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27 Ottobre 2021
10:32

Tre anni dopo la tempesta Vaia: come stanno gli animali e i boschi del Trentino?

Tra il 28 e il 30 ottobre 2018 una violenta tempesta conosciuta con il nome di Vaia, ha colpito le Alpi italiane, causando lo schianto di milioni di alberi. Oggi, a tre anni di distanza, si cominciano a delineare le conseguenze che questa catastrofe ha avuto sulla fauna e sulla flora dei boschi alpini. Se da una parte l'avifauna e i mammiferi sembrano aver trovato la propria strategia per sopravvivere ai venti che raggiungevano i 200 chilometri all'ora, dall'altra le piante vengono oggi infestate da un insetto, che un tempo colpiva gli alberi malati, ma oggi ha avuto la possibilità di espandersi, fino a rendere la sua presenza visibile a occhio nudo.

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Tra il 28 e il 30 ottobre 2018 sull'arco alpino si abbatté una tempesta che, con venti fino a 200 chilometri all'ora e precipitazioni superiori a 650 millimetri in meno di 3 giorni, causò enormi danni agli ecosistemi montani del Veneto, del Friuli Venezia Giulia e del Trentino Alto Adige, fino a raggiungere la Lombardia e i cantoni più meridionali della Svizzera.

Molte zone rimasero per giorni interi senza luce e senza vie di comunicazione, per poi risvegliarsi la mattina del 30 ottobre in un paesaggio completamente diverso: Vaia, questo il nome della tempesta, aveva abbattuto interi boschi e foreste, per un totale di circa 42 milioni di alberi, lasciando dietro di sé decine di migliaia di ettari di terreno raso al suolo.

Ma cosa significa un evento di questo genere per gli animali che abitano i boschi? Quali sono le conseguenze di un fenomeno atmosferico di questa entità e quali sono le speranze per la flora e la fauna negli anni a seguire? In occasione dell'anniversario di questa tremenda catastrofe, abbiamo parlato con Vittorio Ducoli, Direttore del Parco Naturale di Paneveggio e Pale di San Martino, uno dei luoghi maggiormente colpiti da Vaia, situato nel Trentino orientale, tra San Martino di Castrozza e il Veneto.

Le conseguenze sugli uomini e sulla fauna del bosco

Le Alpi centro orientali sono fra le zone montane più densamente abitate del nostro paese. Territori in cui a reggere l'economia non è solo il settore turistico, ma anche l'attività agricola gestita da decine di migliaia di famiglie che ancora oggi vivono isolate, a stretto contatto con la natura e quindi, anche con i fenomeni atmosferici come quello avvenuto nell'ottobre di tre anni fa. Dalla provincia di Pordenone, passando per Belluno, Trento e Bolzano, ma anche le più orientali della Lombardia, ovvero Brescia e Sondrio, per chiunque viva in queste montagne esiste un "prima" e un "dopo" Vaia. Se ne parla a voce bassa e molte persone, ancora oggi, hanno paura del rumore del vento. Quel vento che in una notte ha cambiato per sempre il volto dei boschi che circondano paesi e città.

A cambiare però non è stato solo il paesaggio ma anche l‘habitat di numerose specie animali che vivono nelle foreste alpine: «In poche ore, solamente nel nostro parco, la tempesta ha abbattuto circa 600 ettari di bosco, ovvero circa il 5% del totale – spiega Vittorio Ducoli – Questo fenomeno ha rappresentato indubbiamente uno choc per gli interi ecosistemi: in un attimo sono aumentati nettamente gli ambienti aperti, rispetto a quelli forestali, eppure nei mesi successivi all'evento abbiamo rinvenuto un numero estremamente ridotto di animali, di dimensioni osservabili, potenzialmente morti quella notte. Trovo verosimile pensare che la loro capacità di percezione dell'ambiente circostante gli abbia permesso di prevedere l'arrivo dei forti venti e quindi evitare le zone che di lì a poco sarebbero state colpite da Vaia».

Qualcosa di nuovo è però accaduto: l'arrivo dei coleotteri lignicoli

Per tutta la durata del 2019, gli esperti hanno proseguito il lavoro di monitoraggio delle specie che popolano le zone di Paneveggio, senza rilevare però riduzioni nel numero di individui nemmeno per quanto riguarda le specie più delicate dal punto di vista dell'habitat, come il gallo cedrone (Tetrao urogallus): «I dati ci fanno intendere che vi sia stato un ottimo adattamento da parte della fauna locale – spiega il Direttore del Parco – I successi riproduttivi, in particolare di ungulati e tetranoidi, hanno confermato risultati in linea con gli indicatori degli anni precedenti il 2018, ma non bisogna dimenticare che 3 anni sono davvero pochi per comprendere il valore di un evento come questo sull' ecosistema: la natura è complessa ed altrettanto complessa sarà l'interpretazione delle conseguenze».

Se la fauna di grandi dimensioni non sembra aver risentito in maniera evidente di quanto accaduto, ciò che di cui invece si parla sempre più spesso è la forte diffusione di una specie di scolitidi, ovvero dei piccoli coleotteri lignicoli che scavano negli alberi malati gallerie sottocorticali, formando i caratteristici disegni a raggiera, causandone in pochi giorni la morte: «Si tratta di un aumento che era già stato osservato altrove, in luoghi colpiti da fenomeni atmosferici di questa entità – spiega Ducoli – Mentre fino a qualche anno fa infestavano solo le piante malate, ora stanno portando a morire anche gli alberi che si trovano sui margini delle zone colpite».

Chi è il Bostrico tipografo, l'insetto che uccide gli abeti

Paolo Kovatsch è il responsabile tecnico dell’Agenzia provinciale delle foreste demaniali della Provincia autonoma di Trento, ovvero i boschi di proprietà della Provincia, individuate come patrimonio della Comunità e meritevoli di particolare tutela per via dell'elevato valore naturalistico e socio-culturale. Proprio da questi boschi, ad esempio, veniva prelevato il legno con cui il famoso liutaio Antonio Stradivari produceva i suoi famosi violini.

«Monitoriamo da decenni il numero di scolitidi della specie Ips typographus, anche detto bostrico tipografo o bostrico dell'abete rosso – spiega Kovatsch – L'anno scorso, in seguito all'aumento del legname schiantato nei boschi colpiti da Vaia, abbiamo osservato un aumento esponenziale degli individui catturati con le apposite trappole per il monitoraggio. Era quindi prevedibile che quest'anno avremmo visto le conseguenze di questo aumento causato dall'importante presenza di alberi al suolo i quali, nonostante l'impegno, non sono sempre recuperabili o trasportabili altrove».

Ips typographus è un insetto che si nutre dei tessuti sottocorticali degli abeti, fora la corteccia, costruisce gallerie longitudinali lungo la superficie del legno e camere nuziali dove riprodursi. Le larve di questo insetto, una volta schiuse, si spostano in modo trasversale, causando così lo scollamento della corteccia: «Il bostrico colpisce in maniera imprevedibile e quando gli effetti dell'infestazione diventano visibili, l'albero è in realtà già morto, l'insetto si è già spostato altrove e non rimane nulla da fare, se non recuperare il legno per altri utilizzi – spiega Kovatsch – Le conseguenze di queste infestazioni da quest'estate sono visibili anche dalle strade: macchie di alberi scorticati e morti nel giro poche settimane».

E ora cosa succederà?

Secondo i dati rilevati negli altri luoghi in cui sono avvenute infestazioni di questo tipo, è plausibile prevedere che la moria di abeti sia un fenomeno transitorio e che si ridurrà naturalmente nel giro di qualche anno: «In base a come sarà l'andamento climatico della prossima primavera, sapremo cosa aspettarci per la diffusione del bostrico – aggiunge l'esperto – Generalmente però, secondo quanto abbiamo visto in altre zone d'Europa, il fenomeno non dura più di 4 o 5 anni a partire dall'anno in cui è avvenuta la tempesta».

Sebbene non sia ancora chiaro quali sia il quadro completo delle conseguenze sugli ecosistemi della tempesta Vaia, Vittorio Ducoli sostiene che sia possibile sfruttare questa condizione temporanea per cogliere un insegnamento: «Ciò che stiamo vedendo nelle foreste intorno a noi in questo preciso momento storico è un'importante occasione per la ricerca perché ci permette di osservare fenomeni su cui altrimenti sarebbe difficile indagare – conclude il direttore del parco – Forse ci aiuterà anche a prepararci per i prossimi eventi catastrofici, perché in futuro saranno sempre più frequenti».

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Claudia Negrisolo
Educatrice cinofila
Il mio habitat è la montagna. Sono nata in Alto Adige e già da bambina andavo nel bosco con il binocolo al collo per osservare silenziosamente i comportamenti degli animali selvatici. Ho vissuto tra le montagne della Svizzera, in Spagna e sulle Alpi Bavaresi, poi ho studiato etologia, sono diventata educatrice cinofila e ho trovato il mio posto in Trentino, sulle Dolomiti di Brenta. Ora scrivo di animali selvatici e domestici che vivono più o meno vicini agli esseri umani, con la speranza di sensibilizzare alla tutela di ogni vita che abita questo Pianeta.
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