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2 Ottobre 2021
18:00

Gli oranghi mettono in crisi il modello che spiega l’evoluzione del linguaggio umano

Un nuovo studio pubblicato recentemente su Biology Letters e condotto dai ricercatori del Dipartimento di Psicologia dell'Università di Warwick, nel Regno Unito, ha analizzato i segnali vocali di chiamata simili alle consonanti e alle vocali umane prodotti dagli oranghi. Gli studiosi hanno notato che questi segnali non perdevano di significato allontanandosi dalla fonte, rivelando così le criticità nella teoria dell'evoluzione del linguaggio umano.

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Come si è evoluto il linguaggio umano? La teoria più accreditata ad oggi deriva dall'Università di Harvard e risale a circa 20 anni fa. I ricercatori avevano proposto che gli antenati dell'uomo per comunicare a distanza ed evitare però che il messaggio si dissipasse man mano che si allontanava dalla fonte, avessero cominciato a mettere insieme i suoni così da aumentare la probabilità di trasmettere il contenuto a chi si trovava lontano.

Un nuovo studio, pubblicato recentemente su Biology Letters e condotto dai ricercatori del Dipartimento di Psicologia dell'Università di Warwick, nel Regno Unito, hanno scoperto nuovi indizi che mettono in discussione il precedente modello. Gli studiosi hanno infatti analizzato i segnali vocali di chiamata più simili ai precursori del nostro linguaggio prodotti e utilizzati dagli oranghi sulle lunghe distanze. Hanno notato che questi segnali non perdevano di significato allontanandosi dalla fonte, rivelando così le criticità nella teoria dell'evoluzione del linguaggio umano.

Lo studio: le chiamate degli oranghi non perdono di significato a distanza

I ricercatori hanno utilizzato e analizzato i segnali di chiamata degli oranghi di Sumatra (Pongo abelii) e oranghi del Borneo (Pongo pygmaeus) precedentemente raccolti presso tre stazioni di ricerca: Tuanan e Gunung Palung, nel Borneo indonesiano, e Sampan Getek in Indonesia. Hanno selezionato solo quelle consonantiche e vocaliche che provenivano dalla stessa combinazione di sillabe. Hanno poi riprodotto questi segnali attraverso un registratore digitale collegato ad un altoparlante presso la foresta pluviale tropicale della la Sikundur Research Station in Indonesia.

I suoni, una volta riprodotti, sono stati poi ri-registrati a distanze di 25, 50, 75 e 100 metri dalla sorgente, dopodiché ne è stata analizzata la qualità e il contenuto. I risultati sono stati incredibili: nonostante la qualità del segnale peggiorava all'aumentare della distanza, il contenuto rimaneva invece intatto finché il segnale non diventava impercettibile. Questa scoperta inaspettata ha così messo in discussione il modello attualmente accettato e più accreditato sull'evoluzione del linguaggio umano.

È necessario rivalutare il modello dell'evoluzione del linguaggio umano

Questa ricerca rappresenta davvero un cambio di prospettiva importante, che fa emergere la necessità di dover rivalutare e confutare il precedente modello sull'evoluzione del nostro linguaggio. L'orango è inoltre l'unico ominide vivente che produce delle chiamate simili alle consonanti e alle vocali umane e che riesce a mettere insieme formando una sorta di proto-sillabe.

L'informazione contenuta nei segnali è rimasta inalterata e discriminabile finché è stata udibile, anche quindi sino a 100 metri di distanza, mostrando così una forte resistenza a propagarsi nell'ambiente. Inoltre, suggeriscono i ricercatori, è molto probabile che l'habitat in cui hanno vissuto i nostri antenati era più aperto di quello della foresta pluviale, basti pensare alla savana, e quindi il segnale si poteva propagare anche più facilmente. Infine, ulteriori studi potranno rivedere il precedente modello tenendo in conto anche i segnali vocali emessi dalle grandi scimmie.

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