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22 Maggio 2024
15:53

Martina Pluda porta il tema animale alle Elezioni europee: «L’attivismo è politica»

L'attivismo è politica. Ne è convinta Martina Pluda, direttrice per l'Italia della Humane Society International e candidata con il Movimento 5 Stelle alle prossime elezioni europee. Con lei abbiamo parlato delle prossime battaglie in favore di animali e ambiente da portare nelle istituzioni di Strasburgo.

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Intervista a Martina Pluda
Direttrice HSI Italia e candidata alle prossime elezioni europee
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Il tema del benessere animale e la salvaguardia della biodiversità sono sempre più al centro del dibattito pubblico. Si tratta di argomenti che hanno un peso specifico importante soprattutto nelle sedi delle istituzioni europee che l'8 e il 9 giugno prossimi si rinnoveranno portando al voto  i 27 Stati Membri.

Un appuntamento di cruciale importanza perché il prossimo Parlamento Europeo deciderà la destinazione dei finanziamenti della Politica Agricola Comune che oggi finanzia sia le attività zootecniche che le colture destinate all'alimentazione degli animali da reddito. Tra coloro che potrebbero sedere tra le fila del Parlamento a Strasburgo c'è anche Martina Pluda, direttrice per l'Italia della Humane Society International, Organizzazione no profit che si batte in ambito europeo per salvaguardare i diritti degli animali, e candidata nella circoscrizione Nor-Est con il Movimento 5 Stelle.

Con lei abbiamo parlato del futuro della Politica Agricola Comune, degli allevamenti intensivi, e della caccia al trofeo.

Perché è importante portare il tema degli allevamenti intensivi in Europa? 

L’attuale sistema alimentare è insostenibile. Per il 90% si basa su modelli produttivi di tipo intensivo e quindi sullo sfruttamento di corpi animali, di risorse naturali come acqua e suolo e della forza lavoro di fasce deboli e marginalizzate. Si basa su un consumo eccessivo e crescente di carne e altri derivati animali con significative ripercussioni a livello etico, ambientale, climatico, sanitario e sociale.

Sono oltre 630 milioni gli animali terrestri e miliardi quelli acquatici che vengono uccisi per il consumo umano, ogni anno solo in Italia. Numero ancora più elevato se si considera l’intera UE. Il benessere di questi animali è importante per molte persone. Lo evidenzia il sondaggio sui cittadini europei pubblicato dall’Eurobarometro a ottobre 2023: un'ampia maggioranza di europei (l’84%, addirittura il 90% degli italiani) ritiene che nel proprio paese il benessere degli animali allevati debba essere meglio protetto.

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Martina Pluda

In che ruolo si pone l'Europa all'interno di questo sistema?

Molte delle normative che regolano proprio i meccanismi che permettono di tenere in piedi questo sistema fallato, sono di respiro europeo. Ad esempio, l’UE norma le modalità di allevamento, trasporto e macellazione degli animali ed eroga i sussidi all’agricoltura della Politica Agricola Comune (PAC).

Quali istanze vorrebbe portare nel prossimo Parlamento Europeo?

Con la strategia “Farm to Fork”, del Green Deal europeo, erano stati annunciati obiettivi ambiziosi in materia di revisione della legislazione sul benessere animale, contrasto al cambiamento climatico, transizione verso diete maggiormente sostenibili e vegetali. Impegni ai quali la Commissione finora è venuta meno. È pertanto necessario riportare al centro dell’agenda politica europea queste ambizioni e tradurle in azioni concrete.

Per questo motivo mi batterò per fermare l’erogazione di sussidi agli allevamenti intensivi e la spesa di soldi pubblici per la promozione di carne e derivati; ma anche per una revisione delle norme di benessere per gli animali allevati al passo coi tempi, quindi stop all’uso delle gabbie in allevamento per dare pieno seguito all’Iniziativa dei Cittadini Europei “End the Cage Age” – altra promessa disattesa dalla Commissione – e al trasporto di animali vivi per citare due esempi. Infine, per contrastare le barriere alla diffusione delle proteine alternative come i ridicoli tentativi di bloccare lo sviluppo dell’agricoltura cellulare e di imporre divieti alle denominazioni cosiddette “meat-sounding” per i prodotti a base vegetale.

A che punto è l’Europa in tema di benessere animale?

In Europa c’è ancora tanto da fare per tutti gli animali: familiari, selvatici, allevati, usati nella sperimentazione. Oltre agli animali allevati di cui abbiamo già parlato, questi sono solo alcuni dei temi e punti sui quali negli anni ho lavorato e che vorrei portare avanti in Europa per ottenere progresso e cambiamento:

L’introduzione di norme sul benessere degli animali familiari, con particolare attenzione a canili e rifugi, a prevenire il randagismo e gli abbandoni di cani e gatti, al loro allevamento, trasporto e vendita (stop online e nei negozi), al contrasto al traffico di cuccioli e al maltrattamento genetico dovuto alla selezione estrema di alcune razze.

L’introduzione di un divieto di allevamento di animali per la produzione di pellicce e lo stop alla commercializzazione dei prodotti di pellicceria per dare seguito all’Iniziativa dei Cittadini Europei “Fur Free Europe”.

Assicurare il pieno rispetto delle Direttive europee Habitat e Uccelli ed estendere la protezione di specie oggi di nuovo sotto attacco, come lupi e orsi.

Fornire un pieno riconoscimento giuridico e sostenere i centri di recupero della fauna selvatica ed esotica, disincentivare zoo e acquari e vietare gli spettacoli in cui sono coinvolti animali, come zoo e delfinari.

Promuovere l’uso di metodi alternativi alla sperimentazione animale nella ricerca scientifica, salvaguardare l’attuale divieto di testare i cosmetici sugli animali e non permettere che vengano imposti ulteriori test animali nella normativa europea. La lista potrebbe continuare…

Il prossimo Parlamento voterà per la nuova Politica Agricola Comune – che al momento tutela con fondi pubblici gli allevamenti intensivi – come si posiziona rispetto a questo tema?

L’attuale PAC contribuisce ad alimentare un sistema che danneggia tutti, anche gli stessi agricoltori e allevatori. Continuare ad erogare fondi agli allevamenti intensivi vuol dire continuare a finanziare lo sfruttamento di animali, risorse naturali e lavoratori con conseguenze gravi che stiamo già pagando ad un caro prezzo ambientale, sanitario e sociale. Esternalità negative, costi nascosti che non sono minimamente riflessi nel prezzo pagato al supermercato per una confezione di carne.

Ritengo che sia quindi necessario puntare su una revisione della PAC che includa gli strumenti legislativi ed economici necessari per permettere una riduzione del numero di animali allevati, una riconversione delle aziende zootecniche verso modelli di agricoltura più sostenibili, lo sviluppo di tecnologie che consentano una produzione di cibo sano, che riducano le emissioni di CO2, il consumo di suolo e di acqua e che eliminino la sofferenza animale dall’equazione.

“Natura morta. In consegna” è l’evento più recente organizzato da HSI contro i trofei di caccia. Come si potrebbe intervenire in Europa per limitare la pratica dell’importazione?

Già nella scorsa legislatura europea, il Parlamento europeo aveva adottato una risoluzione per chiedere alla Commissione e agli Stati membri di vietare le importazioni di trofei di caccia. Purtroppo questa richiesta è rimasta inascoltata e sarà necessario ripresentarla per poter avviare un percorso legislativo a livello UE volto a fermare le importazioni di questi macabri oggetti. Attualmente, gli Stati Membri dell’UE sono tenuti a rilasciare permessi di importazione solo per i trofei di caccia ottenuti da tutte le specie elencate nell’Allegato A e da dodici specie dell’Allegato B del Regolamento europeo relativo alla protezione di specie selvatiche mediante il controllo del loro commercio.

Finché l’importazione di trofei di caccia rimarrà legale, almeno il rilascio di permessi di importazione deve essere esteso anche a tutte le specie elencate nell’Allegato B, al fine di garantire un minimo livello di controllo. L'obiettivo finale deve però essere un divieto, l’unica barriera efficace per chi svolge questa pratica con il desiderio di portarsi a casa parti di animali morti.

Lei è la direttrice per l’Italia di HSI Europe, ora si candida nelle fila del Movimento 5 stelle. Qual è il punto di incontro tra attivismo e politica?

L’attivismo è politico. Le battaglie di giustizia sociale, come quella per l’affermazione dei diritti degli animali, sono politiche. Il passo, se lo si vuole compiere, è breve anche se la politica poltronara che dilaga in Italia  lascia poco spazio a chi proviene dalla società civile. Ho sempre vissuto la politica da dietro le quinte, cercando di ottenere supporto e progressi legislativi per i temi che mi stavano a cuore. Certo, negli anni, ci sono state tante soddisfazioni ma anche tanti momenti frustranti dovuti al fatto, come associazioni e cittadini, di essere poco ascoltati o addirittura ignorati.

Quando dalla direzione del partito mi è stata offerta la candidatura, per l’impegno dimostrato nel mio ambito professionale e per portare avanti tutta una serie di impegni programmatici concreti di cui sono esperta, ho deciso che era giunto il momento per me di portare le istanze della società civile in politica, senza più passare per intermediari politici poco interessati o preparati. Quale miglior canale potremmo mai avere per veicolare le richieste e gli appelli di cittadini, attivisti e associazioni se non quello di una persona come me, “una dei nostri”, seduta nelle stanze dei bottoni?

Per i cittadini italiani questo è un un momento di profondo sconforto verso la politica, perché dovrebbero tornare a votare?

Comprendo lo sconforto. In parte è il senso di sfiducia in una certa politica che mi ha spinto a voler tradurre quello che è sempre stato il mio impegno personale e professionale in impegno politico; la volontà di prendere la situazione in mano e credere che cambiare le cose sia ancora possibile. Soprattutto con le elezioni europee che offrono l’opportunità di votare oltre che per i partiti, per i candidati stessi. Sulla scheda di voto si possono esprimere fino a tre preferenze e questo permette di puntare su persone di valore, preparate, motivate e con le quali c’è una condivisione di valori. Persone che come me vengono dalla società civile e per e con questa continueranno a battersi.

L’esito di queste elezioni europee sarà determinante nella definizione di molti temi urgenti e importanti: la pace, la salvaguardia dei diritti civili, la tutela della democrazia, la transizione ecologica, l’azione contro la crisi climatica e anche il benessere animale. Non andare a votare vuol dire demandare queste scelte ad altri.

Cosa significa “vota per gli animali”?

Votare per gli animali significa scegliere un futuro più etico, compassionevole e sostenibile per ogni individuo, umano e non umano.

Giornalista per formazione e attivista per indole. Lavoro da sempre nella comunicazione digitale con incursioni nel mondo della carta stampata, dove mi sono occupata regolarmente di salute ambientale e innovazione. Leggo molto, possibilmente all’aria aperta, e appena posso mi cimento in percorsi di trekking nella natura. Nella filosofia di Kodami ho ritrovato i miei valori e un approccio consapevole ma agile ai problemi del mondo.
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