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7 Gennaio 2022
9:00

Il gatto riconosce il suo nome (ma non è detto vi risponda)

La scienza ha fatto luce già da un po' sulla capacità dei gatti di riconoscere il loro nome quando vengono chiamati. Ma l'esperienza insegna che loro non sembrano interessati a rispondere sempre.

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Membro del comitato scientifico di Kodami
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La scienza ha fatto luce già da un po' sulla capacità dei gatti di riconoscere il loro nome quando vengono chiamati. Ma l'esperienza insegna che loro non sembrano interessati a rispondere sempre.

Lo studio in grado di dimostrare questo aspetto della cognizione felina è del 2019 ed è apparso su Scientific Report ed è firmato da un gruppo di ricercatori giapponesi che hanno testato quattro differenti campioni di gatti, selezionandoli tra familiari e ospitati in “Cat Café”, e li hanno sottoposti all'ascolto di una serie di parole che includevano il loro nome, quello di altri gatti loro conviventi e parole d'uso comune.

I risultati dello studio

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I gatti di famiglia hanno dimostrato una decisa capacità di riconoscere il loro nome rispetto ad altre parole, anche quando a pronunciarlo era un estraneo; anche i gatti dei “Cat Café” avevano questa capacità, sebbene mostrassero di confondere più facilmente il proprio nome con quello di altri conviventi.

Tuttavia, come gli stessi autori hanno evidenziato, lo studio non dimostra che i gatti abbiano di per sé il concetto di “nome proprio. Non si può escludere, cioè, che da un punto di vista cognitivo abbiano semplicemente imparato ad associare una previsione (di cibo, di interazione, di gioco) con il suono prodotto dalla pronuncia di quello che noi consideriamo il loro nome.

Non sempre i gatti rispondono al nome

Inoltre, il fatto che un gatto riconosca una data parola, che la attribuisca o meno ad un nome proprio, non dice nulla sull'intenzione del gatto, poi, di farne un seguito. Anzi, decisamente i gatti dimostrano di scegliere autonomamente se rispondere  quando chiamati o ignorare il richiamo.

Questa apparente arbitrarietà è da attribuirsi a due cause. La prima è nostra, culturale: la convivenza con il cane ha diffuso l'aspettativa che se l'essere umano chiama, l'animale domestico deve rispondere, anzi… pensiamo che abbia persino il desiderio di rispondere! Ma questa aspettativa è falsata dalla naturale attitudine collaborativa della maggior parte dei cani che vivono con noi, animali gregari che manifestano il desiderio di compiacere e di collaborare come forma di partecipazione alla vita familiare, di esserne parte, desiderosi di rivestire un ruolo e dare un contributo.

Perché i gatti non rispondono se chiamati?

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La nostra tendenza culturale all'antropocentrismo ci ha portato ad etichettare come “pet” anche i gatti dai quali ci aspetteremmo la stessa attitudine partecipativa dei cani (sono in molti a ritenere che gli animali domestici siano “al servizio” dell'uomo, se non addirittura il suo “prodotto”). Ma i gatti, molto semplicemente, sono diversi dai cani per cui se non rispondono non è per loro mancanza ma per un nostro vizio di prospettiva.

Il secondo motivo per cui i gatti possono scegliere di ignorare i richiami è legato alla natura dei gatti, liberi pensatori, dotati di un retaggio da predatori solitari. Si attivano in prima persona e decidono in autonomia quando fare qualcosa, come e perché. Non cercano di compiacere nessuno perché nella loro mentalità, semplicemente, non si agisce insieme ma, al massimo, si possono avere dei momenti di intimità, di relax condiviso, persino di gioco ma non perseguono il soddisfacimento di richieste altrui né di esigenze collettive.

La prossima volta che vi lamenterete del fatto che il gatto non torna al richiamo o vi ignora, ricordate questo studio: vi ha sentito, probabilmente vi ha anche capito ma ha semplicemente deciso di avere di meglio da fare. E non è niente di personale.

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Sonia Campa
Consulente per la relazione uomo-gatto
Sono diplomata al Master in Etologia degli Animali d'Affezione dell'Università di Pisa, educatrice ed istruttrice cinofila formata in SIUA. Lavoro come consulente della relazione uomo-gatto e uomo-cane con un approccio relazionale e sono autrice del libro "L'insostenibile tenerezza del gatto".
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