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16 Dicembre 2023
10:34

Orso polare in pericolo: il WWF lo monitora con il DNA ambientale

Grazie alla nuova tecnologia, il DNA degli orsi polari può essere estratto dalle impronte lasciate dagli animali nella neve, offrendo nuove possibilità di monitoraggio di una specie di cui sopravvivono meno di 30 mila esemplari e fortemente messa a rischio dai cambiamenti climatici.

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Giornalista
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foto WWF

Una nuova tecnologia, il DNA Ambientale, sta cominciando ad essere utilizzato dal WWF per monitorare gli orsi polari dell’Artico, nel tentativo di aumentare la conoscenza delle 20 popolazioni di polari oggi esistenti malgrado i cambiamenti climatici che, giorno dopo giorno, stanno letteralmente sciogliendo il suo habitat, cioè il ghiaccio del nord del Pianeta.

«Un network internazionale di uffici WWF – spiega Isabella Pratesi, International Conservation Director del WWF Italia- sta avviando un nuovo programma di monitoraggio della presenza, distribuzione e attività degli orsi polari. Il monitoraggio e lo studio saranno realizzati con nuovissime tecnologie, ovvero la possibilità di estrarre (sulla base di campioni di ghiaccio e di acqua che vengono studiati in laboratorio) il DNA dell’orso».

Un sistema che, si spera, potrà aiutare nello studio di quello che viene considerato il simbolo indiscusso dell’Artico ma anche una delle specie maggiormente minacciate dal cambiamento climatico che ha tra i suoi effetti, l’innalzamento delle temperature e il conseguente scioglimento dei ghiacci. «I ghiacci dove l'orso polare cacciava non esistono più, così l’orso si ritrova a nuotare per chilometri alla ricerca di una preda, oppure resta confinato sulla terraferma dove è ancora più difficile trovare cibo. Le femmine gravide sono le più vulnerabili, insieme ai loro cuccioli» spiega il WWF Italia che anche quest’anno organizza in occasione del Natale una campagna di adozioni a distanza di orsi polari.

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foto WWF

«Questo sistema – continua la Pratesi – non solo dice quali luoghi sono maggiormente frequentati (e quindi dove necessita intervenire prioritariamente) ma anche quali individui si spostano e dove. In questo modo le azioni di protezione, conservazione e mitigazione dei conflitti con le comunità locali possono essere calibrate al meglio». Classificato come “Vulnerabile” dalla Red List della IUCN, gli orsi polari sono secondo le stime attuali, poco meno di 30mila individui. La loro sopravvivenza è legata a doppio filo non solo dalla possibilità di bloccare il ritiro dei ghiacci polari, ma anche dalla possibilità di intervenire per mitigare i conflitti tra questo carnivoro e le comunità locali, ormai esasperate dalle incursioni di questi straordinari carnivori perennemente alla ricerca di cibo. «A causa del continuo ridursi del suo habitat, la specie potrebbe perdere il 30% della sua popolazione entro il 2050 ed estinguersi in natura prima della fine del secolo – spiega il WWF. – Inoltre, a minacciarne la sopravvivenza troviamo anche la continua espansione di attività antropiche come l’estrazione di petrolio e gas, e la presenza di inquinanti nell’oceano, dove vivono e si alimentano le prede dell’orso polare».

La tecnologia basata sull’analisi del DNA ambientale, conosciuta a livello scientifico come eDNA, potrebbe quindi invertire la rotta? «Spero che questo metodo possa aiutarci ad avere un quadro più chiaro dell'effettivo stato di conservazione delle 20 popolazioni di orso polari oggi esistenti – afferma la Pratesi ricordando che il WWF Italia insieme al "Gruppo Foca monaca" e l'Università di Milano stanno studiano con questo metodo la presenza e distribuzione della foca nel Mediterraneo. –  Su alcune di queste popolazioni di orsi polari i dati e le informazioni sono ancora carenti. In generale, questo sistema, molto più economico e meno invasivo degli altri sistemi di monitoraggio permetterà sicuramente di allargare gli studi su territori più estesi e numeri più alti di orsi».

La tecnica di studio dell’eDNA applicata agli orsi polari prevede lo studio delle cellule presenti nelle orme che l’animale lascia sul ghiaccio. «Le analisi del DNA vengono svolte direttamente prelevandolo dalle cellule presenti all’interno delle orme rilasciate dall’animale sulla neve – spiega la Pratesi. – Questa metodologia si basa sul fatto che ogni essere vivente rilascia nell’ambiente materiale cellulare che lo identifica geneticamente. Le gelide temperature dell’Artico, inoltre, eviterebbero la degradazione del materiale, rendendo questa una tecnica adatta alle condizioni climatiche estreme che qui si registrano».

L’altro vantaggio di questo metodo è che è meno invasivo e meno dispendioso del classico monitoraggio con i radiocollari muniti di gps, che prevedono la cattura dell’animale per il posizionamento del radiocollare. «Sicuramente è un metodo più economico e meno invasivo che studiarli con radiocollari e dagli elicotteri. Però servono comunque investimenti per raccogliere i campioni e studiarli in laboratorio. Ma i costi sono comunque notevolmente più bassi dei normali studi di monitoraggio». Il fatto poi che la raccolta di questi campioni da cui estrarre il DNA ambientale possa essere fatta coinvolgendo le popolazioni locali, è un ulteriore tassello positivo. «L’ulteriore vantaggio infatti è che i campionamenti possono essere svolti anche da figure non professionali, quali volontari e comunità indigene. Questo porta da un lato ad aumentare le aree di studio e dall’altro a migliorare il coinvolgimento delle popolazioni locali, aspetto fondamentale per aumentare l’efficacia delle strategie di conservazione sul lungo periodo». Un altro caso di citizen science virtuosa che unisce la passione dei volontari allo studio e alla salvaguardia dell’ambiente e degli animali.

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Maria Grazia Filippi
Giornalista
Scrivo da sempre, ma scrivere di animali e del loro mondo è la cosa più bella. Sono laureata in lettere, giornalista professionista e fondatrice del progetto La scimmia Viaggiante dedicato a tutti gli animali che vogliamo incontrare e conoscere nei luoghi dove vivono, liberi.
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