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23 Marzo 2022
13:24

A caccia di polpette avvelenate nel Parco delle Foreste Casentinesi con l’esercitazione Chimera

Con l'esercitazione Chimera, sei Unità cinofile antiveleno, provenienti da tutta Italia, hanno eseguito in provincia di Arezzo una simulazione di un controllo a tappeto per lottare contro le polpette avvelenate.

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Una simulazione di un controllo a tappeto per lottare contro le polpette avvelenate. La scorsa settimana sei Uca (le Unità cinofile antiveleno), provenienti da tutta Italia, hanno eseguito (con l’operazione Chimera) sopralluoghi preventivi nei settori Est e Sud della provincia di Arezzo, da Chiusi della Verna fino a Monte San Savino.

L’addestramento ha coinvolto i supervisori del Centro nazionale carabinieri cinofili di Firenze e del Comando carabinieri per La tutela della biodiversità e dei Parchi nazionali. Le unità cinofile hanno operato avvalendosi del supporto della veterinaria dell'area protetta del Parco delle Foreste casentinesi, in stretto raccordo con le stazioni dei carabinieri forestali: del Gruppo Forestali di Arezzo, del reparto Parco nazionale e di quello di Biodiversità di Pieve Santo Stefano. Sono state utilizzate le strutture logistiche del reparto Biodiversità di Pratovecchio.

Come è stata condotta l'esercitazione Chimera? L’obiettivo è stato quello di contrastare il rilascio di bocconi avvelenati, una pratica illegale diffusa per uccidere animali protetti come volpi, tassi, rapaci e lupi, soprattutto nelle zone dove saranno rilasciati gli animali allevati allo scopo di essere cacciati, per difendere gli allevamenti bradi, per ridurre la competizione nella ricerca dei tartufi, o anche, in ambito urbano, per liti tra vicini.  Ma anche molti cani possono essere vittime delle polpette: secondo il progetto Life Pluto se ne stimano circa 500 ogni anno.

«Siamo molto lieti di ospitare nel Parco una Unità cinofila antiveleno, al servizio di un'area estesissima oltre i confini del Parco. Il fenomeno del rilascio di bocconi avvelenati è una pratica molto più diffusa di quanto si possa pensare, in grado di provocare danni importanti alla sopravvivenza di specie animali selvatiche rare di interesse nazionale ed europeo, come l’orso, il lupo, il nibbio reale. Il fenomeno si estende anche agli animali di affezione. Sono utilizzati vari veleni, spesso di origine agricola, insetticidi e rodenticidi. Le sofferenza a cui vanno incontro gli esemplari che ingeriscono le esche sono terribili e la morte arriva solo dopo una dolorosissima agonia», commenta Luca Santini, presidente del Parco.

Negli ultimi tre anni le Unità cinofile antiveleno hanno effettuato in Italia circa 1.800 ispezioni, con un tasso di riscontri positivi tra il 12 ed il 14%. Le unità cinofile vengono attivate con una semplice richiesta da parte delle istituzioni territoriali e di polizia giudiziaria, o anche in seguito alla segnalazione effettuata con il numero di emergenza nazionale 112.

Chi utilizza esche avvelenate incorre spesso in diversi reati: dal 544 bis e ter del codice penale ("uccisione e maltrattamento di animali") all’articolo 674 codice penale ("getto pericoloso di cose") all’articolo 440 del codice penale ("adulterazione di alimenti"), alle norme previste nelle leggi sulla caccia sia a livello nazionale che regionale, fino al mancato rispetto dell’ordinanza del ministero della Salute “Norme sul divieto di utilizzo e di detenzione di esche o di bocconi avvelenati”.

Il progetto europeo Life Pluto ha permesso di creare 6 Unità cinofile antiveleno che operano in 11 Regioni italiane. Ciascuna Uca è composta da due cani, da un conduttore e da altre due unità di personale specializzato. Il Cufa, il Comando unità forestali, ambientali e agroalimentari carabinieri, gestisce tre Uca con sede nel Parco nazionale del Gran Sasso e Monti della Laga, due nell’area alpina, una nel Parco nazionale dell’Appennino Tosco-Emiliano e una in Provincia di Grosseto. Il Cufa ha 13 conduttori e 22 cani di razza Belga Malinois, Labrador e Pastore Tedesco.

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