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5 Febbraio 2022
8:50

Choc in Florida: poliziotto spara e uccide un cane a sangue freddo

L'episodio nella contea di Miami-Dade. Il poliziotto è intervenuto per una segnalazione in merito ad alcuni cani che abbaiavano, ma quando è arrivato sul posto e uno dei due cani della famiglia gli si è avvicinato ha fatto fuoco. Il cane, un American Bully, non aveva dato cenni di aggressività.

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Ucciso a sangue freddo da un poliziotto solo perché si era avvicinato troppo a lui durante un controllo relativo a una segnalazione per disturbo della quiete domestica. È successo nella contea di Miami-Dade, in Florida, un episodio che nel giro di pochi giorni ha fatto il giro del mondo anche perché immortalato da un sistema di video sorveglianza che ha ripreso l’intera scena.

Stando a quanto riportato dai media locali, l’uccisione è avvenuta all’esterno di un’abitazione nel quartiere di Miami Gardens intorno alle 19 di sera. La polizia aveva ricevuto una segnalazione in merito ad alcuni cani che abbaiavano e una pattuglia è arrivata sul posto per approfondire. Nel video si vede un poliziotto parlare con il padrone di casa, Lazaro Abraham. L’uomo torna verso l'appartamento, e in quel momento sulla scena sopraggiungono due cani.

L’agente chiede a una donna all’interno, in spagnolo, di «tenerli», poi gira intorno all’auto di servizio mentre uno dei due, un American Bully di 8 mesi di nome Alpha, si dirige verso di lui. A quel punto il poliziotto estrae la pistola e gli spara. Non uno, ma sette colpi, praticamente a bruciapelo. Pochi istanti dopo Abraham e la compagna corrono all’esterno, urlando disperati nel vedere il cane a terra, ormai senza vita.

Le polemiche per l'uccisione di Alpha

L’uccisione di Alpha ha scatenato un’ondata di polemiche da parte delle associazioni animaliste, che hanno chiesto al dipartimento di polizia di Miami-Dade di fare chiarezza sull’accaduto e di provvedere a formare i poliziotti per gestire situazioni di questo genere: «Questo incidente non sarebbe accaduto se l’agente fosse stato adeguatamente addestrato – ha detto in una nota la Miami Coalition Against Breed Specific Legislation – Dobbiamo fare di meglio per proteggere i nostri familiari a quattro zampe. Alpha non ha mostrato aggressività e non meritava di morire in questo modo». La sindaca di Miami-Dade, Danielle Cava, ha diffuso una nota in cui si dice «profondamente turbata dal video. L’agente coinvolto è stato riassegnato al compito amministrativo e il dipartimento sta conducendo un'indagine completa sull'incidente».

Il dipartimento di polizia non ha rilasciato dichiarazioni ufficiali se non quella con cui ha confermato di avere aperto un’indagine interna su quanto accaduto, mentre la famiglia di Alpha ha già assunto un avvocato per essere assistita nel caso: «Il nostro studio è stato ingaggiato in riferimento a questo incidente – ha detto in una nota l’avvocato Gregory Moore – Ci sentiamo affranti per la famiglia, e siamo convinti del fatto che qualsiasi agente di polizia non dovrebbe usare forza letale a meno che non sia assolutamente necessario. Quando l'ufficiale ha altri mezzi alternativi non mortali a sua disposizione, dovrebbero essere usati prima di estrarre l'arma».

Gli Stati Uniti tra eutanasia e cultura no kill

Quando accaduto, pur scioccando per le modalità accertate con un filmato, non stupisce se si tiene conto dell’atteggiamento contraddittorio con cui gli Stati Uniti affrontano il tema degli animali, del loro accudimento e del loro benessere. Nel Paese il fenomeno del randagismo è sempre stata affrontata nella maniera più estrema, e cioè con la soppressione degli animali domestici se, dopo un periodo più o meno lungo in rifugio o in canile, non viene adottato.

Negli ultimi decenni la sensibilità è certamente cambiata, e il numero di cani e gatti uccisi è andato progressivamente in diminuzione (un’indagine del New York Times parla di un calo del 75% negli ultimi 40 anni) con l’aumento di adozioni più consapevoli. Molti americani hanno deciso di adottare il loro compagno di vita in canile o in rifugio, e sempre più celebrity collaborano con le associazioni “no kill” – quelle che si battono, cioè, per eliminare del tutto il ricorso all’eutanasia – per sensibilizzare la popolazione.

Resta il fatto che nei primi mesi del 2019 sono stati soppressi circa 733.000 cani e gatti in tutti gli Stati Uniti (negli anni 70 erano 13 milioni e mezzo, una cifra quasi incredibile), e che secondo una stima dell’American Society for the Prevention of Cruelty to Animals (Aspca) circa 3,3 milioni di cani entrano nei rifugi ogni anno, e che il 20% circa viene soppresso. Le associazioni si battono, più che per un cambio di normativa, per un cambio di mentalità: sensibilizzare le persone in primis sul non abbandonare, in secondo luogo sull’adottare in canili e rifugi perché gli animali che vi arrivano non hanno problemi di natura fisica o comportamentale, ma sono appunto frutto di sconsiderati abbandoni.

L’esempio virtuoso dei “Vicktory Dog”

A questa lato dell’America si affianca poi quello estremamente sensibile alle tematiche animali, con milioni di famiglie che accolgono cani e gatti come membri integranti del nucleo e una mentalità che consente di trattarli come tali. E i pregiudizi sembrano essere molto inferiori rispetto a quanto accade nella “civilissima” Italia, dove l’eutanasia non si pratica ma dove alcuni cani vengono stigmatizzati sulla base della loro razza. È il caso del Pitbull: negli Stati Uniti numerose associazioni impiegano cani di questa razza per fare pet therapy, come spiega bene l’Animal Foundation di Las Vegas.

«Forse gli esempi più noti e drammatici di pitbull che sono diventati cani da terapia sono i cosiddetti “Vicktory Dog”», spiegano dall’associazione. Il riferimento è al caso del giocatore di football Michael Vick, che nel 2007 venne condannato con l’accusa di avere promosso combattimenti tra cani con annesse torture e uccisioni. Quarantanove cani di razza Pitbull vennero ai tempi sequestrati, e tutti tranne uno sono stati affidati a gruppi di salvataggio degli animali.

Il Best Friends Animal Sanctuary ha accolto i 22 cani più traumatizzati e ha fornito loro l’assistenza, le cure veterinarie e il supporto emotivo approfondito di cui avevano bisogno. Oggi sono noti appunto come i “cani della vittoria”, e la maggior parte ha trovato casa, molti in famiglie con bambini e altri cani.

«Molti sono diventati cani da servizio o cani pet therapy – spiega l’associazione – Johnny Justice è un cane da pet therapy a San Francisco ed è stato nominato Cane dell'anno Aspca nel 2014 per il suo lavoro con i bambini malati terminali. Anche Sox e Hector hanno ricevuto la certificazione per cani da pet therapy, e trascorrono le loro giornate in ospedali, case di cura e scuole».

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Andrea Barsanti
Giornalista
Sono nata in Liguria nel 1984, da qualche anno vivo a Roma. Giornalista dal 2012, grazie a Kodami l'amore per gli animali è diventato un lavoro attraverso cui provo a fare la differenza. A ricordarmelo anche Supplì, il gatto con cui condivido la vita. Nel tempo libero tanti libri, qualche viaggio e una continua scoperta di ciò che mi circonda.
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