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12 Luglio 2022
17:11

Pista per Levrieri a Maserada sul Piave: le associazioni animaliste presentano ricorso al Tar

Le associazioni animaliste hanno presentato un ricorso al Tar per chiedere l’annullamento del permesso di costruire la pista per Levrieri a Maserada sul Piave.

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pet levrieri
©PetLevrieri Onlus

Continua il dibattito sulla costruzione della pista per le corse di Levrieri a Maserada sul Piave, in provincia di Treviso. Dopo l'annullamento delle prime gare di racing previste per il 12 giugno, pochi giorni fa è avvenuto un incontro tra il Sindaco e le associazioni animaliste firmatarie della petizione in cui si chiede di ritirare la concessione della struttura all'Ente Nazionale Cinofilia Italiana (Enci). Si tratta, secondo loro, di un progetto pericoloso per la salute degli animali e per l'ambiente circostante.

In seguito all'incontro, Pet Levrieri, Enpa, Lav, LNDC Animal Protection e Oipa hanno depositato un ricorso al Tar, per chiedere anche l’annullamento del permesso di costruire la struttura.

«Non siamo assolutamente felici di dover arrivare ad intervenire per vie legali, ma dopo aver spiegato le nostre posizioni al Sindaco, abbiamo trovato un atteggiamento di  chiusura e nessuna predisposizione alle negoziazioni – spiega a Kodami Stefania Traini, Presidente e fondatrice di PetLevrieri Onlus – Ora ci aspettiamo che il Tar accolga il nostro ricorso e che ci sia un intervento cautelativo per sospendere l'utilizzo della struttura prima delle prossime gare in programma per il 25 settembre e il 16 ottobre».

Le motivazioni delle associazioni: la salute dei cani e dell'ambiente

«Correre su una pista ovale ricoperta di sabbia, comporta una serie di rischi oggettivi per la salute dei cani coinvolti. Non si tratta di una nostra posizione idealista, ma di una tesi sostenuta anche da numerosi ricercatori e veterinari che hanno condotto studi a riguardo, come ad esempio il Dottor Andrew Knight dell'Università di Winchester, che ha esaminato i disagi e, in particolare, le lesioni subite dai Greyhound in Inghilterra – spiega Traini – Abbiamo esposto le nostre preoccupazioni durante l'incontro, ma siamo stati liquidati rapidamente e il Sindaco ci ha risposto che, se succederà qualcosa, capiranno come intervenire. Hanno sminuito la situazione senza mai negare i rischi correlati al racing ma, soprattutto, senza mettere in discussione la propria posizione».

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©Pet Levrieri

A preoccupare le associazioni, però, non è solo la salute dei cani, ma anche quella della fauna selvatica presente sul territorio. Il testo del ricorso, infatti, contesta anche il fatto che, prima di costruire la struttura, non sia avvenuta la Valutazione di Incidenza Ambientale (VIA), la quale consente di verificare la significatività dell'intervento sull'habitat in questione. «La pista si trova all'interno del Parco del Parabae, un luogo in cui vivono alcune specie di interesse comunitario e la valutazione dell'impatto sull'ambiente è quindi prevista per legge – spiega Traini – Eppure, prima di iniziare i lavori, non sono stati presi in considerazione questi fattori».

«I cani vengono obbligati a correre in pista per il piacere degli umani»

«Quando abbiamo spiegato le nostre motivazioni al Sindaco, ci siamo sentiti rispondere che anche noi umani corriamo dei rischi quando facciamo sport – racconta la presidentessa dell'associazione – Noi umani, però scegliamo liberamente di dedicarci alle attività sportive, i cani vengono invece obbligati a correre all'interno della pista per il nostro piacere».

Sebbene secondo Enci si tratti di attività pensate per tutelare il patrimonio genetico delle razze e verificare le qualità e le caratteristiche comportamentali da selezionare negli allevamenti, per Stefania Traini le attività sportive svolte all'interno di una pista non hanno nulla a che fare con le priorità etologiche della specie: «Ciò non significa che non gli piaccia cacciare, ma piuttosto che dal nostro punto di vista nessun cane sceglierebbe di correre gare di racing – spiega l'esperta – Se i cani avessero la possibilità di esprimersi secondo i propri desideri e necessità, infatti, caccerebbero in maniera coordinata con i propri simili, utilizzando importanti talenti legati alla riflessività e ad altre abilità cognitive e dimostrando, inoltre, la loro grande capacità di mettere in atto strategie molto più complesse di quelle richieste sulla pista ovale, che è invece un gioco umano in cui, però, a rimetterci sono loro».

Un ulteriore argomento che secondo l'esperta bisogna tenere a mente è legato, invece, alla scarsa varietà delle possibilità espressive concesse ai Levrieri al di fuori di queste discipline sportive. «Se i Levrieri sono obbligati a correre e rincorrere continuamente gli oggetti in movimento, si sviluppa ulteriormente, e fino all'esasperazione, la loro motivazione predatoria, quella cinestesica e quella competitiva – spiega l'esperta – I cani, esattamente come noi umani, hanno bisogno però di potersi esprimere anche in diversi ambiti della propria vita, non solo in quelli legati al lavoro per cui sono stati selezionati. Oltre a farli correre bisogna quindi permettergli di relazionarsi con i propri simili, collaborare ed esplorare con calma gli ambienti naturali, in modo da sviluppare una personalità equilibrata, grazie alla quale condurre una vita più serena».

Le associazioni, che nel frattempo hanno già ottenuto oltre 85 mila firme su Change.org, si augurano ora di raggiungere un risultato positivo e, attraverso questo intervento, lanciare anche un messaggio culturale che dimostri l'importanza della loro azione.

«Le piste dedicate a queste discipline sono ormai strutture anacronistiche e legate ad un passato che sta pian piano scomparendo in tutto il mondo – conclude Traini – Non si tratta solo di una lotta locale, legata al territorio di Treviso, ma anche di una battaglia nazionale, perché questo luogo rischia di aprire la strada per il ritorno di una disciplina ormai in declino ovunque. Qualunque sia la risposta che otterremo dal Tar, quindi, noi siamo pronti a continuare e non ci fermeremo».

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Claudia Negrisolo
Educatrice cinofila
Il mio habitat è la montagna. Sono nata in Alto Adige e già da bambina andavo nel bosco con il binocolo al collo per osservare silenziosamente i comportamenti degli animali selvatici. Ho vissuto tra le montagne della Svizzera, in Spagna e sulle Alpi Bavaresi, poi ho studiato etologia, sono diventata educatrice cinofila e ho trovato il mio posto in Trentino, sulle Dolomiti di Brenta. Ora scrivo di animali selvatici e domestici che vivono più o meno vicini agli esseri umani, con la speranza di sensibilizzare alla tutela di ogni vita che abita questo Pianeta.
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