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26 Gennaio 2021
14:30

Major, dal canile alla Casa Bianca: gli Usa tra eutanasia degli animali domestici e cultura “no kill”

Major, il cane di Biden, è il primo cane adottato da un canile da un presidente degli Stati Uniti. Il fenomeno del randagismo in Usa è molto sentito dagli animalisti perché sono ancora tanti i canili che prevedono l'eutanasia per gli animali che non trovano un'adozione dopo un certo periodo di tempo.

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Validato da Laura Arena
Membro del comitato scientifico di Kodami
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Champ e Major Biden sono ufficialmente due nuovi inquilini della Casa Bianca. Infatti insieme al nuovo presidente Joe Biden sono arrivati anche loro nella residenza di Washington D.C.: i neo “First Dogs”. I due pastori tedeschi sono già stati fotografati che scorrazzano nel parco, in fase di ambientamento tra corse e conquiste di nuovi spazi. Champ fa parte della famiglia da più di 10 anni e per lui Washington non è una novità, perché ha vissuto lì quando Biden era il vice di Barack Obama. Per Major, invece, è la prima volta. Un evento molto speciale, visto che è il primo cane adottato da un canile a entrare alla Casa Bianca.

Da dove arriva Major e il fenomeno del randagismo in Usa

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Major alla Casa Bianca (credits: account ufficiale Twitter)

Negli Stati Uniti il fenomeno del randagismo ha una storia molto lunga ed è stata sempre affrontata nella maniera più estrema, ovvero sopprimendo gli animali. Cosa che avviene ancora adesso, seppur con minore frequenza. La gestione degli animali abbandonati, infatti, negli Usa si basa da sempre su un iter che prevede il recupero dalla strada e, dopo un più o meno breve periodo in rifugio, in mancanza di adozione o del ricongiungimento con il proprietario, in quasi tutti gli Stati si pratica l’eutanasia. 

Negli ultimi quaranta anni, però, il numero dei cani e gatti uccisi è andato progressivamente riducendosi: un'indagine condotta dal New York Times sui dati provenienti dai rifugi municipali delle principali 20 città del Paese, ha rivelato che nell’ultimo decennio i tassi di eutanasia degli animali domestici negli agglomerati urbani è sceso di oltre il 75%, e che la tendenza si estende, bene o male, all’insieme del Paese.

Gli ultimi dati di riferimento riguardanti il 2019 rilevano che nel corso dei primi otto mesi dell’anno sono stati soppressi circa 733.000 cani e gatti in tutti gli Stati Uniti. Sebbene il dato resti comunque molto elevato, si tratta in realtà di un numero molto contenuto se pensiamo che negli anni ‘70, ogni anno il numero ammontava a 13 milioni e mezzo.

Come si è fatta strada la cultura del “no kill”

Gli animalisti e le associazioni “no kill” lottano strenuamente affinché venga abolita l’eutanasia degli animali accolti nei rifugi e grazie alla loro opera di sensibilizzazione, finalizzata a considerare cani e gatti non più come oggetti, il numero globale di animali che entra in un rifugio è andato progressivamente diminuendo e di conseguenza quello delle eutanasie. La convinzione delle persone, infatti, è stata per anni che gli animali ospiti dei rifugi, fossero lì perché non in salute o perché con problematiche comportamentali. Ma il continuo martellamento su quanto questa idea fosse errata e quanto invece fosse importante adottare un animale piuttosto che comprarlo, ha portato ad un lento ma reale cambiamento di mentalità, trasformando quella radicata percezione negativa in quella più positiva di essere attivamente coinvolti nel salvare una vita, lasciando uno spazio in più nel rifugio per un nuovo animale salvato.

L’American Society for the Prevention of Cruelty to Animals (ASPCA) stima che siano circa 3,3 milioni i cani che entrano nei rifugi ogni anno. Di questi, circa 670.000 vengono soppressi, cifra che però, nel 2011 era di 2,6 milioni. Un deciso cambiamento. L’anno scorso, sempre secondo l'ASPCA, sono stati più di 1,6 milioni i cani adottati. E sebbene, negli Stati Uniti non esista un conteggio ufficiale del numero di animali domestici acquistati rispetto a quelli adottati, l'American Veterinary Medical Association ha stimato che la maggior parte degli animali da compagnia, circa 77 milioni, provenga dai rifugi.

L’aumento delle adozioni è dovuto anche a due altri motivi: sicuramente alla politica di sterilizzazione degli animali attuata dai veterinari privati, e al fatto che, molte amministrazioni locali, hanno deciso di differenziare la tassa di possesso tra gli animali sterilizzati, meno onerosa, e quelli no. Insomma, il numero delle eutanasie è passato dai 13 milioni all’anno degli anni Settanta agli attuali 2 milioni l’anno. Sempre molte, ma il calo progressivo porta a pensare positivamente. È chiaro che, visto che al momento l’eutanasia è considerata ancora una pratica accettabile, l'unica strada percorribile sarà continuare a evitare la soppressione del maggior numero possibile di animali.

Eutanasia, come e se si applica in Italia

Il nostro Paese a tal riguardo è piuttosto avanzato. La normativa vigente vieta la soppressione degli animali, salvo casi di particolare e comprovata gravità. Il proprietario di un animale non può prendere la decisione di far sopprimere il proprio cane o gatto a seconda delle sue necessità. Né può farlo, il medico veterinario in nessun caso su richiesta del proprietario, visto che il ruolo di quest'ultimo è di garantire il rispetto della tutela e del benessere degli animali. Le disposizioni che regolano la materia, si trovano nella Legge n. 189/04, normativa che ha inserito nel Codice penale i reati contro il sentimento delle persone verso gli animali, la quale punisce qualsiasi uccisione provocata per crudeltà o in assenza di necessità.

In assenza di necessità, la soppressione dell’animale diviene non soltanto illegittima ma anche illegale e suscettibile quindi di conseguenze deontologiche per il veterinario che proceda in assenza dei requisiti di legge, ma anche penali per tutti i soggetti coinvolti. Chiunque dovesse sopprimere un animale, quale esecutore o mandante, infatti, commetterebbe il reato previsto dall’art. 544 bis c.p., "Uccisione di animali", punito con la reclusione da quattro mesi a due anni.

Con riguardo specifico ai cani randagi si deve guardare alla Legge n. 281/91, “Legge quadro in materia di animali di affezione e prevenzione del randagismo”, che, all’art. 2, vieta la soppressione degli animali randagi e prevede che possano essere soppressi solo se gravemente malati, incurabili o di comprovata pericolosità.

Per quanto riguarda la grave malattia dell’animale, si intendono i soggetti affetti da gravi patologie, incurabili, nelle quali l’organismo non reagisce più ai farmaci e nelle malattie in stadio terminale. Non rientrano in questo caso cani con malattie croniche che possono essere tenute sotto controllo da adeguata terapia farmacologica. In altri termini, è permessa l’eutanasia solo se inevitabile e nell’interesse dell’animale.

Infine, sulla comprovata pericolosità, è l’articolo 3 dell’Ordinanza contingibile e urgente concernente la tutela dell’incolumità pubblica dall’aggressione dei cani, a descrivere i casi: «A seguito di morsicatura o aggressione, i servizi veterinari attivano un percorso mirato all’accertamento delle condizioni psicofisiche dell’animale e della corretta gestione da parte del proprietario. I servizi veterinari, (omissis) in casi di rischio elevato, stabiliscono le misure di prevenzione e la necessità di una valutazione comportamentale e di un eventuale intervento terapeutico da parte di medici veterinari esperti in comportamento animale. I servizi veterinari detengono un registro aggiornato dei cani dichiarati a rischio elevato di aggressività ai sensi del comma 3. I proprietari dei cani inseriti nel registro stipulano un’assicurazione di responsabilità civile per danni conto terzi causati dal proprio cane e applicano sempre al cane quando si trova in aree urbane e nei luoghi all’aperto al pubblico, sia guinzaglio che museruola». Qualora il cane venga ritenuto di “comprovata pericolosità”, oltre ogni ragionevole dubbio e dopo essere passato ancora per un iter burocratico specifico, potrà essere applicata l’eutanasia o la detenzione dell’animale in strutture adeguate.

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Simona Sirianni
Giornalista
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