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28 Giugno 2022
12:05

Raffaele La Capria e gli animali, tra amore e metafora letteraria

Oggi a Roma si terranno i funerali di Raffaele La Capria. Attraverso il racconto degli animali, dal cane Guappo alla spigola di "Ferito a morte", lo scrittore napoletano ha raccontato un mondo "altro" di cui l'essere umano non è padrone.

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La Capria Gatto
Raffaele La Capria con uno dei suoi gatti

«Vi sono certe mattine di sabato in cui esco insieme con il cane e andiamo a passeggio, a comprare il giornale, in cui Roma sfolgora, e si sente che è stata costruita da gente che pensava in grande». Sono queste le parole d'amore che lo scrittore Raffaele La Capria ha dedicato a Roma, la città «sfolgorante» in cui è morto il 27 giugno del 2022, all'età di 99 anni.

Ed è sempre a Roma che oggi, 28 giugno, si terranno i funerali nella Chiesa di Sant'Ignazio. La Capria però non è uno scrittore romano, la sua storia artistica e personale lo vincola indissolubilmente al pantheon degli autori napoletani, coloro che attraverso il racconto della città da sventrare hanno raccontato la povertà e la malinconia dell'umanità intera.

Per fare ciò, La Capria attinge da Napoli luce e paesaggi che contrastano con la malinconia dei suoi protagonisti, talvolta derisi dalla città azzurra, da Capri, da Positano, e dagli animali che ne popolano il mare e la terra. Gli animali nella narrativa di La Capria non sono oggetti di scena, sono entità vive e indipendenti, slegate dal dominio dell'uomo. Come la città, questi osservano e vivono a prescindere dalle prosaiche vicende quotidiane di Massimo e degli altri personaggi.

«La spigola passa lenta, come se lui non ci fosse, quasi potrebbe toccarla, e scompare in una zona d'ombra, nel buio degli scogli. Adesso sta inseguendo la Grande Occasione Mancata», scriveva in "Ferito a morte", il libro che nel 1961 sancì il suo successo consegnandogli la vittoria al Premio Strega.

Gli animali nel bestiario di La Capria non sono solo entità altre di un mondo che solo incidentalmente è anche il nostro. Cani, uccelli e altri entrano davvero in relazione con le persone e con La Capria stesso, il quale più volte ha attinto dalle sue vicende personali per i suoi racconti.

Tra questi emerge il cane Guappo, termine che in napoletano può essere tradotto approssimativamente con "spaccone", una benevola presa in giro per il cane che perse un occhio nello scontro per una femmina contro un guappo vero. Ne "L'estro quotidiano" La Capria si sofferma sul loro rapporto, sull'ammirazione di quanti a Capri vedendolo girare per la Piazzetta lo chiamavano "Guappetto" e restavano ammirati dal suo fiuto, e dai suoi modi gentili.

La capria guappo
La copertina dell’edizione pubblicata dall’editore partenopeo Marotta e Cafiero

Lo scrittore racconta della sua ultima passeggiata con Guappo verso il veterinario e l'iniezione letale. Durante la passeggiata ripercorre la malattia contratta dal cane, la leishmaniosi, e gli ultimi giorni insieme: «L'ho curato in tutti i modi, ho imparato a fargli la flebo […] e gli ho fatto l'iniezione di cortisone per alleviare le sue difficoltà respiratorie». Anche se Guappo temeva l'ago e la siringa, nei suoi momenti finali «agitava la coda in segno di riconoscenza. Fino all'ultimo, quando l'ho accarezzato prima dell'iniezione letale lui agitava la coda».

I cani sono individui e lo sa bene La Capria che non può fare a meno di tracciare una differenza caratteriale, a cui ne consegue una sentimentale, tra la dispettosa e mordace Bassotta Clementina, amata, certo, ma non quanto il «can' ‘e munnezza» Guappo: «Com'era umile e poco guappo il mio Guappo! E come l'ho amato per la sua umiltà! Come la cosa più preziosa della Terra. Solo lui me l'ha mostrata in modo tale da farmi capire la frase del Vangelo: gli ultimi saranno i primi».

Lo scrittore e l'uomo si sovrappongono, a volte e senza l'intenzione dell'autore, e il rapporto di La Capria per gli animali oltre a essere un genuino racconto d'amore è anche espediente letterario per i testi più autobiografici. L'animale diventa metafora per raccontare un genitore distante e quasi evanescente: «Mio padre non era cadente, le sue guance non erano flosce, ma aveva assunto la fragilità di un uccellino, come se le sue ossa, il suo scheletro, si fossero assottigliate».

Ben lungi dall'essere sintomo di mera debolezza, anche qui l'immagine dell'animale è spia di un'alterità che corre su binari paralleli ma non sovrapponibili a quelli del resto della famiglia: «La presenza di mio padre in casa, ricordo, non era soltanto discreta, era quasi del tutto inavvertita […]. Verso le sette di sera cominciava la sua vera vita al Circolo Nautico, che durava al tavolo da gioco fino alle ore piccole della notte».

La Capria si stabilì nella Capitale sull'onda dello straordinario successo come sceneggiatore, quando l'Italia era il fulcro del cinema d'autore nel Novecento. Una scelta inevitabile, ma forse non priva di amarezza per lo scrittore che nel 2003 scriveva: «Mio padre è morto a Roma a ottant'anni […]. Vivere lontano da Napoli e da Palazzo donn'Anna era il suo cruccio, è morto per questo».

Al termine della vita, un ricongiungimento e una sovrapposizione torna possibile, come spiegava La Capria in un testo dal titolo rivelatore "A cuore aperto": «Quale è il senso di questa strana avventura, dell'insondabile perché, uomini animali e piante, legati dalla stessa sorte di nascita e morte, sono stati gettati su questa terra?».

A fare la differenza, tra uomini, animali e piante è la prospettiva, poiché mentre lo scrittore si interroga, uno dei suoi amati gatti gli fa le fusa, immerso nella sua «pura esistenza», dove nessun mistero lo turba, e «soprattutto non si fa domande».

Giornalista per formazione e attivista per indole. Lavoro da sempre nella comunicazione digitale con incursioni nel mondo della carta stampata, dove mi sono occupata regolarmente di salute ambientale e innovazione. Leggo molto, possibilmente all’aria aperta, e appena posso mi cimento in percorsi di trekking nella natura. Nella filosofia di Kodami ho ritrovato i miei valori e un approccio consapevole ma agile ai problemi del mondo.
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