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19 Ottobre 2022
16:22

Come tassidermia e violenza hanno influenzato Dahmer, il cannibale di Milwaukee

Jeffrey Lionel Dahmer, "Il Cannibale di Milwaukee" protagonista della serie Netflix, utilizzava tecniche di tassidermia apprese da giovane sulle proprie vittime. Abbiamo parlato con l'esperta Francesca Sorcinelli del legame fra violenza sugli animali e attività criminose e con la curatrice delle collezioni del MUSE Maria Chiara Deflorian dell'importanza divulgativa della tassidermia.

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«L'inquietudine dei desideri produce la curiosità e l'incostanza: il vuoto dei piaceri turbolenti genera la noia». Così lo scrittore e filosofo Jean-Jacques Rousseau descriveva l'inquietudine che provava. La stessa inquietudine che tribola le menti di alcuni esseri umani che per una moltitudine di ragioni si ritrovano a commettere crimini efferati verso uomini e altri animali.

Quella di Jeffrey Lionel Dahmer, "Il Cannibale di Milwaukee", è la storia di una mente inquieta, distorta, deviata e capace di una violenza estremamente lucida. Dahmer è stato un serial killer statunitense che ha seviziato, ucciso e violentato almeno 17 persone (le vittime appurate) tra il 1978 e il 1991. La sua tragica vicenda è tornata nuovamente sotto i riflettori per la serie Netflix che ha conquistato un grande audience in America ed Europa in cui viene raccontate l'intera storia principalmente dal punto di vista proprio del serial killer, attraverso uno sguardo romanzato che prende in esame anche la sua gioventù.

Il criminale ebbe un'infanzia non certo idilliaca: vide i suoi genitori litigare, urlare e separarsi. L'uomo confessò anche di aver assistito a casi di violenza da parte del padre, Lionel Dahmer, nei confronti della madre più volte. Quest'ultimo era un chimico e accademico esperto di tassidermia, un'anima tormentata e con forti crisi depressive. Jeffrey Dahmer da piccolo era chiuso in se stesso, solo e senza amici e l'unica attività che gli permetteva di avere un contatto sincero con il padre era la tassidermia.

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Un giovane Dahmer della serie Netflix

Lionel portava il bambino nei boschi a scegliere le carcasse degli animali che poi evisceravano, trattavano e sezionavano. Il padre gli insegnava come sbiancare le ossa e preservare gli scheletri degli animali, convinto ci fosse nel figlio un interesse scientifico. Questo tipo di interazione è stata il primo vero trasporto emotivo del piccolo Jeffrey, unico momento di gioia e condivisione con il proprio genitore.

Secondo gli sceneggiatori della serie di Netflix fu così che il bambino iniziò ad associare la gioia che provava nello stare con il padre con quella sensazione che sentiva nel tenere in mano viscere animali, una percezione forte che poi ricercherà anche da adulto.

Dahmer fu condannato per omicidio plurimo ma anche accusato di antropofagia, necrofilia e vampirismo, devianze che l'uomo stesso commenterà durante gli interrogatori come: «L’unico modo per evitare le loro richieste (quelle delle vittime ndr) e per farli rimanere con me il più a lungo possibile».

Sono molte le parole spese da criminologi, psichiatri e psicologi per definire il contesto sociale che ha portato un bambino americano dello Stato del Wisconsin da appassionato di tassidermia a serial killer, ma trovare un collegamento fra i comportamenti messi in atto nell'infanzia e quelli da adulto non è semplice.

La violenza sugli animali è l'anticamera della violenza sull'uomo

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Riuscire a captare da subito quali possano essere i segnali che portano un ragazzo a diventare un serial killer può rivelarsi uno strumento importante in mano agli psichiatri per riabilitare un individuo. Da giovani molti assassini hanno commesso crudeltà nei confronti degli animali fra cui lo stesso Jeffrey Dahmer e da diverso tempo il commettere abusi nei confronti degli animali è stata considerata l'anticamera della violenza sull'uomo.

Fra gli argomenti più controversi in merito alla vicenda c'è una considerazione in particolare: è possibile che l'estremo interesse nei confronti della tassidermia in età molto giovane possa essere un elemento da considerarsi al pari della stessa violenza sugli animali?

Da tempo la scienza indaga queste connessioni fra comportamenti e atti criminali e già a partire dal 1963 John Macdonald, psichiatra forense che spese molti anni nello studio dei tratti sociopatici, diede vita alla così detta "Triade di Macdonald", ovvero tre tratti che trovò in comune tra i suoi pazienti più aggressivi e sadici: la crudeltà nei confronti degli animali, la piromania e la persistenza dell'enuresi, ovvero l'emissione involontaria di urina, oltre i 5 anni. Secondo lo psichiatra questi caratteri indicavano con una buona probabilità la comparsa nell'adulto di comportamenti antisociali lesivi per gli altri esseri umani.

«In questa teoria ci sono diversi difetti», commenta a Kodami Francesca Sorcinelli, docente di Zooantropologia della Devianza all'Università Federico II di Napoli che ha già affrontato in numerose ricerche e studi il modo in cui il maltrattamento e l’uccisione degli animali sia un efficiente indicatore di pericolosità sociale. «Gli studi di Macdonald sono ormai datati e la vera triade – racconta l'esperta – è costituita da: maltrattamento degli animali, piromania e vandalismo».

Francesca Sorcinelli ha lavorato per molti anni in comunità per il recupero minorenni dalla prostituzione, in comunità per tossicodipendenti ed è fondatrice e presidente di Link-Italia, associazione che dal 2009 tratta il problema della violenza e del crimine nella sua accezione più ampia con particolare attenzione nel trattare il maltrattamento e l’uccisione di animali quale sintomo di una situazione esistenziale patogena.

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Come spiega Francesca Sorcinelli gli studi e la letteratura che mettono in relazione la violenza sugli animali con quella sugli esseri umani sono ormai moltissimi e definiscono questo collegamento con il termine tecnico “link”. «In generale link viene usato soprattutto negli Stati Uniti – spiega  – come cartina tornasole durante le perizie psichiatriche. In Italia, invece, siamo più specifici e con link definiamo maltrattamento di animali, violenza e ogni altra condotta deviante e criminale».

Impossibile dire con sicurezza cosa sarebbe successo a Dahmer se avesse usufruito dell'aiuto di uno specialista in grado di prevedere la condotta del ragazzo da adulto ma con tutta probabilità oggi faremmo ricadere il suo interesse morboso per le viscere e le lesioni nei confronti degli animali proprio nel "link". All'epoca, invece, diversi studi sulla mente del famoso criminale non riuscirono a stabilire propriamente alcuna malattia psichiatrica e solo perizie postume alla sua morte definirono che i suoi comportamenti giovanili potevano essere ricondotti al disturbo della condotta (Dc), premessa che poi diede luogo da adulto a un disturbo antisociale della personalità (Aspd).

«Il DC è un "calderone di comportamenti" – sottolinea a riguardo Francesca Sorcinelli – Sono messi in atto durante l'adolescenza e la condizione può essere certificata solo prima dei 18 anni poiché la personalità dell'individuo è ancora in sviluppo. In generale è una manifestazione di una sofferenza che gli esperti dividono in 15 casi clinici e all'interno è possibile trovare proprio la crudeltà fisica su animali, la piromania e il vandalismo. ».

L' Aspd, invece, è definito dal Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali DMS – 5 come caratterizzato da un modello pervasivo di disprezzo per le regole e le leggi altrui in cui i distruggere proprietà, molestare gli altri, rubare, ledere gli altri e manipolare gli altri per ottenere ciò che desiderano.

Insomma, il profilo psicologico di Dahmer somiglia molto a un dipinto complesso dove una moltitudine di personaggi e piccoli dettagli affollano la scena e confondono la vista. In questa pittura contorta la tassidermia potrebbe aver svolto un ruolo importante, se non altro per formare la mente di una persona che però rientrava già in un possibile quadro link o Aspd. Infatti da adulto Dahmer attuò sulle proprie vittime nella cantina della nonna gli stessi procedimenti che aveva appreso con il padre. Più volte spiegò alla donna che l'odore nauseabondo che sentiva provenire era dovuto proprio alla sua passione per la tassidermia che in questo modo ha acquisito agli occhi del pubblico una connotazione estremamente negativa.

Il valore informativo  della tassidermia

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«In realtà la tassidermia ha molte funzioni e significati diversi e principalmente dà la possibilità alle persone che non hanno mai visto determinati animali dal vivo di farsi un'idea delle proporzioni, del colore del piumaggio e del mantello di una specie». Così Maria Chiara Deflorian, collection manager per il Museo delle Scienze Muse di Trento, definisce il valore informativo e divulgativo della tassidermia. La curatrice si occupa nello specifico della gestione, conservazione e valorizzazione delle collezioni scientifiche e spiega anche che dal punto di vista divulgativo far preparare l'animale in una determinata posa permette di inserirlo in un contesto che dà informazioni anche sul suo comportamento.

«Ovviamente il lavoro deve essere svolto accuratamente – continua la curatrice delle collezioni del Muse – Alcuni anni fa tutti i carnivori venivano posizionati in pose aggressive aprendo le fauci e mostrando i canini. Animali che oggi sappiamo ricorrere alla violenza e all'aggressività solo in rare occasioni e dunque il tassidermista che compie un lavoro scientifico del genere deve conoscere molti dettagli sulla vita dell'animale che spesso vengono forniti proprio dai ricercatori del museo».

L'importanza della tassidermia per la ricerca scientifica, però, non si limita solo alla divulgazione: «Le tecniche di conservazione di tessuti e organi utilizzati hanno un risvolto scientifico importante – continua Maria Chiara Deflorian A distanza di secoli, infatti, abbiamo la possibilità di visionare preziosi testimoni materiali di una specie animale in un determinato periodo storico e momento evolutivo e fotografano una precisa distribuzione e dispersione nell'ambiente».

Sebbene sia evidente il suo valore scientifico, però, questa pratica è ancora fortemente criticata, soprattutto per via della molta confusione riguardo alla provenienza degli animali delle collezioni. A tal proposito Maria Chiara Deflorian afferma: «La provenienza di un pezzo della collezione dipende dal campione. Innanzitutto ci sono gli animali morti recuperati dai Carabinieri forestali che ci contattano per sapere se possono essere utili per creare uno spazio espositivo o per una ricerca scientifica. Altri fonti sono i centri di recupero della fauna selvatica, zoo, bioparchi e sequestri di animali impagliati e trasportati illegalmente. È innegabile che ci siano anche alcune specie cacciabili, ma in quel caso i capi sono comunque abbattuti per altri motivi slegati dal museo».

Insomma è importante distinguere quanto la disciplina della tassidermia sia slegata dal possibile significato psicologico che ha avuto per Dahmer che l'ha utilizzata come strumento e scusa per assecondare le proprie azioni criminose. Non è l'utilizzo in sé della tassidermia, dunque, ma l'assenza di freni inibitori il vero problema, come spiega ancora una volta Francesca Sorcinelli: «L'aggressività è un impulso naturale, un istinto che serve per salvaguardare la specie e l'individuo. Ognuno però ha anche freni inibitori  per rendere questa aggressività costruttiva e per l'uomo sono ad esempio il senso di colpa, il senso morale e l'empatia curata, ovvero non solo mettersi nei panni dell'altro ma farsi anche carico delle sue pene. È fondamentale far passare questo concetto: non nasciamo con questi freni ma solo con la predisposizione a svilupparli. Solo grazie all'insegnamento è possibile sviluppare "un'aggressività sana", altrimenti è possibile che scaturisca in violenza senza controllo o ragione».

Un ultimo aspetto, degno almeno di menzione in questa disamina, è un fenomeno che si è sviluppato recentemente: l'utilizzo della tassidermia per "conservare" gli animali domestici. Ha toccato questo argomento un'inchiesta di Presa Diretta, il programma televisivo diretto dal giornalista Riccardo Jacona, in cui veniva analizzato come oggi viene vissuta la relazione tra persone e "pet", toccando in realtà molti, diversi aspetti. Come ha scritto su Kodami la nostra direttrice Diana Letizia in quella occasione si è mostrato una deriva emozionale decisamente estrema da parte di chi non riesce a superare il lutto della perdita mostrando «chi si è addirittura rivolto alla tassidermia per mummificare il proprio compagno canino e averlo accanto per sempre».

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