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6 Ottobre 2022
16:45

Da specie protetta a minaccia: il Parlamento europeo vuole cacciare i cormorani

Per l'europarlamento i cormorani sono una minaccia che mette in serio pericolo l'acquacoltura. Il loro numero è diventato eccessivo e così la soluzione sarebbe includere questi uccelli nell’elenco di specie che possono essere cacciate.

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I cormorani sono nemici dell'acquacoltura e quindi possono essere cacciati. È questa la proposta approvata dal Parlamento europeo per impedire che il numero eccessivo di questi uccelli acquatici di grandi dimensioni continui a mettere in pericolo l'approvvigionamento e la presenza di pesci e molluschi sulle tavole degli europei.

Se fino a qualche tempo fa, infatti, era inconsueto avvistare dei cormorani nei bacini interni, laghi e fiumi, tanto che erano considerati una specie in via d'estinzione, oggi questi uccelli selvatici sono una presenza costante e numerosa che per Strasburgo causa gravi danni agli allevamenti ittici.

Una decisione presa anche in considerazione del fatto che l’Unione europea rappresenta il principale importatore di pesce al mondo: circa il 70% degli alimenti acquatici consumato viene da Paesi extra-Ue, per un costo di circa 21 miliardi di euro.

Già nel 2008 Strasburgo aveva attestato il rapido incremento del numero di questi uccelli nel territorio dell'Ue, la cui popolazione complessiva negli ultimi 25 anni è cresciuta di 20 volte, raggiungendo 1,8 milioni di esemplari.

Numeri che hanno trasformato questi volatili da specie protetta a minaccia: i cormorani sono capaci di mangiare un chilo e più di pesce ogni giorno. E proprio per questo sono ormai considerati veri e propri “nemici” dai pescatori.

Per tutti questi motivi, a Strasburgo hanno approvato la relazione in plenaria che propone come soluzione quella di includere questi uccelli nell’elenco di specie che possono essere cacciate a norma della legislazione nazionale.

L’acquacoltura è l'allevamento di organismi acquatici, principalmente pesci, crostacei e molluschi, in ambienti confinati e controllati dall'uomo. Può essere realizzata in mare, nei fiumi, nei laghi o nelle lagune e intende rispondere all’aumento costante del consumo pro capite di prodotto ittici. Ma anche poter offrire il pesce a prezzi inferiori rispetto a quelli pescati in mare.

In Italia, il giro di affari che ruota intorno all’acquacoltura è di circa 510 milioni di euro, le aziende presenti su tutto il territorio sono circa 900 e la produzione è di circa 165mila tonnellate per trenta specie diverse di pesce. Al momento, però, l'acquacoltura dell'Ue riesce a soddisfare solo il 10 % del consumo interno, rappresentando meno del 2% della produzione mondiale del settore.

Per questo Strasburgo intende potenziarne la crescita, in modo da poter così ridurre la dipendenza dalle importazioni. Il voto a favore ha raggiunto la maggioranza. Anche se, ovviamente, non sono mancate le proteste dei Verdi e degli ambientalisti i quali hanno votato contro, contestando tutto l'impianto della proposta.

L’eurodeputata dei Greens/EFA, Rosa D’Amato, commentando il voto del Parlamento europeo, non ha avuto mezzi termini: «Dare la caccia ai cormorani non è sinonimo di acquacoltura sostenibile. Oltretutto quando è già noto l'impatto negativo sull’ambiente degli allevamenti intensivi, nonché sulla salute umana e sulla sicurezza alimentare. In questo modo faremmo lo stesso errore con l’acquacoltura» ha dichiarato.

Senza escludere la crescita dell’acquacoltura, D’Amato ritiene però che questa debba avvenire «attraverso la promozione di pratiche a basso impatto e circolari, come quella a bassi livelli trofici, quella multitrofica e quella biologica» e che occorra inoltre garantire «che la produzione di mangime per l’acquacoltura europea non abbia un impatto negativo sulla sicurezza alimentare di Paesi terzi».

Per quanto riguarda, invece, la gestione dei cormorani, dice ancora l’eurodeputata «è inaccettabile la richiesta di escluderli dalla lista di specie protette della Direttiva Uccelli».

Semmai, conclude «è necessario intervenire a livello locale affinando le soluzioni esistenti per consentire al settore di gestire eventuali problematiche e magari investire nella ricerca, anziché lanciare una caccia alla specie che avrebbe gravissime conseguenze sulla biodiversità».

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Simona Sirianni
Giornalista
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