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10 Giugno 2021
12:52

Il docufilm Man Kind Man in difesa del mare, il regista Patierno: «Possiamo fare cose grandiose ma dobbiamo agire in fretta»

È disponibile online Man Kind Man, il docufilm ambientalista che racconta le storie di due tartarughe marine e tre uomini che documentano il difficile rapporto tra uomo e natura nel golfo di Napoli. Abbiamo intervistato il regista Iacopo Patierno, che ci ha raccontato come nasce il film e cosa vuole lasciare al pubblico.

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Intervista a Iacopo Patierno
Regista di Man Kind Man
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Man Kind Man, il nuovo docufilm del regista Iacopo Patierno, è disponibile in streaming online e in anteprima fino all'11 giugno. Presentato in occasione della Giornata Mondiale degli Oceani la pellicola racconta del difficile rapporto tra l'uomo, il mare e l'ambiente nel golfo di Napoli. Un vero e proprio appello ambientalista che il regista campano ha voluto lanciare attraverso una narrazione intima ed emotiva e che sfrutta proprio la dualità e la contraddizione insita del genere umano, allo stesso tempo causa e unica soluzione possibile per tutti i problemi ambientali che affliggono il nostro Pianeta.

Il trailer del film

La trama ha come filo rosso la storia di due tartarughe marine, Penelope e Muzio, che lottano per sopravvivere nelle sale del centro di recupero della Stazione Zoologica Anton Dohrn, tra le mani e le cure dei veterinari e degli esperti del Turtle Point. Le vicende dei due testudinati marini si alternano alle sofferenze e alla rassegnazione di tre uomini che quella terra l'hanno vista mutare e soccombere sotto i colpi dell'antropocentrismo.

Un racconto umano e animale, quindi, che ha toccato a livello personale il regista, tornato proprio nelle sue terre d'origine per dar voce alla frustrazione di chi il mare e i suoi abitanti lo vive e prova a salvarlo ogni giorno. Ed è proprio da queste forti motivazioni che siamo partiti intervistando direttamente l'autore di Man Kind Man: Iacopo Patierno.

Come nasce questo docufilm?

Era da tanto tempo che desideravo fare un film sul mare. Negli anni ho visto la plastica accumularsi e aumentare sempre più e stava diventando un'ossessione: mi sentivo frustrato e impotente. Una volta mentre ero in apnea mi sono ritrovato circondato da tanti piccoli coriandoli di plastica, io provavo ad afferrarli ma mi sfuggivano dalle mani, ancora e ancora. In quel momento è scattato qualcosa dentro di me e ho deciso che dovevo fare un film sul mare per raccontare quello che stava accadendo. Il mio lavoro è comunicare emozioni, trasmettere sentimenti, mostrare il mondo attraverso quello che osservo e così nel 2014 sono iniziate le riprese. L'ho girato completamente da solo, perché era diventato qualcosa di molto personale.

Perché hai deciso di girarlo proprio nel golfo di Napoli?

Piuttosto che andare alle Filippine o in un paese esotico ho preferito tornare a casa, nella mia terra, perché mi sentivo coinvolto a livello personale. Ho molti ricordi legati al rapporto difficile con l'ambiente di queste terre. Fin da quand'ero piccolo mi è sempre stato detto che il fiume Sarno era un posto inquinato assolutamente da evitare. Quando ero alle elementari le insegnanti ci portarono a vedere le cascate nei pressi delle sorgenti che non avevo mai visto. Una volta arrivati lì non riuscimmo però a vedere niente, perché era tutto ricoperto da una schiuma biancastra. La cosa che mi più mi sconvolse è stato vedere le maestre non dire assolutamente nulla. Non provarono minimamente a confrontarsi con noi o a spiegarci perché c'era tutta quella schiuma. Questa sorta di vergogna che provavano loro nel non dire le cose come stavano mi è sempre rimasta dentro da qualche parte.

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Quando e perché hai pensato di raccontare la storia delle tartarughe marine?

Le tartarughe le ho incontrate dopo, mentre facevo ricerche sul mare. Non sapevo ce ne fossero così tante nel Mediterraneo e che fossero così indifese e minacciate. Mi ha colpito soprattutto la loro fragilità e ho provato una fortissima empatia nei loro confronti. Da creature libere che possono vagare nell'infinità del mare si erano ritrovate costrette in piccole vasche a subire cose atroci, almeno da loro punto di vista. I veterinari che le curano fanno di tutto per salvarle, certo, ma chiedevo sempre cosa pensassero loro di tutti quegli interventi. Non possiamo saperlo realmente, ovviamente, io però stavo male e mi immedesimavo molto con le tartarughe. Volevo quindi far provare agli spettatori quello che provavano loro a causa delle nostre azioni.

Poi ci sono le persone, quelle "buone" e quelle "cattive"…

Tornando a casa per girare il film ho scoperto tantissimi posti e persone che non conoscevo. Quello che stiamo facendo al mare e all'ambiente dipende solo da noi, ovviamente. È una nostra responsabilità. La plastica ormai è diventata un'estensione di noi stessi che è arrivata ovunque. Ci sono posti isolati dal mondo, negli angoli più remoti della Terra, dove le persone che una volta gettavano dalla finestra rifiuti organici ora lo fanno con la plastica, senza essere minimamente consapevoli delle conseguenze. In Svezia invece, dove ho vissuto tanto tempo, l'attenzione e il livello culturale verso l'ambiente è mediamente più alto, ma poi ci sono le grandi multinazionali che nel resto del mondo fanno cose atroci. Il lato culturale è importante, è vero, ma bisogna anche dare alle persone gli strumenti per rispettare l'ambiente e se stessi.  C'è, però, chi invece lotta contro queste cose come i veterinari dell'Anton Dohrn o i protagonisti umani che ho provato a raccontare nel film. Loro mi hanno ispirato molto.

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Nel film vengono raccontate le storie di tre uomini che vivono quotidianamente questi problemi. A un certo punto però uno di questi, Aniello, mentre racconta la devastante situazione del Sarno, lascia cadere dei rifiuti nel fiume. Cosa rappresenta questa scena?

Aniello l'ho conosciuto per caso, è stato lui a farmi scoprire che ci sono ancora delle acque cristalline alla sorgente. Quel gesto l'ha fatto senza pensarci troppo, perché era troppo devastato e rassegnato. In quel momento si sentiva talmente distrutto e impotente che si è lasciato andare completamente. Non voglio condannarlo e ho voluto tenere quella scena proprio perché emblematica di quello che siamo. Sono atteggiamenti quotidiani che facciamo tutti e che rappresentano alla perfezione il nostro modo di vivere, nel bene e nel male. È stata importante per rompere l'idillio che si era creato col personaggio, perché rappresentativa della complessità della realtà, con tutte le sue contraddizioni.

Cosa ti resta di questo film e cosa vorresti lasciare alle persone?

Per me è stata un'esperienza bellissima e molto forte che mi ha arricchito tanto a livello personale. Ho conosciuto persone straordinarie verso cui provo tantissima stima e vorrei riuscire a trasmettere questa forza anche agli altri. Nel film le vere protagoniste sono le tartarughe Penelope e Muzio: sono le uniche a comparire coi loro nomi. Vorrei che le persone capissero che non dobbiamo sentirci superiori agli altri animali. Le loro vite valgono quanto le nostre e dobbiamo capirlo in fretta altrimenti non miglioreremo mai. Abbiamo troppa potenza nelle nostre mani, siamo quasi come delle divinità. Abbiamo il potere di fare cose grandiose ma dobbiamo agire in fretta.

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Salvatore Ferraro
Redattore
Naturalista e ornitologo di formazione, sin da bambino, prima ancora di imparare a leggere e scrivere, il mio più grande sogno è sempre stato quello di conoscere tutto sugli animali e il loro comportamento. Col tempo mi sono specializzato nello studio degli uccelli sul campo e, parallelamente, nell'educazione ambientale. Alla base del mio interesse per le scienze naturali, oltre a una profonda e sincera vocazione, c'è la voglia di mettere a disposizione quello che ho imparato, provando a comunicare e a trasmettere i valori in cui credo e per i quali combatto ogni giorno: la conservazione della natura e la salvaguardia del nostro Pianeta e di chiunque vi abiti.
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