farsi consigliare una struttura idonea e che l’ambiente avrebbe giocato un ruolo fondamentale anche per Rex e che mi avrebbe permesso di accelerare i tempi di una nuova adozione. Sapevo in parte di mentire, sapevo purtroppo che sarebbero potuti passare mesi se non anni per affidarlo e che forse non avrei potuto mantenere la parola data in breve tempo. Ero cosciente che si sarebbero potuti stancare e smettere di pagare un giorno. Ma il tentativo andava fatto. E fu così che Rex si ritrovò catapultato in un posto ampio e verde in cui un paio di volte a settimana  poteva incontrarmi e fare delle discrete esperienze. Ci volle diverso tempo, sette mesi per l’esattezza e non ci fu settimana in cui Rex non faceva un bel giro per i boschi o una capatina in città, col suo amico Blu, uno dei miei cani. E forse devo proprio a lui il grosso del lavoro, sarò sincera. Rex ha trovato una nuova famiglia, ogni tanto ci scriviamo ancora, adesso ha 9 anni. Ha trovato persone con dei bambini con cui ha mostrato sin da subito di essere posato, delicato negli avvicinamenti, molto più educato di come chiunque avrebbe mai potuto immaginare. Forse perché a Rex, in fondo, abbiamo dato anche la possibilità di sbagliare, di imparare a fare meglio, di potersi esprimere e di riconoscere dove sta il confine. Il confine di se stesso, della sua coda ad elica, dove finisce la sua voglia di farsi guidare dal naso senza che tutto il resto intorno sparisca. Guardatevi intorno nei canili: è pieno di cani come Rex a cui questa possibilità non è stata data. Adottate consapevolmente, sempre.

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