11 Aprile 2022
10:31

I lombrichi europei stanno invadendo le foreste nordamericane

I lombrichi europei che si stanno diffondendo rapidamente nelle foreste nordamericane sono responsabili della riduzione della biodiversità e di alcune specie animali. Lo conferma una ricerca condotta da scienziati del Centro tedesco per la ricerca sulla biodiversità integrata (iDiv) e l'Università di Lipsia.

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I lombrichi europei stanno invadendo le foreste nordamericane e sono responsabili della riduzione della biodiversità e di alcune specie animali. Lo conferma uno studio condotto da alcuni scienziati del Centro tedesco per la ricerca sulla biodiversità integrata (iDiv) e l'Università di Lipsia, insieme ai colleghi degli Stati Uniti e del Canada.

Infatti, sebbene in Europa, questi scavatori sotterranei siano classificati come organismi benefici, molti ecosistemi nordamericani non sono pronti ad accoglierli. E le conseguenze sono drammatiche, secondo i ricercatori. Infatti, come spiegano sulla rivista Global Change Biology, da quando i lombrichi sono stati introdotti dai coloni europei, hanno modificato significativamente il suolo, con cambiamenti brutali per l'ecosistema.

Questo accade perché durante l'ultima era glaciale, terminata circa 12.000 anni fa, quasi tutti i lombrichi si estinsero. E quando il ghiaccio si ritirò, emersero nuovi ecosistemi che si adattarono a terreni senza anellidi (la famiglia a cui appartengono questi animali). Il problema è che, però, adesso i lombrichi si stanno diffondendo rapidamente e costruendo le loro grandi tane si stanno facendo strada alterando le proprietà fisiche e chimiche dei terreni.

Infatti, mescolando la terra durante l’operazione e trasportando verso l'alto quella più alcalina dagli strati più profondi, la nuova miscela influisce sul pH del suolo. Inoltre, il tipico strato di foglie che riveste la superficie della foresta, svanisce man mano che viene divorato dai vermi e questo rende secco il suolo, perché l'acqua non viene assorbita ma scorre via.

Queste nuove insolite condizioni, però, impediscono a molte piante autoctone di sopravvivere e prosperare, che al contrario diminuiscono con grande rapidità. Per esempio, è stato osservato che ovunque si insinuino i lombrichi, la “Goblin fern” (Botrychium mormo), o felce goblin, è diventata rarissima. E lo stesso è successo per la “Bellflower bellwort”, l’Uvularia grandiflora, l’Angelica giapponese (Aralia elata), il Giglio della foresta (Trillium), il Sigillo di Salomone (Polygonatum odoratum) o, ancora, la Tormentilla (Potentilla erecta).

E non solo i vermi distruggono il terreno adatto alle piante che vivono in quelle aree, ma lo “preparano” per nuove piante esotiche non native che, invece, sono abituate a vivere con i lombrichi, perché con le loro radici più sottili, riescono ad assorbire perfettamente le sostanze nutritive del suolo, in particolare l'azoto, e a tollerare la siccità estiva.

Il team ha scoperto anche un calo sorprendente di invertebrati nelle aree con il maggior numero di lombrichi, il 18 percento di specie in meno, animali per lo più minuscoli che però svolgono funzioni fondamentali per l'ecosistema come il controllo dei parassiti e che, inoltre, sono cibo per altri animali più grandi. Un paio di studi hanno anche mostrato impatti negativi su alcuni uccelli nidificanti a terra e persino su alcune salamandre, visto che entrambe le specie necessitano di quel tappeto di foglie che i vermi tendono a divorare.

L'importanza della ricerca sta  nel fatto che i ricercatori, dopo aver riunito e valutato i dati di 14 studi, sono riusciti a dimostrare, per la prima volta, un collegamento tra il declino nella diversità delle specie nelle foreste nordamericane e la diffusione dei lombrichi europei.

«L’invasione dei lombrichi ha alterato la biodiversità e il possibile funzionamento degli ecosistemi forestali, perché influisce sull'intera rete alimentare e sui cicli dell'acqua e dei nutrienti», ha affermato Dylan Craven, autore principale dello studio. E «l’impatto a lungo termine» aggiunge il direttore degli studi, il professor Nico Eisenhauer, «potrebbe essere enorme e ulteriormente esacerbato dai cambiamenti climatici».

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Simona Sirianni
Giornalista
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