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4 Gennaio 2021
8:00

Lupo: il cane che è riuscito a spezzare un pregiudizio

La storia di un cane arrivato da poco in canile che provoca lo stupore di tutti per le sue fattezze. Cane o lupo? E’ il dubbio che nasce tra gli operatori del canile. E quale sarà la persona giusta per lui?

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Istruttrice cinofila
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Quando arrivai in canile quella mattina, la cosa che ricordo più chiaramente a distanza di anni  é il caldo. Un’afa terribile, una temperatura insopportabile che toglieva il fiato: una di quelle estati di cui la gente parla quando si incontra e che descrive puntualmente tra le più calde del mondo, dando la colpa ai fenomeni più disparati. Durante il viaggio per raggiungere il posto, il mio unico pensiero era che per i cani in struttura quelle temperature dovevano assomigliare a quello che di più vicino esiste ad una vera e propria tortura. Nel retro della macchina avevo caricato il mio ultimo acquisto e speravo con tutta me stessa che le quattro piscinette che avevo preso per i cani potessero dare un po’ di refrigerio agli ospiti e che il mio lavoro quel giorno, si sarebbe limitato a permettere a tutti di uscire e rinfrescarsi. Niente guinzagli, lunghine, prove e passeggiate: solo e semplicemente non far nulla: mi pareva un buon programma. Non avevo fatto i conti, però, con le novità che sempre modificano i piani e solo appena scesa dall’auto fui avvertita dell’arrivo in struttura di un nuovo cane. L’operatore aveva il viso crucciato, un misto tra stupore e timore, ma si era limitato a dirmi se volevo vederlo, perché lui era molto perplesso: non era un cane, gli sembrava a tutti gli effetti un lupo.

Lupo: mai nome fu più azzeccato!

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Arrivata al box, lo stupore fu davvero tanto: stavo guardando un cane arrivato da poche ore, sicuramente stressato e incapace di capire perché si trovasse in quella scatola di ferro e cemento. Girava senza sosta, non accennava a fermarsi e non ti rivolgeva un’occhiata neanche a sforzarsi di incrociare il suo muso. Era fisicamente un cane davvero bello ma per mantenere un po’ di serenità e un clima tranquillo, azzardai subito nel dire che assomigliava effettivamente tantissimo ad un lupo nelle sue fattezze ma ero certa che non lo fosse. Dentro di me non lo pensavo davvero ma volevo in quel momento solo convincere tutti per rassicurarli. Chiesi al volontario che mi aveva accolto informazioni sulla sua provenienza: ogni notizia per redigere la scheda di ingresso mi avrebbe aiutata a capire che fosse un cane a tutti gli effetti e a stemperare il clima con quella sana ironia che spesso ci toglie da situazioni ingombranti di tensione che rischiano di dare subito un’etichetta ad un cane e che segna il suo destino in canile. Mentre mi confrontavo con gli altri, ci fu un solo momento di sosta per lui: da dentro il box si era improvvisamente fermato per annusare nell’aria un filo di odore a noi umani impercettibile. Stava processando quella scia olfattiva con attenzione, cercando di capirne provenienza e direzione. Ci rivolse uno sguardo di sfuggita prima di riprendere a girare in tondo. Fu allora che capii che Lupo sarebbe stato il solo nome che avrebbe potuto avere.

Un cane libero di essere se stesso

Lupo, come spesso accade a molti cani, non aveva una storia strappalacrime alle spalle né episodi di grande rilevanza da metterlo in pericolo tanto da essere portato in canile. Era semplicemente un cane che viveva in una zona rurale lì vicino, insieme ad una persona anziana che non c’era più e, come spesso accade, nessuno della famiglia era disposto a prendersi cura di lui. Lupo aveva passato i primi tre anni della sua vita a fare il cane, per lo più fuori casa: a pattugliare la zona, ad abbaiare all’arrivo di qualcuno per poi ritirarsi la sera a dormire nella legnaia della grande casa di campagna in attesa del nuovo giorno. Lupo viveva lontano da tutti quei comfort che la stragrande maggioranza delle persone pensa che un cane debba avere quando condivide la vita con noi. Eppure quell’essere cane senza tanti fronzoli gli aveva dato un ruolo e lui non si era mai allontanato da quel posto e da quell’anziano: aveva semplicemente scelto di rimanere. Vederlo in quel box, prelevato e rinchiuso, non era esattamente dal mio punto di vista il modo più adeguato di aiutarlo che gli si poteva offrire in attesa di ricollocazione. Anzi! Forse era proprio questo forte stress unito al suo aspetto fisico che davano a noi tutti l’impressione di vedere quasi un lupo in cattività’, un animale fiero ridotto a girare in un box. Aveva perso ogni coordinata di sicurezza e sì, mano a mano che la sua storia si dipanava, con sempre più chiarezza comprendevo perché aveva alzato il muso e si era soffermato ad annusare quell’odore di libertà là fuori.

Non dovevo sbagliare una virgola con Lupo

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foto generica d’archivio

Lupo era uno di quei cani che ha piacere di condividere con te del tempo ma per risultare interessante ai suoi occhi devi meritare un posto che vada ben al di là dell'essere qualcuno che mette una ciotola di crocchette e prende un guinzaglio per passeggiare. Questo lo si evinceva dal fatto che Lupo «non ti guarda mai», come continuavano a ripetermi tutti: come se intercettare i nostri occhi fosse di fatto l’unico modo per costruire un dialogo e una vicendevolezza di intenti. Mi era chiaro da subito che quella fiducia era da guadagnarsela sodo con lui e che ci sarebbe voluto del tempo. Il ché prevedeva un rovescio della medaglia: più tempo avrebbe passato in rifugio, più sarebbero peggiorate le cose perché Lupo anelava alla libertà e a tornare ad una routine legata anche al suo potere decisionale. Mi sembrava una corsa contro il tempo: dovevo adoperarmi per una soluzione immediata ma non potevo permettermi di sbagliare. Non dovevo solamente trovare un contesto ambientale e abitativo adeguato per lui: l’impresa più difficile era trovare chi della sua indipendenza e fierezza non avesse timore ma anzi comprendesse che quelle coordinate erano le uniche che gli avrebbero permesso di instaurare una relazione autentica con qualcuno.

La telefonata decisiva e il viaggio di Carlo

Pur arrovellandomi il cervello per trovare una soluzione buona per Lupo, le uniche persone interessate a lui erano molto lontane dall’essere adeguate ai miei occhi. Non perché Lupo non fosse una cane “da compagnia” ma perché finire in una casa su un morbido divano non era esattamente quello che a cui anelava di più a mio parere. Un giorno mi chiamò una persona che voleva adottarlo: una voce matura che non mi aveva dato modo di parlare molto, ci teneva solo a ribadire che era rimasto colpito dalle parole con cui avevo descritto questo cane ed era certo di essere la persona giusta. Abitava molto distante e iniziava ad infastidirmi la sua insistenza, così lo liquidai semplicemente in poche battute, dicendogli che non avevamo una politica di adozione in altre regioni e che nel canile della sua città avrebbe sicuramente trovato il compagno giusto. Non potevo immaginare che dopo neanche una settimana questa persona si sarebbe presentata al rifugio con una sola richiesta: poterlo incontrare pur sapendo che non lo avrebbe mai adottato. Sarò sincera: da un lato mi sentii morire ma dall’altro era pressoché’ impossibile che un tizio a 600 km di distanza, avesse trovato il rifugio dove stava Lupo, fra i boschi e il fiume, con una strada che praticamente conosce una dozzina di persone al massimo. Mi stava sfuggendo qualcosa.

Carlo e Lupo: chi lo avrebbe mai detto?

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foto generica d’archivio

Il mio dubbio amletico fu presto risolto dalla sua spiegazione: adesso abitava vicino a lui una donna che si era trasferita e aveva adottato da noi una cagnona anni fa. Era stata lei a mostrarle le foto di Lupo. Se prima vivevo una lotta contro il tempo per far stare il meno possibile Lupo in canile ma allo stesso tempo valutare esattamente chi avrebbe potuto offrirgli una corretta sistemazione, di fronte a quest’uomo mi sentivo davvero impreparata. Dovevo far appello a tutta la mia professionalità e al mio tatto per negargli quella adozione senza ferirlo e considerando il viaggio che aveva fatto nel percorrere tutta quella strada «solo per vederlo». D’altronde la gestione del rifugio non mi avrebbe mai dato l’ok per far adottare un cane da una persona che viveva così tanto distante dal canile: non vi erano elementi di certezza e la possibilità di fare un percorso insieme per un corretto inserimento. Concordai che si potevano incontrare in area sgambo: ero riuscita in quelle settimane a far uscire Lupo senza bisogno di metterlo al guinzaglio ma semplicemente facendomi seguire fino al grande prato recintato. Lupo, appena entrato, non degnò nessuno di uno sguardo come suo solito, ponendo l’attenzione solo sul tappeto di odori nell’erba.

La ricchezza di saper fare un passo indietro

Mentre Lupo continuava i suoi giri, cercavamo di rompere il ghiaccio chiacchierando con Carlo del più e del meno. Quando Lupo era praticamente nel punto più distante da noi, a ridosso della balza che costeggiava il fiume, un fischio squarciò i momenti di silenzio che a volte si creavano in quell’assurda domenica mattina. Carlo aveva fischiato come un pecoraio, con due dita pressate sulle labbra: un fischio acuto e fortissimo come avevo sentito fare a pochi. Lupo aveva sollevato il naso da terra, aveva sentito quel fischio e Carlo si stava sbracciando. Con lo stesso stupore di una bimba mi apprestavo a guardare una delle scene più felici e pazzesche della mia esistenza. Lupo aveva iniziato a correre trottando verso quel perfetto sconosciuto che continuava a muovere le braccia, sorridendo e spostandosi da una parte all’altra in maniera confusa. Era partito un vero e proprio gioco di corse e inseguimenti, di scarti e finte: una sorta di “guardia e ladri” con tanto di ruoli invertiti di continuo come se quei due si conoscessero da sempre. Mi limitai a guardare l’operatore e la responsabile del rifugio: di fronte a quel modo curioso e così verace di aprire un dialogo con Lupo io non potevo che fare un passo indietro. Carlo tornò a trovare Lupo così tante volte che persi il conto. Facemmo quello che reputammo opportuno perché ci fossero tutte le condizioni ottimali per assicurare a entrambi la riuscita di questa impresa. Perché credetemi: non fu una semplice adozione ma un’operazione titanica. Non tanto per la difficoltà o la distanza ma perché ogni volta che un cane ci aiuta a modificare delle idee che crediamo giuste e corrette noi dobbiamo trovare la forza di metterci in discussione senza far parlare il nostro ego. Possiamo fare delle ipotesi, agire in nome della correttezza, pensare di credere cosa sia meglio ma come spesso accade, la strada migliore, te la mostra proprio il cane se impari ad osservare e non semplicemente, a guardare.

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