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13 Dicembre 2023
9:00

Non dar da mangiare a un cane equivale ad abbandonarlo o maltrattarlo

Trascurare un cane, non fornirgli cibo né acqua, equivale ad abbandonarlo o persino a maltrattarlo. Secondo il nostro ordinamento, infatti, l'incuria può integrare il reato di abbandono di animali e, nei casi più gravi, quello di maltrattamento.

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Articolo a cura dell' Avvocato Salvatore Cappai
Civilista, esperto in diritto degli animali
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Trascurare un cane, non fornirgli cibo e acqua, equivale ad abbandonarlo o persino a maltrattarlo, a seconda dei casi, della gravità e volontarietà della condotta. L'incuria, al pari di condotte attive (come allontanare l'animale da casa o colpirlo con violenza) può integrare il reato di abbandono di animali e, nei casi più gravi, quello di maltrattamento di animali, entrambi previsti dal nostro codice penale.

Quando si sceglie di accudire un cane, e un animale in generale, si assume un impegno importante nei suoi confronti. Si diventa infatti responsabili non solo verso terzi ma anche del suo pieno benessere psicofisico, che va sempre garantito.

Quali sono per la nostra legge gli obblighi del custode di un animale?

Sulla spinta dell'evoluzione della sensibilità sociale in costante evoluzione, negli ultimi decenni il nostro ordinamento ha preso atto del fatto che un cane, e un animale in generale, è un essere senziente, capace di provare emozioni e di soffrire. In molti ambiti del diritto sono state emanate delle norme che impongono al detentore di un animale di garantirne il pieno benessere ed altre che puniscono chi non ottempera a quest'obbligo. Un esempio concreto è rappresentato dall'accordo Stato-Regioni sul benessere degli animali da compagnia e pet-therapy del 6 febbraio 2003. Nello stesso accordo le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano si sono impegnate ad imporre a chiunque conviva con un animale «di provvedere alla sua sistemazione e fornirgli adeguate cure ed attenzione, tenendo conto dei suoi bisogni fisiologici ed etologici secondo l’età, il sesso, la specie e la razza ed in particolare»:

  1. Rifornirlo di cibo e di acqua in quantità sufficiente e con tempistica adeguata;
  2. Assicurargli le necessarie cure sanitarie ed un adeguato livello di benessere fisico e etologico;
  3. Consentirgli un'adeguata possibilità di esercizio fisico;
  4. Prendere ogni possibile precauzione per impedirne la fuga;
  5. Garantire la tutela di terzi da aggressioni;
  6. Assicurare la regolare pulizia degli spazi di dimora degli animali.

Regioni e anche Comuni si sono adeguati, alcuni più e altri meno, ed hanno mantenuto l'impegno. Si possono richiamare, sempre a titolo di esempio, una legge lombarda ed il regolamento comunale della capitale. Il primo, il Regolamento Regionale n. 2 del 13 aprile 2017, stabilisce che «chiunque detiene a qualunque titolo un animale d'affezione è responsabile del suo benessere, deve provvedere alla sua idonea sistemazione e fornire adeguate cure e attenzioni, tenuto conto dei bisogni fisiologici ed etologici, secondo l'esperienza acquisita e le conoscenze scientifiche riguardo alla specie, alla razza, all'età e al sesso».

In particolare, «il detentore di animali di affezione è tenuto a: fornire un ricovero adeguato; fornire quotidianamente cibo e acqua in quantità e qualità sufficiente e assicurare la costante disponibilità di acqua; […]».

Il secondo, ovvero il "Regolamento comunale sulla tutela degli animali" del Comune di Roma del 2005 prevede, sempre tra le altre statuizioni, il divieto di «tenere gli animali in spazi angusti, privarli dell’acqua e del cibo necessario o sottoporli a temperature climatiche tali da nuocere alla loro salute».

Cosa rischia chi non fornisce in maniera adeguata cibo e acqua al proprio cane?

Il pet mate che non garantisce al proprio cane un pieno benessere e lo priva del cibo e dell'acqua di cui questo necessita, rischia di commettere il reato di "Abbandono di animali" o, nei casi più gravi ed in cui la condotta è volontaria, di "Maltrattamento di animali".

Il Codice penale, infatti, all'articolo 727, prevede che: «chiunque abbandona animali domestici o che abbiano acquisito abitudini della cattività è punito con l'arresto fino ad un anno o con l'ammenda da 1.000 a 10.000 euro. Alla stessa pena soggiace chiunque detiene animali in condizioni incompatibili con la loro natura, e produttive di gravi sofferenze».

La giurisprudenza, in più occasioni, ha avuto modo di chiarire quanto accennato in precedenza, ovvero che per abbandono non si intende soltanto l'allontanamento dell'animale da casa (esempio classico: il legarlo ad un palo per strada) ma anche il privarlo di cibo, di acqua o di un riparo adeguato. Sul punto l'Ordinanza n. 46560 del 2015 della Corte di Cassazione Penale così recita: costituiscono maltrattamenti, idonei ad integrare il reato di abbandono di animali, non soltanto quei comportamenti che offendono il comune sentimento di pietà e mitezza verso gli animali per la loro manifesta crudeltà, ma anche quelle condotte che incidono sulla sensibilità psicofisica dell'animale, procurandogli dolore e afflizione. Il caso concreto all'attenzione della corte riguardava proprio degli animali denutriti e costretti a dissetarsi con acqua piovana (oltre che sporchi e privati di un riparo dal sole e dalle intemperie). Il reato di Abbandono di animali rientra nella categoria delle contravvenzioni e quindi per la sua configurazione non è richiesta la volontarietà della condotta o dell'omissione.

Questo elemento soggettivo è invece richiesto ai fini dell'integrazione del più grave delitto di maltrattamento di animali, previsto dall'articolo 544 ter del Codice Penale. Detta norma stabilisce che «chiunque, per crudeltà o senza necessità, cagiona una lesione ad un animale ovvero lo sottopone a sevizie o a comportamenti o a fatiche o a lavori insopportabili per le sue caratteristiche etologiche è punito con la reclusione da tre a diciotto mesi o con la multa da 5.000 a 30.000 euro […]».

Anche con riguardo a questa fattispecie di reato i nostri giudici hanno spiegato che per la sua integrazione non è necessaria una condotta attiva che sia idonea a generare l'insorgenza di una “malattia nel corpo o nella mente”; risulta infatti sufficiente, ai fini della configurabilità del delitto, la diminuzione dell'originaria integrità dell'animale, diretta conseguenza di una condotta volontaria commissiva ma anche omissiva. In altre parole, la giurisprudenza ha chiarito che costringere un cane (un animale) ad una sofferenza data dalla privazione voluta di cibo ed acqua, significa – molto semplicemente – maltrattarlo.

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Salvatore Cappai
Avvocato
Avvocato con la passione per la divulgazione. Mi occupo di diritto civile, con particolare riguardo ai campi della responsabilità civile, dell’assistenza alle imprese e del “diritto degli animali”. Mi sono avvicinato a quest’ultima materia circa dieci anni fa, quando ho incontrato Gaia, la mia cagnolina, che ha stravolto la mia visione sul mondo degli animali e sulla vita assieme a loro. La mia community social, nella quale da anni informo con semplicità su tematiche giuridiche, conta oltre 350.000 iscritti.
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