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13 Gennaio 2024
18:00

Non alimentare gli animali selvatici può allungare la loro vita

A volte l’empatia gioca brutti scherzi, portandoci a compiere azioni che pensiamo costituiscano un aiuto per gli animali selvatici e invece non lo so, come offrire loro del cibo.

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Alcune volte l’empatia gioca brutti scherzi, portandoci a compiere azioni che pensiamo costituiscano un aiuto per gli animali selvatici, mentre in realtà li mettiamo in pericolo. La più pericolosa di queste azioni e probabilmente anche la più diffusa, è quella di dare del cibo agli animali pensando che questo possa rendere la loro vita più facile oppure che possa essere un mezzo per poter godere più facilmente della loro presenza. Il pensiero che questo comportamento non rappresenti affatto una buona idea non sembra essere un’idea che sfiora la mente di quanti, molto spesso in buona fede, compiono questi piccoli gesti ritenendoli utili e compassionevoli.

Per gli animali selvatici, effettivamente, la ricerca del cibo è l’attività che richiede un grande investimento di tempo e di energie e, per questa ragione, accettano di buon grado le offerte che gli umani fanno loro, non potendo comprendere che dietro questo comportamento si cela una grande e pericolosa trappola che spesso gli uomini armano pur non avendo affatto cattive intenzioni nei confronti degli animali. Proviamo a togliere l’aspetto romantico di questa azione, cambiando le intenzioni con le quali questa offerta alimentare viene fatta quando a concretizzarla è un bracconiere.

Il mettere cibo a disposizione degli animali selvatici rappresenta un modo per abituarli alla presenza umana, per non far loro riconoscere il pericolo, per abbassare le istintive difese che gli animali hanno nei confronti del predatore uomo. In questo modo il cibo sarà usato per poter far avvicinare sempre di più gli animali al luogo dove sanno che troveranno risorse alimentari a basso consumo energetico, disponibili senza dover essere in qualche modo trovate e conquistate. Senza rendersi conto che a attenderli, con il passare del tempo, ci potrebbe essere anche una tagliola, un boccone avvelenato o una fucilata.

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Cambia l’intenzione quindi, fra chi vuole uccidere un animale e chi pensa di aiutarlo, ma spesso non muta il risultato finale. Gli animali abituati a ricevere cibo dagli uomini diventano confidenti, si avvicinano agli insediamenti umani e possono in questo modo mettersi in pericolo oppure rappresentare un pericolo per le persone. Per evitare incidenti occorre che gli animali, ma anche gli umani, abbiano timore gli uni degli altri e capiscano che non ci devono essere interazioni. Un comportamento che gli animali hanno istintivamente, ma che gli uomini alterano, più o meno consapevolmente.

La ricerca del cibo e talvolta la difficoltà di reperirlo fanno parte delle sfide che devono affrontare gli animali selvatici, ma anche delle attività che compongono il pannello delle loro necessita etologiche, che non dobbiamo mai contribuire a alterare. In casi davvero eccezionali, come inverni incredibilmente freddi, che sono sempre più improbabili a causa dei cambiamenti climatici, si può pensare di mettere a disposizione del cibo, ma occorre farlo in modo episodico e senza che si crei un legame fra la presenza degli uomini e la risorsa.

Delle storie di animali finiti male proprio per l’assenza di paura dell’uomo sono, purtroppo, piene le cronache. Juan Carrito, l’orso marsicano più famoso d’Abruzzo insieme alla mamma Amarena, entrambi morti in circostanze tragiche causate dalla contiguità con gli uomini, oppure il cervo Bambotto, che era stato fatto diventare talmente domestico da entrare nei salotti delle case del piccolo borgo di Pecol nel bellunese, sono soltanto tre esempi “famosi e recenti” di animali morti a causa dell’abituazione all’uomo. Amarena e Bambotto uccisi da una fucilata e Juan Carrito morto a causa di una collisione con un’auto, pur essendo scampato in precedenza a mille pericoli a causa delle sue scorribande nei paesi.

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Da anni, per restare sempre in Abruzzo, il Parco nazionale realizza campagne informative perché i turisti non offrano cibo alle volpi, che a causa di comportamenti irresponsabili degli automobilisti, si sono abituate a elemosinare cibo sul ciglio della strada. Questa abitudine comporta ogni anno una strage di volpi, falciate dagli autoveicoli, che gli animali non riconoscono più come un pericolo ma solo come un grande contenitore di risorse alimentari. E così, percorrendo le vie che attraversano il parco, è facilissimo incontrare questi piccoli carnivori opportunisti in attesa di ricevere cibo sul ciglio delle strade oppure morte in una pozza di sangue che si allarga sull’asfalto. La conseguenza di un comportamento solo apparentemente positivo.

Identico pericolo è rappresentato dalle mangiatoie per gli uccelli, specie se non posizionate in modo corretto e con accorgimenti che impediscano ai predatori, e in particolare ai nostri gatti domestici, di tendere loro agguati letali. Il mondo naturale è già pieno di insidie per gli animali: per questo il dovere degli esseri umani dovrebbe essere quello di cercare di non interferire nelle loro vite e di comprendere che ci deve essere una giusta separazione fra il nostro e il loro mondo. Da questa divisione nasce la loro salvezza e deve crescere la nostra consapevolezza che, tanta meraviglia, debba essere tutelata.

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Ermanno Giudici
Esperto in diritti degli animali
Mi occupo di animali da sempre, ricoprendo per oltre trent’anni diversi ruoli direttivi in ENPA a livello locale e nazionale, conducendo e collaborando a importanti indagini. Autore, formatore per le Forze di Polizia sui temi dei diritti degli animali e sulla normativa che li tutela, collaboro con giornali, televisioni e organizzazioni anche internazionali.
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