CHE RAZZA DI STORIA
episodio 13
16 Ottobre 2023
20:00

È il re dei cercatori di tartufo: la vera storia del Lagotto Romagnolo

Anticamente chiamato “Càn Lagòt”, il Lagotto Romagnolo si è sviluppato in Emilia Romagna e qui, nel corso di centinaia di anni, è diventato un infallibile cercatore di tartufo. Ma com'è davvero il Lagotto? Scopriamolo in questa nuova puntata!

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In questa puntata di Che Razza di Storia restiamo in Italia e parliamo del “re del tartufo”: il Lagotto Romagnolo. Con il suo mantello riccioluto “da pecorella” potrebbe essere confuso con il Barbone ma, anche se ci sono delle somiglianze, si tratta di due razze diverse. Tecnicamente, il Lagotto non rientra nel gruppo dei cani da compagnia, ma in quello dei cani d’acqua, cioè dei cani da riporto di uccelli acquatici. I suoi ricci, in origine, servivano proprio per proteggerlo dall’umidità, impedendo all’acqua di depositarsi sulla pelle, la quale è protetta anche da un fitto strato di sottopelo.

A questo punto qualcuno potrebbe dire: ma come, se il Lagotto è il cane da tartufo per eccellenza, che c’entra la caccia agli uccelli? Tranquilli, vi spieghiamo tutto.

Le antiche origini del Lagotto

Per conoscere meglio il nostro cane romagnolo, dobbiamo partire dalla sua storia. In Emilia Romagna, nella necropoli della città di Spina, fondata dagli Etruschi alla fine del VI secolo a.C., si trovano delle rappresentazioni di un cane che somiglia molto al Lagotto. Queste testimonianze sono le più antiche che abbiamo. Tra l’altro, c’è un’ipotesi secondo la quale il Lagotto discenderebbe dal Barbet, un’altra razza “acquatica” dal pelo riccio, anticamente diffusa tra i popoli dell’Oriente, con cui gli Etruschi intrattenevano rapporti commerciali. Comunque, il Lagotto si sviluppò senza dubbio in Italia, nelle zone paludose che partivano da Ravenna, passando per Comacchio, fino ad arrivare in Friuli. Il nome “Lagotto Romagnolo” deriverebbe o da “Càn Lagòt”, che in romagnolo significa: “cane da acqua”; oppure, secondo altre fonti, dal nome dialettale degli abitanti di Lagosanto, paesino delle valli di Comacchio, che erano chiamati proprio "lagotti".

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Detto questo, guardate quanto somigliava già al Lagotto odierno: si vede chiaramente in questo affresco del 1400 che si trova nel Palazzo Ducale di Mantova, oppure in un ritratto del pittore Guercino, che risale al 1600. Se l’aspetto del Lagotto è rimasto invariato nel corso dei secoli, è perché -evidentemente- non era legato a mode passeggere. Infatti, aveva uno scopo ben preciso: renderlo perfetto per il riporto della selvaggina dall’acqua, e in particolare, della folaga. Questi cani venivano allevati dalla gente del posto, i cosiddetti "vallaroli", che a loro volta facevano da guida ai nobili che volevano praticare la caccia agli acquatici. Tutto questo fino al 1800, quando le attività di bonifica prosciugarono le paludi, e il Lagotto -grazie alle sue qualità, tra cui l’olfatto- si specializzò sempre di più in un’altra attività che aveva sempre svolto, ma in misura minore: la ricerca del prezioso tartufo.

Il “nuovo impiego”, a dire il vero, fu un bene e un male: un bene perché il Lagotto non fu dimenticato, ma d’altra parte, rischiò lo stesso l’estinzione. I tartufai – soprattutto di allora – erano interessati al profitto e molto meno a preservare i canoni di razza, così, per avere cani performanti, si misero a incrociare i Lagotti con Segugi e Terrier, facendo ognuno di testa propria. Il risultato? Il Lagotto del 400 somigliava di più alla razza odierna, dei Lagotti del dopoguerra. Negli anni 70, però, un gruppo di appassionati si è impegnato per ripristinare l’aspetto originario e fissare lo standard -perché sì, sebbene antico, il Lagotto Romagnolo non aveva ancora alcun riconoscimento ufficiale. Quest’ultimo è arrivato prima in Italia nel 1992, poi 3 anni dopo a livello internazionale, ed è stata la ciliegina sulla torta dell’intera “missione di salvataggio”. Il Club Italiano Lagotto, fondato nel 1988, fu l’artefice di questa operazione, e ve l'abbiamo citato anche per passare all’argomento successivo: la salute del Lagotto.

Una razza ipoallergenica?

Come razza è piuttosto robusta -certo, sempre nei limiti dei cani di razza che, in generale, sono soggetti a patologie genetiche ereditarie. Tra queste c'è l’epilessia giovanile, che si manifesta nei cuccioli molto piccoli con diversi sintomi tra cui: passi più lunghi del normale, movimenti scoordinati oppure convulsioni, che in alcuni casi spariscono spontaneamente man mano che il cane cresce. E poi c’è la displasia dell’anca e del gomito, che il club di razza -come si legge sul loro sito- monitora a livello ufficiale con controlli e verifiche sul campo, per limitarne la diffusione. Ora, massima attenzione a quello che sto per dirvi: il Lagotto perde pochissimo pelo, quasi zero!

Quindi niente cure… una vera pacchia… e invece, no! Perché se non lo spazzolate, nel suo mantello lanoso rischiate di trovarci qualsiasi cosa: dalle foglie ai forasacchi, fino alle chiavi che avete perso l’anno scorso. Per non parlare dei nodi. Insomma, un minimo di cura quotidiana è indispensabile, con un occhio di riguardo alla zona degli occhi -scusate il gioco di parole- e delle orecchie, dove i peli misti al cerume possono anche causare l'otite. Alcuni consigliano la tosatura due volte l’anno, attenti però a due cose: 1) rivolgetevi solo a specialisti, e 2) non accorciate troppo, perché comunque il manto funge da scudo, e protegge il cane sia dal freddo che dal caldo eccessivo.

A proposito del pelo che non cade, di solito, proprio per questo fatto, il Lagotto è considerato un cane ipoallergenico. Ma è davvero così? Nì, dipende dal tipo di allergia che avete voi. Considerate che gli allergeni -cioè, le particelle microscopiche che scatenano le allergie- possono trovarsi nei peli caduti, ma anche nelle scaglie di pelle morta, o nella saliva. Va preso in esame caso per caso.

Le motivazioni del Lagotto Romagnolo

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Abbiamo parlato delle origini, un po’ del suo aspetto, ma perché il Lagotto è considerato “il re del tartufo”? Il suo segreto non sono solo le circa 225 milioni di cellule olfattive nascoste nel suo naso, ma è un mix di caratteristiche che riguardano le sue motivazioni. Come al solito, questo è un discorso generale, poi ogni cane è diverso dall’altro.

Beh, il Lagotto è così bravo a trovare tartufi perché ha "tutte le motivazioni giuste al posto giusto": quella perlustrativa, esplorativa, di ricerca, sono tutte altamente sviluppate, il che vuol dire che quando va nei boschi è un cane vivace, autonomo, curioso, instancabile, però riesce anche a concentrarsi. Ed è qui la chiave: non a caso, rispetto a quando era coinvolto principalmente nella caccia, ha perso gran parte della sua motivazione predatoria. In questo modo, di norma, non si mette a inseguire coniglietti o uccellini innocenti sul più bello, ma va dritto alla meta: punta la zona da dove proviene quell'odorino inconfondibile di tartufo e scava, scava, scava, fino a estrarre il fungo tanto ambito, che poi cede tutto trionfante al suo umano. Come potete immaginare, un'altra cosa importantissima è l’addestramento, che non potrebbe avvenire senza una spiccata motivazione collaborativa, e senza una profonda relazione con il suo umano. Quindi anche la motivazione affiliativa è forte, il che gli fa amare la vita in famiglia. Ma, quale famiglia? Il Lagotto non è un cane da salotto.

Il Lagotto è sempre più apprezzato, tanto che negli ultimi dieci anni il numero di cani iscritti all’ENCI si è triplicato. Questo vuol dire che promuovere la consapevolezza è essenziale: chi pensa di adottare un Lagotto Romagnolo deve sapere che ha bisogno di trascorrere tanto tempo all’aria aperta e di correre senza ansia e sì, senza che voi lo sgridiate se si lancia in una pozzanghera. Poi a fine giornata saprà godersi un bel momento di relax sul divano, ma prima dovrete dargli modo di scatenarsi. Attività da fare con lui? Beh, se non siete in zona di tartufi o non vi piacciono, potete comunque dedicarvi ai giochi di ricerca olfattiva: insegnategli a cercare oggetti o persone nascoste e si divertirà un mondo.

Purtroppo molti cani sono presi e abbandonati o da gente che si “stanca” alla prima difficoltà oppure da tartufai che, se poco poco il cane non frutta abbastanza, se ne liberano senza troppi scrupoli. Voglio precisare che non ci riferiamo all’intera categoria dei tartufai, che anzi per la maggior parte è composta da persone che hanno a cuore i bisogni dei loro cani. E non dimentichiamoci dei sedicenti “allevatori” ai quali magari sono rimasti sul groppone cucciolate invendute. In ogni caso, gli abbandoni avvengono ed è per questo che capita di trovare tanti Lagotti nei rifugi o nei rescue. Noi vi invitiamo a usare sempre il cervello, non solo la “pancia”: e se alla fine di questo video siete convinti che questa è la razza che fa per voi, non fermatevi qui ma andate a conoscere il Lagotto di persona, proprio in uno di questi rifugi, facendovi aiutare dagli educatori cinofili.

Video credits

autrice del video: Mara D'Alessandro
supporto scientifico: Luca Spennacchio

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