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14 Maggio 2021
17:45

«Stop al diclofenac, avvelena avvoltoi e altri rapaci», l’appello degli scienziati all’Europa

Il diclofenac per uso veterinario ha causato il declino del 95% delle popolazioni asiatiche di avvoltoi. In Europa è ancora permesso per curare il bestiame e rappresenta una delle minacce principali per la sopravvivenza dei rapaci necrofagi. Un gruppo di ricercatori ha pubblicato un appello su Science per chiedere la messa al bando di questo farmaco in Europa.

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Il farmaco diclofenac, presente in diversi medicinali per uso veterinario, è un veleno letale per gli avvoltoi e gli altri rapaci che si nutrono delle carcasse del bestiame. L'uso incontrollato di questo antinfiammatorio ha causato il declino di circa il 95% delle popolazioni asiatiche di avvoltoi, portando alcune specie a un passo dell'estinzione. Tuttavia in molti paesi europei, come Italia e Spagna, l'utilizzo di questo farmaco è ancora permesso e rappresenta una grave minaccia per le nostre popolazioni di rapaci. Proprio per questo motivo un gruppo di ricercatori di diversi istituti europei ha pubblicato un appello sulla prestigiosa rivista Science per chiedere la messa al bando di questo farmaco in Europa.

La crisi degli avvoltoi causata dal diclofenac in India

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Un grifone (Gyps fulvus), la specie più comune e numerosa in Europa

Fino agli anni 80 le popolazioni indiane di avvoltoi contavano decine di milioni di esemplari. La maggior parte di queste specie vive ancora oggi a stretto contatto con le popolazioni umane e dipende prevalentemente dal bestiame allevato: gli avvoltoi sono infatti necrofagi obbligati, e mangiano esclusivamente carcasse, soprattutto di grandi mammiferi. I milioni di bovini allevati in India sono sempre stati quindi la fonte di cibo principale per questi rapaci, largamente accettati e visti di buon occhio dalla religione Indù. D'altro canto hanno sempre offerto gratuitamente i loro preziosi servigi per lo smaltimento naturale delle mucche, considerate sacre e quasi mai destinate al consumo umano.

A partire dagli anni 90, però, si è assistito a un rapidissimo e catastrofico declino delle popolazioni di tutte e nove le specie di avvoltoi presenti in India. Per molto tempo scienziati e ricercatori hanno cercato le possibili cause di questa apparentemente inspiegabile crisi e, dopo aver avanzato diverse ipotesi, solamente nel 2003 hanno scoperto che la causa era proprio il diclofenac utilizzato per curare il bestiame.

Proprio negli anni 90, infatti, iniziò l'uso massiccio del diclofenac per combattere infiammazioni, febbre, dolori e altre malattie nel bestiame. I rapaci si nutrivano delle carcasse contaminate dal farmaco e morivano avvelenati. Secondo un modello statistico pubblicato nel 2004 sarebbe bastato che solamente l'1% delle carcasse fosse contaminato per avere un calo nel numero di avvoltoi del 60%. Le analisi successive sulle carcasse dimostrarono che la percentuale di animali contaminati era almeno del 10%.

Il mistero era stato risolto, e così si apri finalmente uno spiraglio sulla drammatica crisi indiana degli avvoltoi.

Le conseguenze e il divieto per salvare gli avvoltoi dall'estinzione

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Un grifone groppabianca (Gyps bengalensis), una delle specie spazzate quasi via dal diclofenac e considerata ancora "In pericolo critico" nella Lista Rossa IUCN

Tutte e nove le specie di avvoltoi erano diminuite di circa il 95% e alcune di queste, come il grifone groppabianca (Gyps bengalensis) e il grifone beccosottile (Gyps tenuirostris), avevano toccato percentuali addirittura del 99,7 e 97,4%. Le conseguenze della scomparsa degli avvoltoi sulla società furano catastrofiche. I servizi di smaltimento delle carcasse offerti dagli spazzini cessarono, con conseguente accumulo di animali morti in tutto il Paese. Ratti, cani randagi e altri animali iniziarono ad aumentare, favorendo la diffusione di malattie come la rabbia, l'antrace, e la peste. Si stima che il declino degli avvoltoi per l'India costi ogni anno circa 24 miliardi di dollari tra cure, vaccinazioni e sterilizzazioni per contrastare la diffusione delle malattie tra la popolazione.

Per contrastare questa crisi il governo indiano vietò l'uso veterinario del diclofenac nel 2006. E lo stesso fecero poco dopo anche Nepal e Pakistan. Fu immediatamente sviluppato un farmaco sostitutivo non tossico e la crisi si arrestò, anche se il diclofenac continua a essere disponibile sul mercato nero e i numerosi altri paesi ancora oggi.

L'appello per evitare la crisi in Europa

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Avvoltoio monaco (Aegypius monachus), il più grosso avvoltoio presente in Europa

Nonostante il precedente indiano dimostri chiaramente le potenzialità catastrofiche del dicofenac, l'uso del farmaco per scopi veterinari in Europa è stato comunque approvato nel 2013 in Italia e Spagna, dove si concentra circa il 90% della popolazione di avvoltoi europei. Non siamo ancora in piena crisi, ma i ricercatori spagnoli che hanno partecipato all'appello hanno dimostrato che ci sono già le prime prove della pericolosità anche nel nostro continente. Nel settembre 2020, infatti, un avvoltoio monaco (Aegypius monachus), il più grande tra le specie europee, è stato trovato morto proprio avvelenato dal diclofenac.

Esistono già alternative più sicure, come l'antinfiammatorio meloxicam, che si sono dimostrate efficaci per fermare la crisi asiatica. Per proteggere la biodiversità e gli avvoltoi anche in Europa occorre fermare quindi l'uso del diclofenac. Lo chiedono gli scienziati e lo chiedono tutte le più importanti associazioni di tutela degli uccelli, come Birdlife, LIPU, WWF e la Vulture Conservation Foundation, che dal 2017 hanno lanciato la campagna Ban Vet Diclofenac. Non ci sono alternative, e occorre agire in fretta.

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Salvatore Ferraro
Redattore
Naturalista e ornitologo di formazione, sin da bambino, prima ancora di imparare a leggere e scrivere, il mio più grande sogno è sempre stato quello di conoscere tutto sugli animali e il loro comportamento. Col tempo mi sono specializzato nello studio degli uccelli sul campo e, parallelamente, nell'educazione ambientale. Alla base del mio interesse per le scienze naturali, oltre a una profonda e sincera vocazione, c'è la voglia di mettere a disposizione quello che ho imparato, provando a comunicare e a trasmettere i valori in cui credo e per i quali combatto ogni giorno: la conservazione della natura e la salvaguardia del nostro Pianeta e di chiunque vi abiti.
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