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4 Luglio 2022
16:37

I cani del Soccorso alpino alla ricerca dei dispersi nel crollo sulla Marmolada

Proseguono senza sosta le ricerche dopo il distacco del ghiacciaio sommitale di Punta Rocca, in cima alla Marmolada, avvenuto domenica 3 luglio. Sul luogo del disastro presenti anche i cani da soccorso, parte fondamentale delle operazioni.

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Credit: Soccorso Alpino Trentino

Continuano senza sosta le ricerche dei dispersi nel crollo del ghiacciaio sommitale di Punta Rocca, in cima alla Marmolada, avvenuto domenica 3 luglio. I Vigili del Fuoco e le squadre del Soccorso Alpino stanno lavorando ininterrottamente da ore per cercare di individuare vittime e superstiti del disastro, avvenuto quando un enorme seracco di ghiaccio si è staccato dalla parete travolgendo due cordate di escursionisti.

Il tragico bilancio, al pomeriggio di lunedì, era di sette morti (di cui tre identificati) e otto feriti, mentre risultano ancora disperse 13 persone, il cui mancato rientro è stato denunciato dai familiari (una in meno rispetto quanto comunicato in precedenza, poiché un uomo di nazionalità austriaca è stato rintracciato nelle ultime ore). Dieci dispersi sono di nazionalità italiana e 3 di nazionalità ceca. Le autorità stanno ancora accertando la proprietà di 4 delle 16 auto parcheggiate nei pressi dei sentieri che portano al ghiacciaio: tutte hanno targhe straniere (una tedesca, due ceche e una ungherese).

I soccorritori sono al lavoro con ogni mezzo a disposizione, e parte fondamentale delle squadre di ricerca e soccorso (le cosiddette squadre Usar, Urban Search & Rescue) sono le unità cinofile, composte da cane e conduttore: sono loro a setacciare le macerie, così come già accaduto in disastri come quello di Rigopiano e del Ponte Morandi di Genova, in cerca di dispersi rimasti intrappolati e, purtroppo, anche di vittime.

Un lavoro molto complesso, oltre che pericoloso, in cui la connessione tra cane e conduttore è fondamentale non solo per la buona riuscita degli interventi, ma anche per la loro incolumità: un piede o una zampa appoggiati nel punto sbagliato o il passaggio in un anfratto possono portare a infortuni, in alcuni casi anche gravi, e la situazione sulla Marmolada è resa ancora più complessa dal rischio di ulteriori cedimenti.

Dopo il distacco della calotta sommitale del ghiacciaio la macchina della Protezione civile del Trentino si è attivata immediatamente: sono stati impiegati sei elicotteri, personale del Soccorso alpino e speleologico con le unità cinofile, Vigili del fuoco, Polizia, Carabinieri e Guardia di Finanza provenienti anche dalle vicine province di Bolzano, Belluno e Venezia.

Le operazioni vengono coordinate presso la caserma dei vigili del fuoco di Canazei, sede anche del soccorso alpino, e anche se le ricerche si sono dovute fermare in serata, causa anche maltempo, i riflettori sono rimasti puntati tutta la notte sul luogo del disastro per individuare qualsiasi genere di movimento. Il Soccorso alpino nazionale ha istituito un numero da chiamare per segnalare il mancato rientro di amici e familiari. Il numero è 0461-495272 e l'avviso è stato diffuso in italiano e in inglese.

La massa di materiale staccatosi dal ghiacciaio della Marmolada, ha spiegato il presidente della Provincia Autonoma di Trento, Maurizio Fugatti, è scesa a una velocità di 300 chilometri l'ora. I tecnici del Soccorso Alpino Trentino hanno mappato tutta l'area della montagna in cui si è verificato il crollo del seracco, e hanno rilevato che una parte consistente del ghiacciaio è ancora attaccata alla montagna: si tratta di un fronte di ghiaccio di 200 metri con un'altezza di 60 metri ed una profondità di 80 metri.

«Se si volesse fare un termine di paragone, dicono gli esperti – ha sottolineato Fugatti – si tratta dell'equivalente di due campi di calcio colmi di ghiaccio. Il tutto esposto a 45 gradi di pendenza. Il materiale che si è staccato è invece esteso su un fronte di due chilometri sulla via normale ad un'altezza di circa 2.800 metri: e questo significa, appunto, che la massa di materiale staccatosi ha percorso almeno 500 metri con una velocità stimata dai tecnici pari a 300 km l'ora».

L'addestramento dei cani da soccorso e il rapporto simbiotico con il conduttore

Il fiuto dei cani da soccorso, appositamente addestrati alla ricerca di vittime di disastri, è una componente indispensabile per gli interventi in situazioni di questo genere. È anche grazie a loro che in molti casi vengono individuate e messe in salvo in tempo persone rimaste sotto le macerie, e l’addestramento cui devono far fronte è impegnativo sia per loro sia per i conduttori. Sin da piccoli i cani selezionati per far parte delle unità cinofile sono portati in appositi siti che ricostruiscono scenari come terremoti, alluvioni e crolli, luoghi in cui affinano le loro capacità e imparano ad associare a particolari odori altrettante situazioni.

Un percorso che comporta anche l’approfondimento della relazione e della comunicazione con l’umano di riferimento, e lo sviluppo di un codice comunicativo che consente a quella che è a tutti gli effetti una squadra che agisce in tandem di operare con rapidità ed efficienza e riconoscere vicendevolmente segnali che diventano fondamentali durante un soccorso.

Tra cane e umano si sviluppa un rapporto simbiotico che riguarda tutti gli aspetti della quotidianità, e l’addestramento segue il modello del gioco, più che quello del lavoro: nel corso delle simulazioni i conduttori insegnano ai cani ad abbaiare ogni volta che si individua un essere umano, con conseguente premiazione e gratificazione a seconda di quanto il cane più gradisce (che sia gioco, cibo, carezza o gratificazione verbale).

Nella selezione dei cani soccorritori interviene anche la razza, ovviamente non per ragioni estetiche, quanto piuttosto per opportunità. I cani da soccorso non possono essere troppo piccoli (sarebbero troppo fragili) né troppo grandi, perché avrebbero difficoltà a esplorare agevolmente i luoghi dei disastri e a infilarsi in cunicoli e anfratti. Nel corso degli anni, come spiega il Soccorso Alpino Trentino, sono state individuate  razze con caratteristiche particolarmente adatte a questa attività: il Border collie, il Pastore tedesco, il Pastore belga Malinois e il Golden Retriever. In Trentino le unità cinofile del Soccorso Alpino sono una decina, distribuite su tutto il territorio provinciale: Roberto Barbolini, coordinatore del Gruppo Tecnico Unità Cinofile del Soccorso Alpino Trentino, ha descritto proprio sul sito ufficiale come si interviene in caso di valanga.

Come agiscono le unità cinofile in caso di disastri in montagna

La parole del coordinatore sono molto chiare e aiutano a comprendere una tecnica complessa e a cui uomo e cane dedicano tanto tempo insieme nel segno della collaborazione. «L’unità cinofila e il tecnico di elisoccorso sono i primi ad arrivare in valanga. I cani con i loro conduttori si trovano catapultati in un ambiente impervio, non sempre incontaminato come spesso siamo portati a credere. Il cane, soprattutto all’inizio, usa il naso cercando di individuare un cono d’odore emergente dalla neve e se lo individua lo segue fino ad arrivare alla sorgente. Quando il cane inizia a scavare e ad abbaiare nel punto dove esce l’odore, il conduttore, con l’aiuto della sonda, cerca di individuare il sepolto. Quando il sepolto è individuato, il cane si fa da parte per evitare che entri in contatto con il travolto e vada a “distruggere” una potenziale bolla d’aria che permette al travolto di sopravvivere. Con una tecnica ben precisa si inizia poi la parte del disseppellimento».

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Credit: Soccorso Alpino Trentino

«Il cane è l’unica arma che abbiamo a disposizione se il travolto non è dotato di Artva e se il sistema Recco (una tecnologia utilizzata per la ricerca di persone disperse che viene agganciata all’elicottero e consente di captare dei segnali provenienti da superfici riflettenti e da dispositivi elettronici, ndr) – ha anche specificato Barbolini – Per noi è importante che il cane abbai, soprattutto nei casi in cui la situazione impedisce il contatto visivo con il cane. L’abbaio è fondamentale perché capiamo, anche senza vederlo, che ha individuato una forte e decisa fonte di odore».

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Andrea Barsanti
Giornalista
Sono nata in Liguria nel 1984, da qualche anno vivo a Roma. Giornalista dal 2012, grazie a Kodami l'amore per gli animali è diventato un lavoro attraverso cui provo a fare la differenza. A ricordarmelo anche Supplì, il gatto con cui condivido la vita. Nel tempo libero tanti libri, qualche viaggio e una continua scoperta di ciò che mi circonda.
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