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31 Dicembre 2020
8:20

Il mondo di Agitu, la signora delle capre pezzate mochene

Agitu Ideo Gudeta, pastora originaria dell’Etiopia, è stata uccisa in Trentino, all’interno della sua azienda agricola dove allevava capre pezzate mochene di cui esistono solo 250 capi al mondo. I pastori della zona ci hanno parlato del suo lavoro, dei suoi animali e delle collaborazioni nate per proteggere questa razza.

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Valle dei Mocheni – Un’importante arteria stradale scorre tra le cime della catena del Lagorai a collegare Trento a Vicenza. Dal fondovalle, una fessura laterale concede a una strada di salire ripida verso le cime, tra boschi di larici e abeti rossi. Lungo la salita il paesaggio diventa presto scosceso e i cartelli stradali cambiano, scritti in un’altra lingua: il “mocheno”. Il 29 dicembre 2020, la Valle dei Mocheni si è svegliata con una terribile notizia: Agitu Ideo Gudeta, pastora molto conosciuta non solo a livello locale per la sua storia simbolo allo stesso tempo di integrazione e lotta al razzismo, è stata uccisa da un collaboratore all’interno della sua azienda agricola “La capra felice”.

Siamo distanti dagli alberghi sfarzosi, dai lussuosi impianti di risalita che rendono famose le montagne del Trentino. Ci troviamo in un luogo solitario, dove la vita è fatta di cose semplici, di gesti antichi e di tradizioni rurali. I paesini della zona si chiamano Groa' Lait, Lemperpèrg, Inderrschrum e l’attività agricola e quella mineraria sono state per secoli l’unica fonte di guadagno per gli abitanti.  Proprio in questo luogo Agitu aveva deciso di portare avanti il suo progetto, il cui nome “La capra felice”, racchiude la sua idea di un mondo in cui è possibile coesistere senza violenza e sopraffazione, animali umani e non, tutelando le specie in via d’estinzione come le capre pezzate mochene che allevava. La donna vendeva i prodotti caseari derivati al mercato settimanale e, da poco, anche in un punto vendita nel centro di Trento. Grazie al suo gregge, formato per metà proprio dalle capre pezzate mochene, contribuiva così al mantenimento in vita di questa razza, a rischio di estinzione fino a qualche anno prima del suo arrivo in valle. Un’attività dura e non sempre redditizia, soprattutto in questo mondo lontano dal mondo, dove fare il pastore non è un fatto singolare, ma necessita di coraggio, forza, energia e passione. Il clima da queste parti non è generoso e anche le capre devono essere robuste e forti per superare i lunghi inverni. Un luogo unico nell’universo, dove Agitu aveva deciso di vivere insieme alle sue “pezzate mochene”, una razza di capra endemica, di cui esistono poco più di cento capi nel mondo.

L’associazione della capra pezzata mochena

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A pochi chilometri dall’azienda agricola di Agitu, a Bedollo, ha sede l’Associazione degli allevatori della capra pezzata mochena, nata allo scopo di tutelare questi animali. Marco Casagranda, consigliere dell’associazione e fondatore, insieme al figlio Moreno, dell’azienda agricola “le Mandre”, racconta la storia della capra pezzata mochena e di come Agitu e gli altri pastori della zona si siano uniti per proteggere la razza.

«La razza mochena è forte, di taglia grande e resistente, ma fornisce poco latte. Una capra normale produce 10, 12 litri di latte al giorno, mentre le “pezzate mochene” ne fanno al massimo 3. La provincia di Trento, infatti, ci concede contributi per allevarla, in modo da rientrare dalle spese della rendita bassa». Da qualche anno, anche grazie all’Associazione, i prodotti caseari derivati dalla capra pezzata mochena sono entrati nella lista degli alimenti dell’ ”Arca del Gusto della Regione Trentino – Alto Adige”, aumentando ulteriormente il valore del prodotto caseario risultato del duro lavoro dei pastori.

«Le capre pezzate mochene erano non più di 15, quando abbiamo deciso di creare un’associazione che le tutelasse – spiega il produttore – e ormai sono 10 anni ci occupiamo di creare una rete di produttori per ridurre la fatica ai singoli pastori che hanno pochi capi. Anche Agitu faceva parte dell’associazione da qualche anno. Lei credeva che solo l’unione potesse far la forza e solo grazie alla collaborazione avremmo potuto superare le difficoltà del nostro lavoro».

Marco Casagranda, amico di Agitu, continua parlando delle capre rimaste senza la donna che ha consentito loro di continuare ad esistere: «Questa mattina ho chiamato il veterinario dell’Azienda Sanitaria Locale e gli ho offerto la mia disponibilità per gestire il gregge rimasto senza proprietaria. Agitu era sola, non aveva nessuno a cui lasciarle. Ci organizzeremo sicuramente in qualche modo per occuparcene noi».

Per il pastore è tutti i giorni lunedì

«Il nostro lavoro – spiega Marco Casagranda – è un lavoro di grande sacrificio, che non conosce festività. Per noi è lunedì 30 giorni al mese. La fatica quotidiana è enorme e svolgiamo ogni lavoro con il sole e con la pioggia, che faccia caldo o freddo. Per questo motivo è sempre più difficile trovare persone che desiderino portare avanti il mestiere del pastore con passione, come faceva Agitu».

Eppure lei aveva scelto questa strada. Dopo aver studiato sociologia all’Università di Trento ed essere tornata in Etiopia per provare a mandare avanti l’attività di pastorizia dei suoi nonni, era rientrata in Trentino e aveva comprato qualche capra per cominciare l’attività che l’ha poi resa famosa per il suo coraggio e la sua forza di volontà ben prima della sua scomparsa. «La gente che desidera fare questo lavoro – racconta il produttore – generalmente non è preparata come lo era Agitu. Lei era una persona responsabile e affidabile. Per svolgere questo lavoro al meglio devi dimenticare l’orologio per otto mesi all’anno e lei aveva il coraggio di farlo».

«Agitu aveva davvero passione per il suo lavoro – spiega il produttore – Nel nostro settore, però, abbiamo un detto: “se vuoi avere discordia, alleva capre” ed era così anche per lei. Le capre non sono facili da gestire, basta che una esca dal recinto e in un giorno può mangiare tutta l’insalata del vicino. Sembra quasi che ci sfidino. Basta un secondo di disattenzione e colgono l’attimo per fare ciò che vogliono». Nel 2018, infatti, Agitu aveva dovuto affrontare una situazione difficile proprio per un caso del genere: «Sono cose che succedono spesso a chi vive con le capre» afferma il pastore.  Una capra di Agitu aveva mangiato la canapa del dirimpettaio, il quale aveva reagito con minacce ripetute, ricevendo una condanna a 9 mesi dal Tribunale di Trento per lesioni. «Quando veniva qui a portarmi il latte, l’ascoltavo e lei era sempre decisa e determinata in quello che faceva. Era sicura di sé – racconta l’amico – nonostante questo lavoro non permetta di diventare ricchi lei continuava a investire. Non so come facesse a gestire tutto quello che faceva. Dalle capre alla bancarella del mercato del giovedì e fino al nuovo negozio a Trento. Glielo chiedevo ogni volta: “come fai a resistere?”. Aveva sicuramente fatto della vita una scommessa con se stessa che voleva vincere. Solo quello può spingerti così lontano».

Cosa abbiamo perso con la morte di Agitu Idea Gudeta

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Il panorama dalla valle

Con la morte di Agitu Idea Gudeta, la comunità della Val dei mocheni perde un pilastro importante per la pastorizia in questa remota zona delle Alpi Centrali, ma non solo. Con la sua grande personalità, Agitu difendeva coraggiosamente anche la presenza dei grandi carnivori nei boschi del Trentino, sostenendo che un bravo pastore potesse proteggere le greggi anche di notte, dormendo in macchina, utilizzando strumenti sonori per allontanare i predatori e dedicando le energie 24 ore al giorno alla sopravvivenza delle proprie bestie. Opponendosi, così, alla maggior parte dei suoi colleghi che considera la presenza del lupo e dell’orso un problema da risolvere con l’abbattimento.

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Una donna forte, in continua evoluzione e in grado di sopportare le difficoltà di un ambiente così lontano da quello in cui era nata con sicurezza e caparbietà. Una pastora che difendeva la libertà degli animali e il valore della cooperazione tra gli esseri umani. Una donna che svolgeva un lavoro difficile e estenuante in un mondo che sta dimenticando come farlo con perizia. Una donna che difendeva le sue capre e che non ha trovato nessuno a difendere lei.

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Claudia Negrisolo
Educatrice cinofila
Il mio habitat è la montagna. Sono nata in Alto Adige e già da bambina andavo nel bosco con il binocolo al collo per osservare silenziosamente i comportamenti degli animali selvatici. Ho vissuto tra le montagne della Svizzera, in Spagna e sulle Alpi Bavaresi, poi ho studiato etologia, sono diventata educatrice cinofila e ho trovato il mio posto in Trentino, sulle Dolomiti di Brenta. Ora scrivo di animali selvatici e domestici che vivono più o meno vicini agli esseri umani, con la speranza di sensibilizzare alla tutela di ogni vita che abita questo Pianeta.
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