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12 Marzo 2022
9:00

Come fanno i cani a capire quello che diciamo

Come è possibile che i cani ci capiscano quando parliamo con loro? Imparano il significato delle parole proprio come facciamo noi: attribuendo al suono una particolare rappresentazione mentale, attraverso un percorso d’esperienza.

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Membro del comitato scientifico di Kodami
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Come fa il cane a comprendere il linguaggio umano e cosa comprende? È indubbio che i cani ci capiscano anche quando parliamo ed è un'esperienza che chiunque abbia vissuto o viva con uno di loro conosce. Proviamo a vedere, però, come e cosa capiscono delle parole che pronunciamo.

“Boby, vieni che andiamo a fare una passeggiata!”, “Adesso basta, smettila di abbaiare!”, “Guarda che cosa ho qui per te…”: frasi come queste, come tante altre, sono comuni tra le mura di casa dove vive un quattro zampe. La reazione dei cani ci fa intendere chiaramente che loro comprendono quanto diciamo ed agiscono di conseguenza.

Ma come è possibile che ci comprendano quando parliamo con loro? In fondo, a pensarci bene, la comunicazione dei cani non è fatta di “parole”, eppure chiunque viva con un cane sarebbe disposto a giurare che loro ci capiscono, anche più di quello che vorremmo, alle volte. E in effetti è proprio così.

Il linguaggio è una cosa complessa

Innanzi tutto dobbiamo far chiarezza sul fatto che quello che trasmettiamo quando parliamo non sono solo e soltanto i significati delle parole pronunciate, ma c’è molto di più. Oltre al mero significato dei termini ci sono altri elementi che vengono percepiti e che hanno molta importanza per quanto concerne la comunicazione e non solo certamente con il cane, ma anche tra noi esseri umani.

Questi elementi sono il “modo” in cui pronunciamo le frasi e le parole e quello che “facciamo” mentre parliamo. Per quanto riguarda il “modo” pensiamo a quanta importanza possa avere il tono della voce, la rapidità con la quale pronunciamo le parole e l’intonazione. Questi elementi hanno un impatto sul significato di ciò che stiamo dicendo e hanno un peso molto rilevante, alle volte anche maggiore rispetto al significato delle parole stesse.

Pensiamo per esempio alla differenza che ci può essere nel pronunciare una semplice frase come: “Boby, vieni qui”. Questa esortazione potrebbe essere strillata trasmettendo rabbia e nervosismo oppure essere suadente, calma, rilassata. Benché il senso letterale della frase non cambia, quello che trasmettiamo invece sì. Se poi pensiamo alla nostra espressione del volto, ai gesti delle mani, alla postura del corpo che assumiamo mentre pronunciamo queste parole possiamo ben comprendere che il nostro interlocutore potrebbe interpretare quello che è il senso delle nostre parole in modi molto diversi.

Essendo il cane un’animale relazionale, attraverso l’esperienza, imparerà dunque ad attribuire significati a tutti questi elementi che verranno declinati all’interno della specifica relazione che hanno con l’interlocutore. Se a dire: “Boby, vieni qui” è il compagno umano del cane o il medico veterinario, per fare un esempio chiaro, la risposta potrebbe essere molto differente ma ciò non vuol dire che non abbia compreso il senso delle parole.

Ti guardo, ti ascolto

A parte la grande abilità di comprendere il linguaggio para-verbale, i cani sono molto abili anche nel comprendere i significati delle singole parole. O meglio, forse sarebbe più appropriato dire che sono in grado di attribuire significati alle parole che pronunciamo. Questo è possibile grazie a diversi fattori che comprendono le facoltà cognitive del cane e la sua natura di animale sociale, ma anche qualcosa che pare essere proprio solo del cane nel regno animale: l’interesse nei nostri confronti.

Infatti uno degli elementi centrali affinché la comprensione del nostro linguaggio avvenga anche in altre specie è necessario, in primis, che questo interessi a chi ascolta. Molti animali possono comprendere, con l’esperienza, il significato del linguaggio umano. Si pensi alle ricerche della dottoressa Irene Pepperberg con il pappagallo cenerino Alex.

Il fatto è che però il cane pare avere un particolare orientamento ed interesse nella comprensione del nostro linguaggio, non solo quello parlato, ma anche quello che si esprime attraverso le nostre espressioni facciali e il nostro gesticolare, come dimostrato dalla dottoressa Juliane Kaminski, del Dipartimento di Psicologia dell'Università di Portsmouth (“Il cane intelligente a modo suo” – 2008).

Quindi i cani sono particolarmente interessati a comprendere il nostro linguaggio e sono anche dotati delle facoltà cognitive per tradurlo in significati che abbiano senso per loro. Il motivo potrebbe essere insito nella millenaria convivenza che ha fatto convergere le doti delle due specie, cani e umani, affinché si comprendessero meglio. In sostanza il comprendersi può essere considerato un fattore evoluzionistico importante per entrambe e dato che noi rappresentiamo la nicchia evolutiva del cane sin dagli albori, per loro è risultato vitale comprendere le nostre intenzioni quando hanno iniziato a diminuire le distanze. In sostanza come se anche oggi chi capisce la differenza tra un umano amichevole e uno che ha brutte intenzioni sopravvive e prospera, l’altro no.

Il significato delle parole

Quindi, come imparano il significato delle parole i cani? Beh, per semplificare possiamo rispondere che lo fanno proprio come lo facciamo noi, ossia attribuendo ad un suono una particolare rappresentazione mentale attraverso un percorso d’esperienza.

Proviamo a fare un esempio, un piccolo esperimento, per così dire. Scegliamo una parola, una parola che il cane non ha mai sentito pronunciare, meglio se una parola inventata da noi stessi, giusto per essere sicuri, come “XYZ”. Poi procuriamoci un contenitore pieno di leccornie come biscottini molto profumati o cose simili. Mettiamo il contenitore fuori dalla portata e dalla vista del cane, magari dentro un cassetto o sulla libreria. Allontaniamoci poi da lì, soprattutto se il nostro cane ci ha osservato con interesse. Lasciamo passare del tempo, quasi dimenticandoci del contenitore con i biscotti. Il giorno seguente, in un momento qualunque della giornata pronunciamo per la prima volta la parola scelta (XYZ) mentre il nostro cane ci osserva, cerchiamo di farlo senza dare alcuna particolare enfasi alla parola, senza aggiungere né gesti né espressioni particolari, un po’ come quando rispondiamo a qualcuno che ci ha chiesto l’ora.

Naturalmente quel suono che abbiamo emesso non avrà alcun significato per il nostro cane che ci guarderà con un bel punto di domanda tra le pieghe della fronte. (P.s.: evitate di pronunciare la parola come fosse l’ordine di un ufficiale delle SS, di fatto non state chiedendo nulla al cane!). Dopo qualche secondo muoviamoci verso il mobile dove abbiamo nascosto il contenitore. Facciamolo senza essere particolarmente invitanti né cercando di coinvolgere il cane in alcun modo. Prendiamo il contenitore, e lasciamo cadere a terra il biscotto (o quello che abbiamo scelto sapendo che al cane piace particolarmente). Nel caso il cane ci abbia seguito e sia lì vicino a noi mentre facciamo questo, possiamo anche dargli direttamente il bocconcino. Facciamolo anche qui in modo neutrale, come se la cosa non avesse poi tanta importanza per noi. Poi riponiamo il tutto nell’armadio e riprendiamo a fare quello che stavamo facendo prima, lasciando il cane a rimuginare su quanto sia accaduto senza interferire. Potrebbe anche essere che ci segua aspettando che la storia si ripeta, ma per oggi non accadrà di nuovo.

L’indomani ripetiamo tutto daccapo, in un momento qualsiasi della giornata e osserviamo le reazioni del cane, le sue espressioni, i suoi cambiamenti emotivi, il suo comportamento al solo sentir pronunciare la parola sconosciuta (XYZ).

Dopo qualche giorno il cane avrà ben compreso il significato di quel suono, o meglio, cosa accade quando noi lo pronunciamo. Avrà costruito una rappresentazione mentale legata a quella parola e ce lo farà comprendere, per esempio eccitandosi nel solo sentirla.

Questa facoltà si chiama "inferenza" e i cani sono ben equipaggiati di questa funzione cognitiva e la applicano continuamente, non solo con le parole e i suoni ma anche per comprendere gesti, stati emotivi, comportamenti che ci riguardano e, più in generale, per dare significato alle cose del mondo.

È importante comprendere che il cane apprende il significato di quello che diciamo e facciamo a prescindere dalla nostra intenzione di insegnargli qualcosa e sono maestri in questo proprio in virtù del fatto che noi siamo – anche in modo forzato alle volte – il centro del loro mondo. Siamo noi che determiniamo tutto quello che accade nella loro vita. Questo significa che i cani hanno un bagaglio di informazioni enorme che ci riguarda, grazie alla memoria: una componente cognitiva importantissima, che si accresce via via, di istante in istante.

Ripetendo il semplice esperimento potrebbe facilmente accadere che al sentirci pronunciare “la parola” il cane si vada subito a posizionare sotto il mobile, o il cassetto, dove abbiamo riposto i biscotti, anticipandoci. Per lui quel suono (XYZ) significherà che noi, ovunque ci troviamo in casa, dopo averlo pronunciato, ci dirigeremo verso quel punto preciso (dove sta nascosto il contenitore) e gli daremo qualcosa di molto appetibile. È importante notare che lo stato emotivo generato dall’esperienza sarà un fattore determinante per l’apprendimento e l’attribuzione di un significato da parte del cane.

Capire un concetto

Ma cosa accade se un giorno pronunciamo quella parola, nello stesso modo, mentre ci troviamo da tutt’altra parte? Per esempio mentre siamo al parco, o a spasso in un bosco? Qui possono accadere diverse cose. Proviamo a farlo in un momento che sia opportuno, ossia mentre il nostro cane è tranquillo e non impegnato in una qualche attività come fiutare una traccia, o mentre gioca con altri cani, e via dicendo.

Osserviamo le sue espressioni: probabilmente vedremo di nuovo apparire quel punto di domanda che abbiamo visto le prime volte, ma potrebbe anche essere che il cane risponda aumentando il suo livello di eccitazione (il suo arousal) e magari si guarderà intorno nel cercare di intuire dove potremmo aver messo il contenitore con i biscotti. Potrebbe anche abbaiarci, come a dire: “Ma che accidenti dici, non siamo mica a casa qui!”. Ma se, per esempio, ci fossimo preparati avendo messo quel contenitore nello zaino che abbiamo poggiato lì, sulla panchina, e lo tirassimo fuori dopo aver pronunciato XYZ ecco che il nostro cane si illuminerà. In questo caso stiamo generalizzando un significato. Ovvero favoriamo nel cane l’apprendimento di un concetto legato a quel suono.

Se prima nella rappresentazione mentale suscitata dal suono gli eventi erano sempre quelli, ossia noi che andiamo all’armadio o al cassetto specifico e prendiamo il contenitore, da ora in poi quel suono significherà esclusivamente che gli stiamo per dare qualcosa di molto buono, a prescindere da dove ci si trovi.

Non è dunque più indispensabile che si sia a casa e che ci sia un luogo preciso dove il contenitore è riposto. La generalizzazione è un’altra delle facoltà cognitive del cane, come lo sono la categorizzazione, la discriminazione, eccetera. Tanto più il cane farà esperienze tanto più diventerà abile nell’utilizzare queste facoltà, un po’ come se fossero muscoli che più li usiamo più divengono forti ed elastici.

Le parole dei cani

Naturalmente, vivendo con noi, il cane apprenderà un’infinità di significati e moltissimi vocaboli, ma ricordiamoci che grande importanza avrà il modo in cui essi vengono pronunciati. Molto spesso noi, rivolgendoci al cane, trasmettiamo più uno stato emotivo che un significato letterale. Ecco che se provassimo ad usare parole molto offensive, brutali, aggressive ma dette con gioia, al nostro cane arriverà l’emozione, non il significato.

Questo vale anche per i gesti che facciamo e le posture che assumiamo, che sono aspetti della comunicazione più importanti per il cane rispetto al significato letterale delle frasi o delle parole. Ma se ci pensiamo bene non è che per noi sia molto diverso! Infatti quanto è più difficile farci comprendere veramente quando scriviamo a differenza di quando siamo a quattr’occhi con un interlocutore? Il nostro parlato è denso di un para-verbale di cui sentiamo la mancanza quando non possiamo vedere l’altro, quando non possiamo sentire la sua voce e il modo in cui proferisce le parole.

In ogni caso, nella vita di tutti giorni, il cane si abitua al fatto che noi utilizziamo continuamente questo modo di comunicare, usiamo un’infinità di parole. Molto spesso sembra che il cane non presti attenzione a quello che diciamo ma in realtà ci ascoltano più di quanto noi siamo portati a credere. Per lui però solo alcune delle parole che pronunciamo emergono perché legate a particolari significati importanti, a rappresentazioni. Per esempio parole come “bagnetto” o “andiamo”, o “veterinario”, o banalmente il suo nome proprio, possono accendere il suo interesse, anche se non gli stiamo parlando direttamente.

Certamente quello che conta è anche il contesto, come abbiamo detto sopra una rappresentazione, un significato, è denso di elementi quindi è probabile che se pronunciamo la parola “veterinario” mentre siamo sdraiati su una bella spiaggia deserta l’unica reazione che potremmo ottenere dal cane e il sollevarsi di un sopracciglio mentre sonnecchia accoccolato accanto a noi. Ben diverso sarebbe se quella parola fosse pronunciata mentre siamo a spasso per le vie del paese… magari proprio nei pressi della clinica veterinaria che lui conosce e magari teme (ci perdonino i veterinari che ci leggono, vittime spesso di questo tipo di esempi, qui non si vuole certo dire che i cani abbiano sempre fatto brutte esperienze nei loro confronti, anzi! è solo un modo per essere più comprensibili ai lettori).

Imparare una lingua

Ecco che mentre i cani dimostrano tutto questo potrebbe invece risultarci difficile insegnargli volutamente il significato di qualcosa (attenzione, insegnare qualcosa non significa per forza “comandare” qualcosa, come molti credono). Ma qui non dovremmo porci delle domande in merito alle facoltà cognitive dei cani, ma sulle nostre capacità e soprattutto sulla coerenza di quello che vogliamo insegnare, e ancora su tutto il companatico che correda il nostro modo di comunicare con lui.

Insomma se il nostro cane non ci capisce, in primis dovremmo metterci in discussione noi: molto probabilmente stiamo commettendo un qualche errore, c’è certamente qualcosa che ci sfugge e non è sempre così facile riuscire a capirlo. Forse non stiamo tenendo conto del suo carattere, dei suoi interessi, delle sue esperienze pregresse, dei suoi stati emotivi nel qui e ora, eccetera.

Inoltre c’è da dire che a causa della nostra natura attribuiamo forse troppa importanza al linguaggio verbale e troppo poca a tutto il resto soprattutto quando ci relazioniamo con il nostro compagno a quattro zampe. Spesso pretendiamo che sia lui a doverci capire senza far nulla per essere noi a comprendere lui. Siamo così orgogliosi della nostra intelligenza, del nostro cervello, nel mettere in evidenza quanto noi siamo più dotati degli altri animali ma poi pretendiamo che siano gli altri a comprendere la nostra lingua e non noi la loro. Ed è di per sé una contraddizione bella e buona.

Scoprire quello che ci può “dire” un cane apre le porte ad un mondo fantastico, molto più vasto e interessante, ma prima di tutto dobbiamo metterci in ascolto, dobbiamo imparare la sua di “lingua”, per quanto noi si possa essere limitati nella comprensione, dobbiamo sforzarci per far questo. Proviamoci, almeno quanto lo fanno loro nei nostri confronti. Allora la nostra relazione non sarà più così sbilanciata su di noi, sui nostri monologhi e sproloqui spesso incomprensibili, ne avrà certo un beneficio, e la comprensione sarà un fatto naturale, così come è stato per migliaia di anni, sempre a patto che il tempo condiviso sia adeguato, insomma, che la relazione con lui sia appagante per entrambi e ricca di esperienze condivise.

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Luca Spennacchio
Istruttore cinofilo CZ
Ho iniziato come volontario in un canile all’età di 13 anni. Ho studiato i principi dell’approccio cognitivo zooantropologico nel 2002; sono docente presso diverse scuole di formazione e master universitari. Sono autore di diversi saggi.
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