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13 Febbraio 2022
9:09

Perché le tigri sono arancioni e nere?

Perché le tigri sono arancioni, un colore così vistoso nonostante la loro necessità di dover tendere agguati? Il motivo è "negli occhi" delle loro prede.

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Perché le tigri sono arancioni e nere, una colorazione così vistosa per dei predatori d'agguato?  Facciamo un breve gioco di ruolo: siete un grosso predatore asiatico che per poter sopravvivere deve riuscire a stanare le sue prede, solitamente cervi. Il vostro successo alimentare dipenderà dalla vostra capacità di tendere agguati nella lussureggiante vegetazione (è ovviamente un discorso generale, le tigri hanno un areale naturale molto ampio e frequentano una vasta gamma di ambienti). Di che colore preferireste essere?

L'enigma dell'appariscente manto della tigre ha arrovellato le menti di studiosi ed appassionati di evoluzionismo per decenni. Tuttavia, i grandi passi avanti fatti negli ultimi anni in campi come l'ottica e la fisiologia ci hanno offerto, è proprio il caso di dirlo, un "punto di vista" differente.

Per la scienza, insomma, non è più un segreto da tempo, tanto da essere già stato elegantemente mostrato anche in un recente documentario Netflix: "La vita a colori". Di recente l'argomento è tornato alla ribalta sui social e su diversi media e su Kodami ve ne avevamo già parlato in occasione del resoconto nazionale del governo indiano sulla conservazione della tigre del Bengala.

Le tigri non sono arancioni agli occhi delle prede

Quello che ai nostri occhi appare come un mistero, per altre specie non lo è affatto. La tigre non deve celarsi a noi esseri umani, raramente sul suo menù abituale, ma dalle sue prede. Le specie di cui le tigri vanno ghiotte sono varie specie di erbivori ungulati tra cui cervidi e antilopi come i cervi pomellati o chital (Axis axis) e  le antilopi azzurre o nilgau (Boselaphus tragocamelus).

L'occhio di questi animali non è come il nostro: ogni specie ha infatti sviluppato strutture oculari differenti nel corso dell'evoluzione, per poter distinguere lunghezze d'onda e quindi colori differenti e mettere a fuoco l'ambiente circostante in modi diversi.

Per i nostri antenati ominidi semi-arboricoli, possedere un occhio capace di discernere con precisione varie sfumature cromatiche di molti colori, mettendo a fuoco la parte centrale del campo visivo è stata una capacità essenziale per scovare i frutti maturi di cui ci nutrivamo. Questa caratteristica è stata poi mantenuta alle "recentissime" (su scala evolutiva) variazioni del nostro stile di vita. Alcuni ricercatori sostengono addirittura che nelle differenze di genere della nostra specie vi sia una maggiore percezione dei colori nell'occhio femminile. Se volete approfondire l'argomento vi consigliamo di leggere un bestseller dell'antropologia divulgativa, "La scimmia nuda".

Ma torniamo all'occhio degli ungulati. Dalla loro prospettiva il mondo appare decisamente diverso: nella parete posteriore interna della retina si trovano i fotorecettori, quegli elementi che catturano le varie lunghezze d’onda della luce. Queste sono di due tipi: bastoncelli per captare le scale di grigi e coni per la percezioni dei colori. Gli ungulati hanno solo due tipi di coni, un tipo sensibile alle onde corte (luce blu/viola) e l’altro sensibile alle onde medie (luce verde/gialla) e la loro visione è detta dicromatica.

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Ecco un esempio pratico: a destra abbiamo un'immagine recepita da un animale tricromatico come noi, mentre a sinistra abbiamo la stessa specie vista da un erbivoro. Come potete vedere, rossi e gialli sono totalmente indistinguibili dal verde della foresta.

Applicando ora questo concetto alle tigri, ecco che questi temibili predatori diventano letteralmente degli "spettri" nel sottobosco.

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E allora come mai le tigri non si sono direttamente evolute per essere verdi? Beh, ogni gruppo animale può esprimere determinati pigmenti in base alle proteine che possono essere prodotte dai propri tessuti. Il piumaggio degli uccelli ad esempio può colorarsi, come sappiamo, con decine di sfumature differenti regalandoci degli spettacoli cromatici unici. Questa caratteristica tra l'altro è condivisa dai loro antenati rettili. Molto probabilmente anche i dinosauri erano coloratissimi…

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Un’anatra mandarina maschio

Nella pelle e nel pelo di noi mammiferi tutti i pigmenti sono melanici, con tinte che vanno dal biondo al marrone chiaro passando per il rosso, dal bruno al nero. Questa condizione riflette probabilmente le prime fasi della nostra storia evolutiva, quando milioni di anni fa, eravamo piccole specie di proto-mammiferi fondamentalmente notturni.

Tigri con colorazioni differenti

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Colorazione "golden tiger"

La caratteristica colorazione del manto delle tigri (Panthera tigris), ambitissimo dai bracconieri per la sua bellezza, comunque, è un tratto che può in alcuni casi andare incontro a mutazioni, come del resto accade nelle altre specie di felini. Mutazioni recessive di alcuni geni possono infatti portare a sviluppare colori molto diversi, come pure albinismo e melanismo anche in maniera del tutto naturale. È importante sottolineare che in questi casi non si tratta di differenze genetiche tra diverse sottospecie, ma solo di variabilità individuali.

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Tigre pseudo–melanica
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Tigre bianca

Ultima curiosità. Proprio per questo motivo, quando parliamo di pantere nere non intendiamo una ben precisa specie di felide: le pantere nere sono "solo" varianti melaniche di leopardi (Panthera pardus) e giaguari (Panthera onca).

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