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5 Luglio 2023
16:27

Perché alcune specie animali sono più a rischio di estinzione di altre?

Alcune specie animali risultano maggiormente esposte al rischio di estinzione rispetto alle altre. Da cosa dipende? E come dobbiamo comportarci affinché nessun'altra specie soffra per colpa del nostro comportamento?

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Secondo l'attuale Lista rossa dell'Unione Internazionale per la Conservazione della Natura (IUCN), nel corso del 2022 sarebbero state circa 42mila le specie animali a rischio di estinzione, per via dei cambiamenti climatici, per l'eccessiva deforestazione, la caccia, la perdita di habitat e l'inquinamento dell'ambiente. Ma non tutte le specie presenti in questa lista internazionale presentano gli stessi standard di rischio o sono al collasso imminente: molti animali infatti si stanno dimostrando abbastanza resilienti ai cambiamenti che noi esseri umani stiamo apportando al Pianeta e, nonostante le difficoltà che ne conseguono, resistono più di quanto avevamo preventivato.

Altre specie animali, invece, risultano essersi perfettamente adattate alle nuove condizioni di vita, oppure possono attuare strategie e comportamenti che fanno sì che riescano a mantenere degli elevati tassi di riproduzione, in modo da non rischiare di entrare in pericolo d'estinzione.

Cosa porta quindi una specie a risultare più vulnerabile delle altre? Quali sono le caratteristiche che inducono, per esempio il panda o il dugongo, un mammifero marino del gruppo dei sirenii, a essere più vicini al limite biologico dell'estinzione, mentre altri animali selvatici, come i cinghiali o alcune particolari tipologie di meduse, riescono ad ampliare il loro areale? In questo articolo cercheremo di rispondere a queste domande, per capire perché il pianeta Terra, nonostante i danni provocati dalla nostra specie, non perderà del tutto la ricchezza di forme animali esistenti.

Le principali cause dell'estinzione degli esseri viventi

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Il Dodo è l’emblema delle specie estinte per colpa dell’uomo

Per capire perché alcune specie risultano essere più vulnerabili di altre, rispetto ai cambiamenti climatici e agli altri fattori provocati dall'uomo, non possiamo trascurare quali sono le principali cause che inducono gli animali ad estinguersi o a perdere così tanto terreno rispetto ai loro competitors, entrando in una crisi profonda che li porta quasi inevitabilmente alla morte.

Uno dei principali comportamenti umani che gli scienziati ritengono aver causato la maggior parte dell'estinzioni dei vertebrati è quello della caccia, che oltre a portare la nostra specie a sterminare un incredibile numero di predatori, alterando così inevitabilmente l'ecosistema per sempre, ha provocato anche una riduzione notevole delle popolazioni di tutte quelle specie che – in un modo o nell'altro – durante la nostra esistenza sono state considerate cacciabili, anche solo per alcuni specifici momenti accidentali della storia o per fini non propriamente alimentari.

Basta infatti pensare agli elefanti africani, cacciati principalmente per finire all'interno dei circhi romani e per l'avorio, o anche alle diverse tipologie di aquile, cacciate in Europa e Nord America per strapparne le piume con cui decorare i cappelli, esclusivamente per fornire al nostro commercio un insieme di materiali considerati esotici o di particolare valore estetico e culturale.

Se però dovessimo chiedere a uno scienziato degli esempi di animali sterminati dall'uomo per finalità esclusivamente alimentari, non possiamo che pensare al Dodo o al Piccione viaggiatore americano, le specie simbolo delle estinzioni animali moderne. Il nostro interesse verso alcune specie, rispetto ad altre, ha quindi modificato duramente la struttura stessa degli ecosistemi.

Un altro fenomeno ambientale che può condurre molte specie selvatiche ad estinguersi, anche dopo sole poche generazioni, è la degradazione degli habitat, in questo momento storico sottoposti a molteplici tipologie di stress ambientali indotti dall'uomo. Se infatti un particolare ambiente naturale di solito può considerarsi il rapporto delle interazioni fra gli esseri viventi, il mondo abiotico (la geologia e la natura del suolo) e le condizioni geografiche e climatiche di un territorio, è anche vero che un eventuale disturbo che intacca una delle tante componenti di un ecosistema può portare a un disastro ecologico improvviso, che destabilizza l'habitat cambiandolo per sempre, qualora esso non riesca a riprendersi in tempo. E come abbiamo ormai accertato, dopo secoli di studi naturalisti e ambientali, la conseguenza inevitabile di un cambiamento duraturo di un habitat quasi sempre è il peggioramento delle condizioni di vita per le specie che ci vivono dentro. Un fattore che (1) aumenta la competizione interna fra le specie e (2) favorisce l'estinzione o la migrazione delle forme di vita che presentano inferiori capacità di adattamento.

Risulta quindi criminale andare a modificare volutamente in maniera intensiva gli habitat – come stiamo attualmente facendo – promuovendo il disboscamento intensivo o le coltivazioni monoculturali, che hanno come principale conseguenza la perdita delle nicchie ecologiche naturali che sostengono le specie selvatiche.

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L'inquinamento negli ultimi anni è stato una delle concause principali della scomparsa delle specie, che ha influito ancor più della caccia sulla riduzione del numero di animali. Per capire come l'inquinamento possa portare all'estinzione di migliaia di specie, possiamo prendere due esempi di contesti acquatici: l'oceano e un piccolo bacino d'acqua dolce.

Prima della comparsa dell'uomo, questi due ecosistemi molto diversi subivano fluttuazioni chimiche legate all'erosioni delle rocce e ai cicli biogeochimici e climatici dell'intero pianeta. Se aumentavano, per esempio, le quantità delle piogge, un maggior quantitativo di fango raggiungeva l'acqua, trasportando sostanze nutrienti, favorendo la comparsa di alghe nei laghi e una maggiore concentrazione dei sali minerali nei tratti di mare antistanti la terra ferma.

Con la comparsa dell'uomo e, più avanti, delle industrie moderne, il rapporto chimico degli ecosistemi acquatici è, invece, molto cambiato. Per esempio, in un lago possono presentarsi livelli di concentrazioni di inquinanti così elevati da causare la morte per avvelenamento di tutte le creature, mentre l'oceano, soggetto all'incremento dell'anidride carbonica in atmosfera, sta andando incontro a un processo di acidificazione che sta letteralmente sciogliendo i gusci dei bivalvi e di tutte le altre creature dotate di conchiglie.

L'inquinamento da plastica inoltre sta portando moltissime specie, tra cui anche l'uomo, a subire un incremento delle malattie tumorali e un più difficile sviluppo neonatale, con moltissimi nati soggetti a mutazioni o alterazioni fisiche debilitanti, di seguito al contatto con le cosiddette molecole teratogene. I pesci, alcune specie di rettili e gli uccelli risultano essere in particolar modo le creature più sensibili a questo problema, poiché più degli altri vengono tratti in inganno dai frammenti di plastica, che ingoiano per intero. Ovviamente la plastica può anche provocare la morte in altro modo, occludendo lo stomaco o imprigionando i piccoli.

Il bracconaggio e il commercio illegale delle specie esotiche invece rappresentano una delle attività umane che mettono più a rischio la fauna. A differenza, però, delle altre cause che portano all'estinzione piante e animali, possiamo dire che questi due fenomeni sono molto selettivi. Essi infatti non colpiscono indiscretamente tutte le specie di un territorio, ma solo quelle commercialmente più richieste. Ciò comporta che sono solo alcune le specie – quelle più carismatiche o utili, secondo la cultura – a divenire vittima dei cacciatori o dei grossisti illegali. Bisogna anche dire che il pericoloso comportamento del collezionismo può accentuare questo problema, visto che esistono delle persone che traggono piacere dal possesso di specie rare.

Un esempio preoccupante di collezionismo che ha arrecato moltissimi danni è quello che si è diffuso in tutto il mondo con lo scoppio delle ricerche entomologiche. C'è stato infatti un tempo, a cavallo fra il diciannovesimo e il ventesimo secolo, in cui ogni cittadino europeo, americano o proveniente dalle tre grandi nazioni asiatiche (Cina, Giappone, India) che disponesse sufficienti fondi non poteva definirsi borghese o "acculturato", se non aveva in casa la sua bella collezione di coleotteri o farfalle. Un fenomeno che seppur abbia consentito a molti paesi di approfondire quali fossero le specie presenti, ha anche comportato la riduzione di un grande numero di popolazioni di animali.

Infine, il surriscaldamento globale e il cambiamento climatico inducono così tanti stravolgimenti ambientali e di una tale portata, che anche solo l'aumento costante delle precipitazioni in alcune aree del globo sta portando alla distruzione di interi ecosistemi. Se consideriamo tutti i danni provocati dalla siccità, dall'aumento nella frequenza dei fenomeni metereologici estremi, dallo scioglimento dei ghiacciai e dalla desertificazione, sono innumerevoli le specie che rischiano di estinguersi per colpa di questi fenomeni che danno il "colpo finale" a lunghe storie di declino, in cui gli animali hanno convissuto e resistito per anni con le altre minacce antropiche.

Quali sono le specie a maggior rischio di estinzione?

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Come detto all'inizio dell'articolo sono circa 42.000 le specie considerate a rischio d'estinzione dagli esperti. Molti di essi sono inseriti all'interno delle liste di conservazione o presso gli allegati della CITES, che regolarizzano quali specie possono o meno essere commerciate e in che modalità. Non tutte le specie in pericolo sono, però, conosciute: molte infatti non sono state ancora scoperte o descritte.

L'ente principale che definisce quali sono le specie in pericolo è la IUCN, che collabora con migliaia di scienziati in tutto il mondo non solo per colmare i gap scientifici legati alla difficoltà di studiare tutte le specie ancora sconosciute, ma anche per realizzare e aggiornare insieme ai diversi governi nazionali le politiche di protezione della fauna selvatica nei diversi contesti antropici ed ecologici.

Studiando e le specie maggiormente colpite dalle varie crisi ambientali, gli scienziati hanno identificato quali sono le peculiarità che accomunano tutti gli animali che oggi, così come in passato, corrono e hanno corso il rischio di estinguersi.

Il rischio di estinzione si verifica per la riduzione costante e aggressiva della popolazione di una specie, causata dai fattori antropici esposti nel paragrafo precedente. Le specie che presentano anche uno stile di vita particolare, che si basa esclusivamente sul consumo di una particolare risorsa o sull'adattamento ad un unico particolare ambiente, sono ancora più vulnerabili. Sono più a rischio anche le specie che danno alla luce un basso numero di figli, consumando grosse risorse o sono soggette a una eccessiva competizione naturale che impedisce ai figli di raggiungere alla vita adulta.

Il più delle volte questi animali sono soggetti anche a numerose malattie genetiche, per via del fenomeno genetico del collo di bottiglia, che abbassa i livelli di resistenza a molteplici condizioni ambientali e a diverse malattie. In molti casi c'è anche una discrepanza numerica all'interno della specie, con un numero di maschi troppo basso o troppo alto rispetto al numero di femmine. Questo comporta una seria difficoltà per la riproduzione, soprattutto quando i differenti generi sono mal distribuiti all'interno del territorio.

L'ambiente inoltre in cui vivono gran parte degli animali è il più delle volte degradato o soggetto a eccessiva pressione antropica. Questo comporta che anche animali potenzialmente in salute, come gli elefanti o i rinoceronti, abbiano subito nel corso degli ultimi secoli un crollo demografico spaventoso, che ha estinto queste specie in alcuni settori del loro vecchio areale.

Le specie maggiormente a rischio, come gli orsi polari, i panda, molte specie di insetti e le scimmie antropomorfe, risultano inoltre incapaci di colonizzare nuovi territori. Ciò li porta a rischiare molto di più di altre specie che riescono a sopravvivere migrando o adattandosi a condizioni ambientali più proibitive.

È comunque possibile andare a visitare direttamente il sito dell'IUCN per conoscere meglio quali animali sono inseriti all'interno della lista internazionale delle specie considerate in pericolo critico di estinzione, ovvero a un passo dall'estinzione in natura, che precede la scomparsa completa.

Le specie a rischio di estinzione in Italia

Orso marsicano

Anche l'Italia presenta la sua lista rossa di specie a rischio, collaborando con la IUCN e altre associazioni ambientaliste, come WWF, LIPU e LEGAMBIENTE, da oltre cinquant'anni. La lista rossa italiana viene aggiornata frequentemente, anche tramite il contributo di moltissimi zoologi e accademici italiani, che costantemente monitorano il territorio e cercano di quantificare i danni che colpiscono la fauna.

L'ultima versione è uscita nel 2022 ed è considerata fra le più recenti a livello europeo e fra le più "complete", in quanto oltre a presentare una lista generalizzata delle specie a rischio, fornisce anche dei supplementi che sono specifici per alcuni gruppi di animali particolarmente sensibili del nostro ambiente. Così, a unirsi alla Lista rossa italiana, che comprende principalmente vertebrati, il nostro stato possiede anche la Lista rossa delle farfalle italiane ,la Lista rossa dei pesci ossei marini, l'importante lista inerente le varietà rare delle api mellifere italiane, come anche la Lista rossa dei coralli marini, delle libellule, dei coleotteri e infine della Flora italiana, in ben due volumi (link per il primo volume, link per il secondo volume).

Se volessimo però individuare quali sono le specie soggette di più al pericolo dell'estinzione, quali sarebbero?

Dal punto di visto tecnico, etico e scientifico è difficile rispondere a questa domanda, poiché è complesso paragonare le diverse condizioni ambientali e biologiche che inducono per esempio un orso bruno marsicano o un capovaccaio a venire considerati fra le specie più a rischio del nostro paese. Se però dovessimo per forza di cose dare una risposta, usando  il numero di individui, potremmo dire che per i vertebrati le specie Podarcis raffonei e Speleomantes sarrabusensis, due piccole specie di rettili, sono le più minacciate, in quanto sopravvivono in condizioni ambientali davvero precarie. P. raffoneae risulta addirittura la specie di vertebrati più a rischio d'estinzione per l'intera Europa.

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Podarcis raffonei è la specie vertebrata più a rischio d’estinzione dell’intera Europa e abita alcuni scogli delle Eolie

Essa infatti vive esclusivamente in alcuni scogli delle isole Eolie e su alcune spiagge di Vulcano, lontano dalle altre isole maggiori. Non si conoscono neppure le dimensioni della popolazione e secondo molti studiosi potrebbe scomparire anche a seguito di una qualche eruzione naturale nelle Eolie, che potrebbe causare un piccolo tsunami che potrebbe travolgere le lucertole.

Per quanto riguarda i mammiferi, oltre all'orso bruno marsicano, sono in sofferenza in particolar modo i chirotteri (pipistrelli) italiani, di cui si conosce davvero poco. La specie che attualmente viene considerata in pericolo critico è l’orecchione sardo(Plecotus sardus), che presenta poche centinaia di individui.

Infine, se vogliamo considerare gli insetti, le specie maggiormente in pericolo di estinzione sono le libellule Nehalennia speciosa e Sympecma paedisca, e la farfalla Euphydryas maturna.

Bisogna anche dire che è difficile effettuare delle campagne di monitoraggio efficaci, in grado di indicare lo status di salute di una specie. Proprio per questo a seconda dell'uscita dei vari report, le liste rosse nazionali e internazionali vengono aggiornate, con i numeri delle specie a rischio, con un numero maggiore di dati per le specie studiate di più. Per affrontare questo problema, da molti anni i ricercatori stanno cercando di attuare delle soluzioni in grado di sostenere la costante carenza di persone necessarie per effettuare le valutazioni sulle specie. L'ISPRA – l'Istituto superiore per la Protezione e la Ricerca ambientale – da cui dipende anche la composizione delle liste rosse, nel corso del 2020 ha asserito in un comunicato stampa che in Italia sarebbero 161 le specie di vertebrati a rischio estinzione (di cui 138 specie terrestri e 23 specie marine), pari al 28% delle specie valutate.

Le conseguenze delle estinzioni degli animali

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Il gorilla di montagna è il primate più grande al mondo ed uno dei più soggetti all’estinzione per deforestazione

Le conseguenze legate alla scomparsa delle specie animali possono essere irrecuperabili per l'ambiente come per l'economia e la struttura sociale umana. L'ecosistema infatti può reagire negativamente alla perdita della fauna e alla scomparsa di determinate specie carismatiche, che possono fungere da bio ingegneri o bio costruttori dell'ecosistema stesso. Le estinzioni animali poi possono portare anche alla crisi demografica di altre specie, come i predatori. Se infatti ad estinguersi sono le principali prede di un gran numero di animali, i loro avversari naturali possono anche risentirne e essere costretti a cambiare dieta, così come a migrare in altre regioni.

In linea generale quando da un ambiente cominciano ad estinguersi un gran numero di specie, solitamente l'habitat ne risente parecchio perché cominciano a mancare diversi componenti della sua intera struttura ecologica, che rischia così di collassare su sé stessa.

Anche la scomparsa di animali poco considerati dalla scienza, come i detritivori della legna secca, ha dato modo di osservare uno spaventoso peggioramento delle condizioni di vita delle specie. Gli animali che si nutrono di legno per esempio si sono dimostrati talmente importanti in determinati contesti che a seguito della loro scomparsa per via di un malattia fungina o dell'arrivo di un'altra specie, l'equilibrio dell'ecosistema ha iniziato a risentirne tanto da allarmare i ricercatori e far si che lavorassero urgentemente per un progetto di reintroduzione, per arginare l'accumulo di materiale che favoriva gli incendi.

Con la scomparsa delle specie che da secoli aiutano l'uomo a mantenere i campi coltivati biologicamente dinamici e connessi agli altri ecosistemi, l'umanità ha scoperto a partire dalla cosiddetta "rivoluzione verde" – che come afferma l'attivista indiana Vandava Shiva «verde proprio non fu» – che le estinzioni animali producono anche pesanti conseguenze sull'industria alimentare, con l'impossibilità di far riprodurre le piante che necessitano l'impollinazione.

Con la costante perdita delle risorse e il danneggiamento dell'equilibrio naturale dovuto alla scomparsa delle specie selvatiche, l'ambiente sta subendo un processo di degradazione costante, che ha come risultato ultimo quello di impoverire il territorio, che diventa incapace di recuperare il suo stato originario, in risposta a fenomeni complessi. Alcuni di essi, come il cambiamenti climatico, non fanno altro inoltre che danneggiare ulteriormente fauna, flora, contesto geologico e popolazione umana, peggiorando complessivamente la situazione e azzerando talvolta le probabilità di sopravvivenza delle stesse specie naturali.

Le possibili soluzione per proteggere le specie a rischio

uccello del paradiso, Paradisaea minor
Uccello del paradiso, Paradisaea minor

Gli scienziati nel corso degli ultimi decenni hanno sviluppato diverse politiche ambientali e strategie per tutelare la fauna selvatica soggetta al pericolo di estinzione. Diverse comprendono piani di conservazione delle specie naturali, sia nelle aree selvatiche che all'interno dei giardini zoologici, in modo tale da avere un certo controllo delle popolazioni e delle nascite. Spesso però non è così semplice trovare delle coppie di riproduttori da utilizzare negli zoo o fare in modo che le aree in cui vivono gli animali siano del tutto salve dalla caccia. Non a caso ci sono stati dei casi in cui la fecondazione assistita degli animali o il controllo totale – quasi militare – degli esemplari in libertà non ha dato i frutti sperati, come la salvaguardia totale della specie o l'aumento delle nascite.

Un caso esemplare di fallimento gestionale della fauna selvatica ha coinvolto per esempio la rarissima specie di rinoceronte bianco settentrionale, che oggi possiede solo due esemplari di sesso femminile. Questi animali sono costantemente seguiti da dei guardiani armati, che tengono lontani i bracconieri. Purtroppo però l'impiego di restrizioni non ha impedito in passato che i territori precedentemente abitati di questi animali venissero distrutti e che soggetti senza scrupoli riuscissero comunque ad uccidere i maschi, per rivenderne il corno.

Le legislazioni nazionali e internazionali hanno tuttavia migliorato enormemente lo status di salute della fauna selvatica di molti paesi, rendendo illegale il possesso o l'abbattimento di molte delle specie che precedentemente venivano sfruttate in maniera sconsiderata per finalità economiche e commerciali.

Altre strategie molto utili che vengono impiegate dai ricercatori per consentire alle specie di recuperare terreno, rispetto alle crisi demografiche o a eventuali estinzioni locali, sono le campagne di ripopolamento e reintroduzione, che in Europa e negli Stati Uniti coinvolgono principalmente le aree soggette a protezione come le aree natura 2000. Anche i progetti di Citizen Science vengono sempre più spesso utilizzati per aiutare la fauna a sfuggire dalla morsa dell'estinzione e per monitorare le popolazioni meno numerose. Tali progetti sono molto importanti anche perché inducono i cittadini a sentirsi partecipi del progetto di recupero e di monitoraggio ambientale, favorendo l'educazione che sempre di più viene considerato dagli esperti come il mezzo ideale per indurre le persone a tutelare le specie.

Anche i vari divieti di pesca e la semplice raccolta differenziata favoriscono una tutela generalizzata degli animali in pericolo, ma se dovessimo ideare una nuova strategia per assicurare un futuro alle varie specie potenzialmente estinte entro il 2100, dovremmo probabilmente guardare anche ai nostri amici animali domestici, che, come noi, sono responsabili di una buona parte delle estinzioni presenti oggi in natura.

Dotare di campanellini i collari dei nostri amici a quattro zampe potrebbe, per esempio, garantire la sopravvivenza di moltissimi rettili e uccelli nei giardini, che non verrebbero più uccisi durante il gioco dei nostri "piccoli predatori". Non permettere inoltre ai nostro cani di correre troppo lontano dai sentieri, mentre compiamo una passeggiata nel bosco, limita il numero di potenziali incidenti e ci assicura che orsi e lupi non vengano troppo disturbati dal loro arrivo.

Creare, inoltre, degli spazi completamente pensati per la fauna selvatica, lontano dalle grandi riserve e più vicino alle nostre campagne e periferie, garantirebbe l'istituzione di aree cuscinetto che permetterebbero a noi di godere dei servizi resi dalle specie selvatiche – uno fra tutti, il contrasto delle specie aliene e dei parassiti -, ma anche di avere una maggiore qualità delle fauna vicino ai contesti urbani e una maggiore possibilità per questi animali di occupare territori precedentemente governati dall'asfalto.

Sono laureato in Scienze Naturali e in Biologia e Biodiversità Ambientale, con due tesi su argomenti ornitologici. Sono un grande appassionato di escursionismo e di scienze e per questo ho deciso di frequentare un master in comunicazione scientifica. La scrittura è la mia più grande passione.
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