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15 Settembre 2021
11:56

Il massacro dei delfini alle Isole Faroe, 1.500 trucidati: «Il peggiore della storia»

Alle Isole Faroe quasi 1.500 delfini sono stati massacrati nel corso della tradizionale caccia (legale) che si svolge ogni anno nell’arcipelago danese. La mattanza è avvenuta domenica notte: un branco di "lagenorinco acuto", o delfino atlantico dai lati bianchi, è stato avvicinato dalle imbarcazioni dei cacciatori, spinto nelle acque poco profonde della spiaggia di Skálabotnur e poi ucciso.

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Credit Sea Shepherd

Il più grande massacro della storia”: così Sea Shepherd, la onlus che da oltre quarant’anni si batte per la la salvaguardia della fauna ittica e degli ambienti marini, ha definito quanto accaduto nei giorni scorsi alle Isole Faroe, dove quasi 1.500 delfini sono stati trucidati nel corso della tradizionale caccia (legale) che si svolge ogni anno nell’arcipelago danese.

La mattanza è avvenuta domenica notte: un branco di "lagenorinco acuto", o delfino atlantico dai lati bianchi, è stato avvicinato dalle imbarcazioni dei cacciatori, spinto nelle acque poco profonde della spiaggia di Skálabotnur e poi ucciso, un bagno di sangue cui hanno assistito anche i bambini. Non un singolo delfino è stato risparmiato, in quella che per Sea Shepherd è la più grande caccia di delfini o globicefali della storia delle Isole Faroe e probabilmente di tutto il mondo. Il precedente più eclatante risale al 1940, quando furono uccisi 1.200 globicefali. E anche se la cosiddetta “Grindadráp”, o “Grind” – la caccia a balene e delfini che rappresenta per i faroesi una tradizione – per quanto contestata, è legale alle Faroe, il branco trucidato ha sollevato una bufera di critiche anche dai media locali, solitamente tolleranti, e da molti sostenitori dichiarati della caccia, politici compresi.

La ragione principale, oltre al numero di esemplari uccisi, sono le modalità con cui la mattanza è stata condotta: in aperta violazione, secondo gli abitanti del luogo, di diverse leggi faroesi che regolano la Grind. Il caposquadra del distretto in cui è avvenuta, per esempio, non è mai stato informato, e la caccia non era dunque autorizzata. A convocarla non è stato lui, ma il caposquadra di un altro distretto, che non era dunque in possesso dell’autorità necessaria. Molti partecipanti al bagno di sangue, inoltre, non avevano la licenza, che è richiesta per certificare la capacità dei cacciatori di uccidere rapidamente globicefali e delfini: i filmati diffusi dimostrano che molti delfini – tra cui anche femmine e cuccioli – erano ancora vivi e si muovevano quando sono stati gettati sulla spiaggia.

La carne dei delfini uccisi «buttata via: è troppa»

Poi le modalità: investiti coi motoscafi, dilaniati dalle eliche, massacrati con coltelli e lame. Le immagini della spiaggia e dello specchio d’acqua tinti di rosso hanno scioccato e indignato, per la prima volta anche chi appoggia la Grind definendola risorsa economica, oltre che una tradizione. La quantità di delfini uccisi, però, va ben oltre il cosiddetto “fabbisogno” dei vari distretti: “Da questa caccia arriva più carne di delfino di quanta chiunque ne possa o voglia prendere – sottolineano da Sea Shepherd – dunque delfini vengono offerti ad altri distretti nella speranza di non doverli gettare via”.

L’aspetto più tragico di questa mattanza, infatti, è che con tutta probabilità i faroesi saranno costretti a sbarazzarsi dei corpi dei delfini, perché la carne non potrà essere utilizzata tutta:“Questa caccia crudele e non necessaria è stata effettuata verso la fine dell'estate, quando i faroesi hanno già ucciso 615 globicefali, portando il numero totale di cetacei uccisi nel 2021 nelle Isole Faroe a un impressionante 2.043”, sottolineano ancora da Sea Shepherd.

Quando accaduto è stato condannato unanimemente, anche nel timore che le immagini del massacro possano incidere sull’economia delle Faroe, che esportano salmone in Regno Unito, Stati Uniti e Russia: “È stato un grande errore”, ha ammesso il presidente dell'Associazione balenieri delle isole, Olavur Sjurdarberg, preoccupato però più per la rilevanza mediatica, mentre Hans Jacob Hermansen, ex presidente del Grind, ha confermato alla stampa locale che l’uccisione “non era necessaria. È oltraggioso che una simile caccia abbia luogo nel 2021 in una comunità insulare europea molto ricca, a soli 230 miglia dal Regno Unito, senza la necessità o la possibilità di usare una quantità così grande di carne contaminata".

La Grindadráp, massacro legalizzato

“Per avere un’idea della situazione: questa singola caccia di 1.428 delfini a Skálabotnur si avvicina alla quota di uccisione e cattura di delfini consentita dal governo giapponese nella famigerata Cove di Taiji, in Giappone, e supera significativamente il numero effettivamente ucciso negli ultimi anni nella stagione delle uccisioni di Taiji”, ha detto Rob Read, direttore generale di Sea Shepherd. Lukas Erichsen, di Sea Shepherd Scandinavia, si è limitato a osservare che “questi animali sono gli stessi che le persone di tutto il mondo sognano e sperano di vedere in natura, per non parlare di un branco di queste dimensioni. Eppure, alle Faroe sono accolti con coltelli e uncini”.

Nel corso degli anni anche la sensibilità degli abitanti delle Faroe è cambiata, e sono molti a chiedere che la Grind venga cancellata una volta per tutte. La paura di ritorsioni e rappresaglie, però, è alta – la caccia a delfini, balene e globicefali è considerata oltre che una tradizione da mantenere, una fondamentale risorsa economica – e a oggi nessun politico si è espresso pubblicamente contro la mattanza legale.

Quanto accaduto domenica potrebbe cambiare le cose: il numero delle uccisioni, la crudeltà e l’insensibilità con cui sono state portate a termine e la gratuità del massacro hanno inevitabilmente acceso un faro sulla Grind, più ampio rispetto a quello puntato dalle associazioni animaliste e ambientaliste, e dell’accaduto dovrà indiscutibilmente occuparsi anche Mette Frederiksen, ministra di Stato della Danimarca.

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Andrea Barsanti
Giornalista
Sono nata in Liguria nel 1984, da qualche anno vivo a Roma. Giornalista dal 2012, grazie a Kodami l'amore per gli animali è diventato un lavoro attraverso cui provo a fare la differenza. A ricordarmelo anche Supplì, il gatto con cui condivido la vita. Nel tempo libero tanti libri, qualche viaggio e una continua scoperta di ciò che mi circonda.
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