episodio 9

La missione di Dorothea Friz, una vita per gli animali randagi: «La dolce vita che cercavo in Italia l’ho dedicata a loro»

La veterinaria tedesca Dorothea Friz, fondatrice della Lega Pro Animale, è la responsabile della diffusione della cultura della sterilizzazione e delle prime battaglie per i cani randagi nel Casertano. Ora, dopo 40 anni, cerca qualcuno che continui il suo lavoro sul territorio.

12 Ottobre 2022
16:00
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Era venuta a cercare  "la dolce vita" in Italia, senza immaginare che l'idea di un'esperienza al caldo del Belpaese si sarebbe invece trasformata in una missione rivolta ai cani e gatti liberi che ha curato in 40 anni di lavoro nel casertano, nella zona di Castel Volturno, ancora oggi un pezzo d'Italia definibile come "terra di nessuno".

E' lì che Dorothea Friz, veterinaria tedesca, ha fondato la "Lega pro animale" e diretto la sua clinica in cui ha effettuato oltre 90 mila sterilizzazioni, dando il via negli anni 80 a un nuovo approccio per l'epoca al fenomeno del randagismo che ha portato avanti fino ad oggi e che è stato d'esempio per tanti.

«Non ho perso il mio tempo e la mia energia per convincere le persone parlando: perché se tu sei contro qualcosa non è con le parole che ti faccio cambiare idea: ho mostrato l'esempio», racconta Dorothea quando si lascia andare e apre il suo diario che è un lungo viaggio nel tempo in cui scoprire il mondo in cui ha vissuto questa piccola, grande donna.

Ascoltarla, in realtà, è come sfogliare le pagine di un romanzo intimo e allo stesso tempo collettivo di una comunità umana e animale che si dipana nello scenario di uno spaccato del sud Italia e che ha inizio un giorno del 1982, quando una giovane turista tedesca arriva in un vicolo dell'Arenaccia, un quartiere di Napoli, in cui il "paese del sole" diventa subito una realtà molto diversa da quella che si aspettava.

E' passato quasi mezzo secolo da quando, giovane e piena di speranze, Dorotea era arrivata nella Campania felix che aveva scoperto solo dai libri e dai racconti di altri e la veterinaria ora ha deciso di interrompere la sua attività ma «la clinica, che è la mia vita, deve morire? Non c'è nessuno che vuole lavorare in una clinica del genere? E' mai possibile?».

Questo appello accorato, che aveva già lanciato proprio su Kodami, potrebbe dunque chiudere o aprire un nuovo capitolo di una lunga storia di vita e di vite che si sono incrociate. Una storia che però prima va raccontata e che riguarda non solo lei ma uomini, donne e tantissimi altri animali che ne hanno fatto parte.

Da Napoli a Castelvolturno, l'Italia che Dorothea non si aspettava

«Ero giovane, venivo da una piccola città e mi ero appena laureata a Monaco: l'Italia per me era quella del sole, della gioia… del vivere bene. Sono arrivata a Napoli con il mio compagno e il mio cane e la città subito mi ha accolto nel suo essere feroce e meravigliosa allo stesso tempo», ricorda Dorothea Friz mentre i suoi occhi azzurri scintillano di una forza rara da incontrare.

L'immagine che il vicolo in cui va a vivere le rimanda è per lei indelebile: un cane di strada che attraversa il caotico groviglio di persone e macchine e che arriva sano e salvo dall'altro lato del marciapiede. «Io non avevo mai visto un randagio, per me è stato uno choc», sospira e nel suo viso si riflette chiara la figura di quell'individuo a quattro zampe che le mostra per la prima volta la strada da seguire.

Fino a quel momento la giovane veterinaria non aveva alcuna idea che i cani potessero vivere in libertà e non avere riferimenti umani fissi. Il randagismo in Germania è qualcosa che non esiste già all'epoca, mentre in Italia si è nel pieno della mattanza dei soggetti liberi e lontani da qualsiasi approccio pubblico al fenomeno. Sono anni in cui i randagi, gatti o cani che siano, vengono semplicemente accalappiati e uccisi dai Comuni o "salvati" dalla strada dai volontari ma tenuti spesso in luoghi angusti in cui le malattie prolificano.

«Nel 1983-84, quando poi ho iniziato a lavorare sul territorio del casertano dopo aver conosciuto una signora inglese che dava una mano in un canile, ho capito come andavano le cose:  solo a Napoli venivano uccisi una media di 5000 cani all'anno. Il mio primo approccio con un rifugio fu terribile: c'erano cani ammassati ovunque, pieni di malattie e denutriti. Arrivai a pensare: meglio morti che in queste condizioni».

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Quell'individuo che trotterellava da una parte all'altra del quartiere dove era andata a vivere a Napoli, l'aveva condotta verso situazioni insostenibili ai suoi occhi e a cui decide di dedicarsi: «Non potevo sopportare ciò che vedevo intorno a me in città, nelle periferie e poi nel casertano, dove si trovava quel primo canile che avevo iniziato a frequentare. Decisi così di lasciare Napoli e l'attività privata e di non rimanere spettatrice ma di mettermi subito a prestare la mia opera come veterinaria. Non avevo mai sentito parlare di leishmania, per capirci, neanche all'Università di Monaco e facemmo di tutto per curare quegli animali abbandonati a loro stessi. Andavamo con delle bacinelle per curare i cani con delle spugnature: erano devastati dalle malattie, dalla carenza di cibo e acqua. Ma era difficile lavorare con persone che non avevano una visione chiara della situazione ed è stato a quel punto che ho trovato una fattoria che abbiamo affittato a San Sossio, di fronte al villaggio Coppola».

Il litorale domizio, quel sud abbandonato dallo Stato e le prime lotte di Dorothea

L'area in cui Dorothea Friz ha lavorato per quarant'anni sarebbe potuta essere uno dei posti più belli della nostra Penisola. Ma quando si cammina per le strade di Castel Volturno, Licola e gli altri piccoli centri della zona, ancora oggi del mare non si sente quasi nemmeno l'odore e le spiagge di sabbia e dune rappresentano il triste monito della devastazione causata dall'abusivismo edilizio iniziato negli anni 60 su gran parte del litorale domizio. La riva la si raggiunge superando ville abbandonate e poi occupate, da cui spuntano esseri umani e cani che condividono la vita su un territorio nelle mani della criminalità organizzata, tra mafia nigeriana e camorra locale strette in accordi per regolare il business della prostituzione, della droga, del traffico di uomini e donne che vengono sfruttati in ogni modo.

Castel Volturno è un lembo di terra sul Mediterraneo in cui la dissennata prolificazione di palazzi e ville abusive trova la sua peggiore forma nei mostri di cemento che ancora dominano la parte del litorale che si chiama Pineta Mare ma che dai locali è ben nota come "Villaggio Coppola", dal nome dei costruttori che fecero tutto ciò che desideravano, speculando sulla "pelle della natura".  Dopo il terremoto del 1980, l'intera area fu requisita dallo Stato e lì furono mandate le famiglie rimaste senza casa. Da quel momento in poi il tessuto sociale si è andato via via sfilacciando, trasformando definitivamente una perla del patrimonio naturale italiano in un luogo che chiunque sia stato al governo di questo paese ha colpevolmente abbandonato.

«Quando riuscimmo a trovare un posto nostro, alcune persone della zona iniziarono a spargere la voce che eravamo tornati in Germania. Io avevo cominciato a sterilizzare i cani e i gatti e lo facevo gratuitamente: questo attirava l'attenzione di chi non voleva che agissi in quel modo», ricorda Dorothea. «La signora inglese che mi aveva coinvolto, per fortuna, faceva parte della onlus Italian An glo Society for the Protection of Animals (Aispa)con base a Londra e ci ha aiutato. Non ci siamo persi d'animo mai: abbiamo avuto i finanziamenti per le prime attrezzature e così ho avviato sistematicamente le mie attività. C'erano molti clienti americani all'inizio che venivano con i cani e i gatti che incontravano per strada e noi facevamo gli interventi e poi li immettevamo di nuovo sul territorio, mentre per altri cercavamo le giuste adozioni (per 20 anni le torri che sorgevano al Villaggio Coppola erano state affittate alla Marina degli Stati Uniti per ospitare le famiglie dei militari della "Allied Joint Force Command Naples" ndr)».

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Le difficoltà a cui va incontro la Friz da subito non sono solo con la gente del posto, però. «Ho dovuto affrontare anche la lotta contro lo Stato italiano perché non hanno non avevano ratificato la legge dell'Unione europea che riconosceva la laurea in veterinaria in ogni Stato. Il governo tedesco ha scritto una bella lettera a quello italiano in mio favore e io sono stata la prima veterinaria ad essere iscritta all'ordine  in Italia».

Il controllo delle nascite nell'Italia degli anni 90 in cui i cani e i gatti non vengono più uccisi per legge

«In America si dice "the key". Significa trovare una soluzione, ovvero "la chiave per aprire la porta", per risolvere il problema – continua Dorothea – Avevo a che fare con 30, 40 cuccioli al giorno: ce li lasciavano davanti al cancello, li trovavamo in giro per le strade. Così ho iniziato a diffondere l'idea del controllo delle nascite prendendo spunto da quello che succedeva negli Usa con la sterilizzazione dei gatti, a farlo gratuitamente per i cani liberi e ad applicare dei prezzi calmierati per le famiglie che avevano animali e non potevano affrontare costi alti. Del resto ancora oggi se guardiamo oltreoceano gli americani sono abituati a questa pratica: lì sterilizzare è come fare la vaccinazione o la cura per i vermi: è normale e costa poco, intorno ai 50 dollari».

Il passaggio dagli anni 80 ai 90 diventa un punto di svolta nel nostro Paese, almeno sulla carta, relativamente al fenomeno del randagismo ma per Dorothea le cose non cambiano molto. Viene infatti promulgata quella che ancora oggi è la Legge quadro in materia di animali d'affezione, la 281/91, in cui lo Stato italiano sancisce lo stop alla pratica dell'eutanasia e la nascita di canili pubblici che nell'ottica del legislatore sarebbero dovuti essere solo luoghi di passaggio per garantire agli animali le cure necessarie per poi trovare delle adozioni.

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«Quando ripenso a tutto ciò che è stato fatto in Italia, la mia riflessione è sempre la stessa: c'è ancora un "problema randagismo" e si è finalmente capito che l'uccisione non serve a niente, del resto è stato dimostrato in tutto il mondo, non solo in Italia. Ma con i canili, dove dopo la legge del '91 sono stati ammassati e dimenticati milioni di individui, non si è risolto granché. Ricordo ancora quando sono andata a Roma a un convegno nazionale in cui avevano invitato tutti gli animalisti. Gli ho proposto l'esempio della Napoli dell'epoca per far capire l'importanza del contenimento delle nascite: "Avete ucciso 5000 cani ogni anno prima della nuova normativa, ora che non si possono più eliminare, vorrebbe dire che dovreste creare canili in cui metterli dentro. Pensateci: un cane vive mediamente dieci anni. Fate i calcoli: non può essere il carcere a vita la soluzione per un numero così elevato di soggetti, oltretutto". Così ancora oggi mi spiego le cose, alla fine: era l'inizio di un business».

Su questo Dorothea non ha dubbi, il benessere degli animali dal suo punto di vista non è stato posto al centro della discussione: «Dal 14 agosto 1991 l'uccisione viene vietata e si è iniziato a mettere gli animali nelle gabbie ma è stato tutto paradossale: il servizio veterinario ancora oggi opera le catture ma non deve pagare il ricovero, che è a carico dei Comuni. La "patata bollente" se la passano l'uno all'altro e alla fine chi è che paga in realtà? Il contribuente che versa denaro per il ricovero a vita di cani che erano liberi. E' stata la nascita di un commercio: in certi canili oggi non si può entrare per scegliere un cane».

Intanto la vita di Dorothea sta per cambiare di nuovo dal punto di vista dell'organizzazione del suo lavoro. La fattoria in cui viveva non è più il posto adatto dove operare: «A un certo punto è crollato un edificio davanti a me, mi ha salvato un'amica giusto in tempo. Abbiamo così cercato sponsor per comprare un terreno, per fare qualcosa veramente di nostro e ho trovato una signora in Germania che  ci ha dato i soldi e così man mano ha cominciato a recintare. Era una grande area con a fianco un prato, una zona agricola e così, man mano, abbiamo creato la clinica come è oggi. Abbiamo avuto molto aiuto da parte dell'Aispa come avevano fatto sin dall'inizio ma soprattutto da un signore svizzero che mi ha conosciuto tramite i viaggi che ho fatto in tutta Europa per raccogliere fondi e portare avanti il mio progetto».

Le accuse di vivisezione e commercio di animali randagi

La caparbia capacità di Dorothea e del suo team di creare da zero un progetto così intenso e riuscire a raccogliere fondi da finanziatori esteri genera però sempre più invidia. «Le minacce si sono susseguite negli anni: è stata un escalation fino a quando mi hanno accusato di aver messo in piedi un traffico di animali randagi verso la Germania. Dicevano che venivano destinati ai laboratori dove si praticava la vivisezione, fino ad arrivare a spargere la voce che li vendevo pure ai ristoranti come cibo».

Le calunnie secondo la Friz «arrivavano da alcuni animalisti locali e anche da altre parti d'Italia e pure da colleghi: i primi contrari al mio modo di approcciare al fenomeno, i secondi infastiditi dai prezzi che facevo ai privati o dalla completa gratuità dei miei interventi». E in questo marasma di voci non verificate anche i media ci mettono la loro, addirittura la Rai manda in onda un servizio nel quale viene ripreso un articolo uscito su "L'Indipendente" in cui vengono mostrate immagini «prese dalla Romania dove venivano fatti accalappiamenti e uccisioni e con un commento che diceva che era quello il mio modo di operare – ricorda la dottoressa, riuscendo anche a mantenere un sorriso mentre i suoi occhi azzurri riflettono la tristezza e la rabbia di un tempo – Dopo quella trasmissione sulla televisione pubblica ho fatto causa. E' durata otto anni ma alla fine ho vinto. Ho denunciato anche il giornalista che aveva scritto l'articolo su di me e con i soldi che ho ottenuto ho creato l'infermeria nella clinica».

Le minacce comunque non sono mai finite. «Ci sono abituata – sorride la veterinaria – Una volta mi è arrivato, proprio il 24 dicembre, un pacchetto. Il postino era perplesso al momento della consegna, aveva un odore strano ma entrambi pensavamo fossero donazioni di cibo andato a male. La sera della vigilia di Natale, quando ho aperto il pacco dentro c'era un pollo, ucciso con un filo di ferro intorno al collo e con il sangue intriso. Era accompagnato da un biglietto su cui c'era scritto: "Vattene a casa puttana, altrimenti ti succede la stessa cosa"».

Un patrimonio di conoscenze e attività da portare avanti o la clinica rischia di chiudere per sempre

Gli anni 2000 sono stati caratterizzati dalla consacrazione di Dorothea nel mondo accademico e dall'affetto dei tanti cittadini che da lei hanno avuto sostegno e aiuto.

«Penso che chi oggi nelle teste delle persone della zona, e intendo tanto in Campania quanto nel Lazio dove pure abbiamo gestito un ambulatorio, il controllo delle nascite sia un approccio consolidato. Ma c'è ancora da lavorare, bisogna continuare a fare divulgazione e informazione per convincere le persone. Se i veterinari abbassassero un po' il prezzo degli interventi io ritengo che se ne farebbero di più ma sono fiduciosa perché vedo tanti colleghi che ancora utilizzano le mie tecniche e, al di là di questo, che sono sensibili al tema. Abbiamo svolto per anni corsi dedicati proprio ai veterinari per fare in modo che l'intervento fosse quanto meno invasivo possibile: il giorno dopo si può lasciare andare il soggetto senza problemi e restituirgli la sua libertà».

Dorothea Friz ora però sa anche che è arrivato il momento di lasciare spazio a chi ha le forze per poter continuare a svolgere la sua missione. «Penso che ormai il carro va avanti da solo dal punto di vista dell'essere riuscita a far comprendere l'importanza della tutela degli animali e della relazione con le persone per una pacifica convivenza. Io sono anziana e non posso fare più tanti sforzi fisici. Ma la clinica, la mia vita deve morire? Non c'è nessuno che vuole lavorare in una clinica del genere in cui c'è tutto? Ci sono anche i clienti che disperatamente vogliono usufruirne».

Ciò che la fondatrice della Lega pro animale sta cercando, dunque, è un gruppo di colleghi che vogliano rilevare la sua clinica che lei cede in affitto, a patto però che si continui la missione che ha dato il via a tutto: «La fondazione continuerà a finanziare il progetto: chi decide di portare avanti il nostro lavoro avrà a disposizione un centro all'avanguardia e il sostegno economico per far sì che questi quarant'anni non vadano persi».

Quella giovane turista che 40 anni fa era arrivata in Italia è la stessa donna che oggi ha ancora la forza di fare un appello per la sua missione e in cui brucia sempre ardente il desiderio di voler trasferire le sue competenze e la sua esperienza a chi vorrà seguire le tracce che ha lasciato. Dorothea Friz la sua "dolce vita" in fondo l'ha realizzata, dedicandola agli animali e alle persone che ha incontrato ma il prossimo capitolo perché questa storia non abbia fine ancora non si sa se sarà scritto.

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Diana Letizia
Direttrice editoriale
Giornalista professionista e scrittrice. Laureata in Giurisprudenza, specializzata in Etologia canina al dipartimento di Biologia dell’Università Federico II di Napoli e riabilitatrice e istruttrice cinofila con approccio Cognitivo-Zooantropologico (master conseguito al dipartimento di Medicina Veterinaria dell’Università di Parma). Sono nata a Napoli nel 1974 e ho incontrato Frisk nel 2015. Grazie a lui, un meticcio siciliano, cresciuto a Genova e napoletano d’adozione ho iniziato a guardare il mondo anche attraverso l’osservazione delle altre specie. Kodami è il luogo in cui ho trovato il mio ecosistema: giornalismo e etologia nel segno di un’informazione ad alta qualità di contenuti.
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