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24 Dicembre 2021
14:27

Un elogio natalizio (e un appello) per il bue e l’asinello

In ogni presepe che si rispetti non possono mancare il bue e l'asinello. Ma quanto gli è costato assistere alla nascita di cristo e ad accompagnare l'uomo nel lungo cammino della civiltà, e cosa possiamo fare per ripagarli?

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Nell'antica tradizione italiana del presepe non mancano di certo le raffigurazioni animali. Agnelli, capre, galli, cavalli, cani e dromedari sono solo alcune delle specie che accompagnano le statuette umane nel celebrare la nascita di Cristo, ci sono però due figure animali – per certi versi essenziali – che non possono davvero mai mancare: il bue e l'asinello.

Compito fondamentale dei due ungulati è quello di tener calda la mangiatoia in cui dorme Gesù bambino e per questo ricoprono un posto d'onore accanto al Cristo.

Anche se qualcuno considera una bufala (altro ungulato) la presenza dei due animali, che sarebbero stati completamente inventati da San Francesco nel 1223, il loro significato teologico è molto forte per i cristiani.

Gli animali, ancor prima della maggior parte degli uomini, sarebbero stati i primi a far compagnia a un Dio nascente che la maggior parte delle persone nemmeno riconosceva. In un certo senso quindi sono stati i primi testimoni (assieme a Maria e San Giuseppe) a fidarsi e ad assistere alla nascita di Cristo.

Un posto d'onore anche accanto alla nascita della civiltà

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Asino e bue hanno visto da vicino la rivoluzione neolitica che ci ha portati qui

Volendo provare a fare un parallelismo con la nascita delle prime vere civiltà umane, in quanto animali domestici il bue e l'asinello sono stati anche tra i primi a vedere coi loro occhi e a partecipare attivamente alla rivoluzione neolitica, punto di svolta nella storia culturale e sociale della nostra specie e che ci ha permesso di lasciare la vita nomade a favore di quella sedentaria.

Il bue e l'asinello meritano quindi un posto d'onore non solo nel presepe ma tra le statuine di tutta la storia dell'umanità. Anche perché gli è costato non poco essere domesticati assieme a tanti altri animali. Ma andiamo con ordine e ripercorriamo il percorso che ha portato il bue e l'asinello a finire nei presepi di tutti gli italiani.

Da dove viene il bue?

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L’uro è uno degli animali più raffigurati nelle pitture ruprestri

Con tutta probabilità il bovino è stato il primo dei due a essere domesticato dal suo antenato selvatico: l'uro (Bos pimigenius). Prove archeologiche e basate sull'analisi del DNA suggeriscono che la domesticazione sia avvenuta in maniera indipendente almeno due volte durante la rivoluzione neolitica, più o meno tra 8mila e 10 mila anni fa. Una sarebbe avvenuta nel subcontinente indiano, e ha dato origine agli zebù, le vacche indiane con la gobba considerate sacre e che oggi vengono allevate in buona parte dei paesi tropicali di Asia e India.

L'altro evento di domesticazione è avvenuto invece parallelamente nel Vicino Oriente, e ha portato invece a tutte le altre razze di bovini domestici che conosciamo oggi. Secondo quanto sostiene uno studio interessante basato sul DNA mitocondriale praticamente tutti i bovini domestici attuali discendono solamente da un gruppo di 80 femmine di uro, addomesticate inizialmente in Mesopotamia circa 10.500 anni fa.

Essere stato selezionato dall'uomo per accompagnarlo lungo la strada della storia umana è costato non poco ai bovini. Il progenitore selvatico del bue, l'uro, si è infatti estinto per sempre proprio a causa nostra. L‘ultimo esemplare in natura di cui si hanno notizie, una femmina, morì per cause naturali nella foresta di Jaktorów, in Polonia, nel 1627.

Da dove viene l'asinello?

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Uno degli ultimi asini africani selvatici

Leggermente più recente è invece la storia della domesticazione dell'equino. L'asino che accompagna l'uomo da oltre 5000 anni dovrebbe essere stato domesticato per la prima volta intorno al 3000 a.C., probabilmente in Egitto o in Mesopotamia. A differenza dell'uro, però, il suo progenitore selvatico, l'asino africano (Equus africanus) è ancora vivo e vegeto, anche se forse lo sarà ancora per poco.

L'asino selvatico africano è infatti una delle specie a maggiore rischio estinzione al mondo, sopravvive con appena qualche decina di esemplari (forse meno di 100) nei deserti e in altre zone aride del Corno d'Africa, tra Eritrea, Etiopia e Somalia. La IUCN lo considera In pericolo critico di estinzione a causa della caccia per scopi alimentari e medicinali associato alla sempre più pesante siccità.

Per un triste gioco del destino quindi i due animali simbolo della natalità hanno perso, o rischiano di perdere per sempre, le loro vere origini selvatiche proprio per mano di chi li ha scelti come simbolo di fiducia e usati per millenni come animali da lavoro.

Se volessimo provare davvero a ripagarli e ad avere un minimo di riconoscenza verso chi ha accolto per primo Cristo e ha contribuito allo sviluppo dell'umanità come la conosciamo, dovremmo quanto meno provare a evitare che l'asino selvatico e tutte le altre specie animali del nostro Pianeta scompaiano per sempre. Il loro vero posto è accanto all'uomo nel grande e meraviglioso presepe della biodiversità.

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Salvatore Ferraro
Redattore
Naturalista e ornitologo di formazione, sin da bambino, prima ancora di imparare a leggere e scrivere, il mio più grande sogno è sempre stato quello di conoscere tutto sugli animali e il loro comportamento. Col tempo mi sono specializzato nello studio degli uccelli sul campo e, parallelamente, nell'educazione ambientale. Alla base del mio interesse per le scienze naturali, oltre a una profonda e sincera vocazione, c'è la voglia di mettere a disposizione quello che ho imparato, provando a comunicare e a trasmettere i valori in cui credo e per i quali combatto ogni giorno: la conservazione della natura e la salvaguardia del nostro Pianeta e di chiunque vi abiti.
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