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15 Giugno 2021
9:19

Come educare un gatto e noi nella relazione?

Educare un gatto non significa insegnare a rispondere a dei comandi né cercare di indurre comportamenti desiderabili per noi ma avulsi dai suoi bisogni. Educare un gatto non significa aspettarsi ubbidienza a prescindere. Educare un gatto significa, prima di tutto, educare noi stessi a vivere con lui.

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Membro del comitato scientifico di Kodami
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Educare un gatto non significa insegnare a rispondere a dei comandi né cercare di indurre comportamenti desiderabili per noi ma avulsi dai suoi bisogni. Educare un gatto significa, prima di tutto, educare noi stessi a vivere con lui. Il mondo dei gattofili si divide tra chi ritiene che il gatto non possa o non debba essere educato e chi ritiene, invece, che si possa fare, che ce ne sia bisogno, “esattamente come coi cani” o “come i bambini”.

Cosa significa educare un gatto?

In pochi si pongono la questione di capire cosa significhi “educare”. Etimologicamente, parliamo di un termine di origine latina, nobile, alto, che significa “tirare fuori”. Educare significa sostanzialmente permettere all'altro di “tirare fuori” il suo io, di fiorire, di sviluppare la sua individualità, di divenire al fine di trovare correlazione tra sé e il mondo esterno. E' inevitabile che questo processo di sviluppo sia legato a doppio filo con l'ambiente in cui il soggetto si muove perché un individuo si manifesta ed apprende sempre all'interno del contesto fisico e sociale che abita.

Questo vale a maggior ragione quando parliamo di sviluppo di un individuo di specie diversa dalla nostra, che avrà anche dei bisogni specifici e la necessità di muoversi in un ambiente che abbia delle caratteristiche a volte anche molto lontane rispetto alle aspettative umane.

Di conseguenza, per avere la pretesa di educare un gatto, un cane o un qualunque altro animale, la prima cosa da fare sarebbe interrogarsi su quale sia l'ambiente più adatto a favorire il suo sviluppo, a “fargli tirare fuori” chi è e domandarsi se siamo disposti o in grado di fornirlo.

Come educare un gatto che vive con noi

La domanda, allora, cambia. L'interrogativo “come educare un gatto che vive con noi” non è più valido ma dovrebbe essere riformulato in “siamo educati noi a vivere con un gatto?”. Abbiamo, cioè, gli strumenti per comprendere che una specie diversa da noi ha una differente percezione della realtà, ha bisogni specifici che possono apparirci estranei, si aspetta si poter agire nel mondo in modi peculiari? E se lo abbiamo compreso, siamo in grado di creare un ambiente sufficientemente adeguato per ospitare la diversità che l'altro rappresenta?

Premi e punizioni

Spesso si parla di tecniche basate sull'elargizione di premi e punizioni per insegnare questo o quel comportamento. Ma, soprattutto con un animale sensibile come il gatto, queste tecniche risultano fallimentari se vengono usate per indurre dei comportamenti che non sono in linea con i reali bisogni dell'animale. Gli animali non sono macchine sui quali è sufficiente pigiare i pulsanti giusti per ottenere le risposte volute. Il motivo per cui i gatti si sono guadagnati l'appellativo di “ineducabili” è probabilmente legato al fatto che si è sempre preteso di farlo diventare “ubbidiente”: ogni volta che si adotta quest'ottica, avulsa alla mentalità felina, la risposta è il diniego.

Uso della cassetta

Al contrario, se saremo in grado di rovesciare il punto di vista, capiremo che la questione dell'educazione del gatto riguarda noi prima di lui. Capiremo perché, per esempio, il gatto non ha alcun bisogno che qualcuno gli insegni ad andare in cassetta (eliminare su un substrato sabbioso è un comportamento innato!) ma per usarla sistematicamente ha bisogno che sia posizionata in un luogo riservato e che venga pulita regolarmente.

Uso del tiragraffi

Capiremo anche che affilarsi le unghie è un bisogno insopprimibile di specie, non meno di quanto lo sia bere o mangiare e ci predisporremo ad accogliere l'idea che il gatto lo farà. Se vogliamo evitare che si rivolga ai mobili di casa, è bene mettere a disposizione del micio un bel tiragraffi sin dalle primissime ore di vita insieme a noi, in modo che da subito lo identifichi all'interno del suo ambiente.

Salire sui mobili

Se proprio ci infastidisce, potremo chiedergli di non salire sul tavolo (mettendolo gentilmente giù) mentre mangiamo ma non potremo ignorare il fatto che il gatto è un animale di origine arboricola, che vive il mondo su tre dimensioni e salire su mobili, divani, letti e sedie rientra nel suo modo di muoversi e occupare lo spazio. Siamo noi educati a tollerare di vivere con un individuo che ha questi bisogni innati? E riusciamo a sacrificare un po' dei nostri spazi per renderli accessibili solo a lui, magari con delle mensole o delle sopraelevazioni che gli rendano più interessante l'ambiente?

Morsi e graffi

Un altro tema ricorrente è quello dei morsi e dei graffi durante il gioco ma, ancora una volta, se la pretesa è che il gatto “non ci faccia male” mentre gioca, la questione è malposta: se un gatto gioca alla lotta, userà la bocca e le unghie, perché i gatti fanno così. Anziché pretendere cose che non gli appartengono, è più efficace mettergli a disposizione giocattoli con cui esprimersi liberamente ed evitare di offrire le nostre mani e i nostri piedi.

Questo elenco potrebbe proseguire all'infinito ma l'invito rimane lo stesso: prima di pretendere un comportamento da parte del gatto, chiediamoci sempre se sarebbe coerente con il suo modo di essere e di percepire il mondo e se possiamo creare le condizioni affinché quel comportamento emerga come scelta spontanea del gatto perché solo così saremo sicuri che entrerà a far parte del suo modo di relazionarsi con noi.

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Sonia Campa
Consulente per la relazione uomo-gatto
Sono diplomata al Master in Etologia degli Animali d'Affezione dell'Università di Pisa, educatrice ed istruttrice cinofila formata in SIUA. Lavoro come consulente della relazione uomo-gatto e uomo-cane con un approccio relazionale e sono autrice del libro "L'insostenibile tenerezza del gatto".
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