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14 Gennaio 2021
11:00

La vita di Beatrice, la donna che ha adottato le capre felici di Agitu

A pochi chilometri dall’azienda agricola di Agitu, vive Beatrice Zott, collega e amica della donna. È lei la coraggiosa ragazza che ha deciso di accogliere nel suo gregge le capre rimaste senza l’accudimento della loro proprietaria, pochi giorni prima del delicato momento dei parti per alcune femmine del gregge.

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Intervista a Beatrice Zott

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Beatrice Zott ha 20 anni e ha scelto di fare la pastora. Insieme alle sue capre vive poco distante dall’azienda agricola “La capra felice”, il luogo diventato tristemente famoso per l’omicidio della proprietaria Agitu Ideo Gudeta, il 30 dicembre 2020.  Le due donne condividevano la passione per il loro lavoro e, a poche settimane dalla morte di Agitu, l’amica ha deciso di occuparsi dei capi di bestiame rimasti senza le cure della loro proprietaria.  Ma cosa significa vivere insieme alla capra pezzata mochena, una razza di capra di cui esistono solo 250 capi al mondo e svolgere un lavoro che, come dice lei «non ha sabati né domeniche ma ti rende felice»?

«Anche una donna può sollevare una capra di peso per curarle una zampa»

«La capra al pascolo è uno degli animali più complicati da gestire – spiega Beatrice – Si muovono continuamente, cercano le foglie più belle del prato. Pur di trovarle sono in grado di scavalcare le recinzioni, irrompere nei campi dei vicini e distruggere gli orti e le coltivazioni altrui. La nostra capra pezzata mochena, inoltre, è forte e vive senza problemi anche sulle rocce in alta quota».
Le capre di cui si occupa Beatrice infatti, come quelle di Agitu, fanno parte dei 250 capi ancora in vita di razza pezzata mochena, capre originarie della valle dove Beatrice e Agitu si sono incontrate.
«Le capre pezzate mochene – spiega Beatrice – sono ottime madri e fattrici, ma servirà comunque attenzione per affrontare il prossimo periodo. Gennaio, febbraio e marzo, infatti, sono i mesi in cui le capre partoriscono». La fase del parto è un momento molto delicato per la vita della capra, un momento in cui è importante che l’allevatore abbia familiarità con gli animali, in modo tale da evitare stress e nervosismo per la capra gestante che, senza le dovute cure, potrebbe addirittura perdere il piccolo.
«Per quanto riguarda i parti che avverranno a breve sono grata ai pastori più anziani della zona che si sono messi a disposizione per aiutarmi e per darmi consigli, soprattutto con le capre più giovani. Il primo parto, infatti, è il più rischioso perché la mamma non sa ancora come deve comportarsi. I pastori anziani non mi hanno mai trattata diversamente perché sono giovane. Sanno bene che anche noi donne siamo in grado di fare questo mestiere e riusciamo sollevare una capra di peso per curarle una zampa».

«I miei animali sono in grado di capire il mio stato d’animo»

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Capra mochena

Secondo Beatrice, però, i parti non sono gli unici momenti difficili della vita del pastore. «Sebbene io ami questo lavoro – racconta – durante l’estate, quando sono sola all’alpeggio, non è facile tenere a bada i pensieri sgradevoli. Per fare questo lavoro e stare da soli serve una grande dose di coraggio, ma quando ti abitui alla montagna, lei è in grado di farti sentire parte di essa e le preoccupazioni svaniscono».
C’è un legame stretto tra Beatrice e le capre. Una relazione che solo le sue parole possono spiegare: «Voglio molto bene ai miei animali. Con loro riesco a creare un rapporto davvero spontaneo. Ancora oggi, sebbene sia cresciuta insieme agli animali, ogni volta che creo un nuovo legame con loro, come sta accadendo ora con le capre di Agitu, rimango stupita da quanto siano in grado di capire il mio stato d’animo. Tra di noi non abbiamo bisogno di parole, perché semplicemente ci conosciamo». E di Agitu Beatrice vuole ricordare la sua forza e la sua passione: «Era una donna capace. Le sue capre sono assolutamente in forma, sebbene ne tenesse così tante in un ambiente così piccolo. Ogni allevatore ha il suo sistema ma se penso a me e lei, nonostante io abbia 20 anni, sono convinta che Agitu fosse sicuramente più moderna di me nell’approccio con gli animali. Io sono una che segue i consigli degli anziani».

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Claudia Negrisolo
Educatrice cinofila
Il mio habitat è la montagna. Sono nata in Alto Adige e già da bambina andavo nel bosco con il binocolo al collo per osservare silenziosamente i comportamenti degli animali selvatici. Ho vissuto tra le montagne della Svizzera, in Spagna e sulle Alpi Bavaresi, poi ho studiato etologia, sono diventata educatrice cinofila e ho trovato il mio posto in Trentino, sulle Dolomiti di Brenta. Ora scrivo di animali selvatici e domestici che vivono più o meno vicini agli esseri umani, con la speranza di sensibilizzare alla tutela di ogni vita che abita questo Pianeta.
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