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11 Giugno 2021
10:21

Da “Lo Squalo” di Spielberg in poi: quanto è davvero pericoloso per l’uomo?

Lo Squalo di Steven Spielberg è stato un enorme successo cinematografico che però ha contribuito a etichettare gli squali come feroci mangiatori di uomini. Ma quanto corrisponde al vero questa reputazione? Gli squali sono davvero pericolosi per l'uomo? Scopriamolo analizzando come sempre fatti e dati scientifici.

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Professore universitario di Fisiopatologia veterinaria
Articolo a cura del Prof. Giuseppe Borzacchiello
Medico Veterinario e Professore universitario, esperto di patologia animale
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Era il lontano 1975 e nelle sale cinematografiche veniva proiettato il primo film della serie “Lo Squalo”, un importante successo del regista americano Steven Spielberg. E’ la storia di uno squalo bianco (Carcharodon carcharias) che si aggira tra le coste dell’Oceano Atlantico di un villaggio abitato da poche e tranquille persone. Si susseguono scene di attacchi continui, con immagini che ritraggono un predatore di proporzioni enormi che mangia anche i bambini. Un grandissimo successo commerciale, che ha fruttato al regista-azienda oltre 100 milioni di dollari solo sul mercato americano, a fronte di un investimento minimo, ma che indubbiamente ha lasciato il segno nell’immaginario collettivo.

La forza delle immagini e delle scene, la tecnica cinematografica e la fotografia hanno radicato l’idea di un animale feroce i cui attacchi sono frequenti e mortali. Lo squalo è il nemico che potremmo trovare ad affrontare ogni volta che nuotiamo a mare. Insomma, un mito di ferocia che però non merita, stando ai dati scientifici, di essere sul banco degli imputati. Scopriamo perché.

Quando gli squali attaccano l’uomo?

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Un esemplare di squalo bianco

Mettiamo subito in chiaro che, delle varie specie conosciute di squali, solo tre sono quelle più pericolose per l’uomo: squalo tigre, bianco e toro. E’ così frequente essere attaccati da uno squalo? Assolutamente no! Gli squali evitano il contatto con gli uomini e gli attacchi sono in genere “provocati”, ovvero si verificano come fisiologica risposta di difesa dell’animale agli uomini che tentano di fotografarli, avvicinarli, o semplicemente infastidirli con fiocine e/o arpioni.

Morire per un attacco di uno squalo è così frequente? Nemmeno. Gli studi ci dicono che in quindici anni (1990-2006) si sono registrate negli USA 16 morti causate dal collasso di buche della sabbia contro 11 da attacchi di squali. Inoltre, il tasso di mortalità per un morso dato da uno squalo è inferiore a quanto registrato per un tornado. Insomma, è più probabile morire per un tornado che per un morso di squalo. E per rimanere in ambito marino, riportiamo che in California si sono registrate oltre 700 morti dovute ad incidenti causate da barche, rispetto ad appena cinque decessi a causa di attacchi di squali.

Ma le fake news su questo enorme pesce non finiscono qui. Si pensa che gli squali siano attratti dal sangue umano, per cui le mestruazioni sarebbero fonte di attacchi. Niente di più falso. E’ certamente vero che questi animali hanno un senso dell’olfatto molto sviluppato, che gli permette di localizzare prede a centinaia di metri, ma non c’è nessuna evidenza scientifica che supporta una relazione tra attacchi e donne in fase mestruale.

E poi ancora si pensa che gli squali siano attratti da costumi o mute subacquee di colori brillanti quali il giallo che segnala in genere la presenza di persone in difficoltà o su una zattera. Certo gli squali, come anche altri pesci, sono attratti dai colori, ma i benefici di rendere visibili i naufraghi con un colore evidente sono di gran lunga maggiori rispetto alla possibilità di essere avvicinati ed eventualmente attaccati da questi grossi pesci.

Infine, lo squalo bianco generalmente non è molto comune nel Mar Mediterraneo, pertanto possiamo tranquillamente continuare a fare il bagno lungo le coste dei paesi bagnati dal Mare nostrum.

Quanto è davvero pericoloso lo squalo?

La cinematografia è un potente medium, che influenza la cultura e le società. E se è vero che in molti casi serie televisive o film hanno esaltato la bontà della relazione uomo-animale, in questo caso ha contribuito alla creazione di un falso mito. E quando le “bufale” si radicano nell’immaginario collettivo diventa difficile sbarazzarsene. Soltanto la conoscenza approfondita e la divulgazione dell’etologia, ecosistemi e dei dati scientifici possono aiutare al debunking restituendo, nel caso preso in esame, l’immagine reale di questo affascinante predatore oceanico.

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Giuseppe Borzacchiello
Professore universitario di Fisiopatologia veterinaria
Sono professore universitario di ruolo presso il Dipartimento di Medicina veterinaria e Produzioni animali dell’Università degli studi di Napoli Federico II e titolare della cattedra di Fisiopatologia degli animali domestici. Ho insegnato in diverse Università italiane, corsi di perfezionamento e master universitari. Appassionato di animali e di cani in particolare, mi occupo da oltre vent’anni di ricerca scientifica nel campo della patologia spontanea degli animali domestici e di tematiche inerenti l’oncologia comparata.
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