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20 Gennaio 2022
11:43

Peste suina, in Liguria boschi “semi blindati”: la gestione dell’emergenza tra caos normativo e “lockdown”

Da Genova e provincia si alza la protesta dei cittadini dopo la decisione di blindare i boschi dell'entroterra per contenere i casi di peste suina tra i cinghiali. Il presidente della Regione Giovanni Toti firma un'ordinanza che consente di usare le strade asfaltate.

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A cinque giorni dall’ordinanza ministeriale che ha “blindato” gran parte dei boschi di Genova e della provincia al confine con il Piemonte per alcuni casi di peste suina, dalla Liguria arrivano segnali di parziale riapertura del territorio. Con una nuova ordinanza del presidente della Regione, Giovanni Toti, è stato infatti confermato il divieto totale di passeggiare o andare in bici nei boschi, ma è possibile utilizzare liberamente tutte le strade asfaltate presenti nella “zona rossa” e raggiungere così strutture ricettive, luoghi di lavoro, terreni agricoli e abitazioni.

Abbattimento dei suini negli allevamenti bradi o semibradi

L’ordinanza dispone inoltre l’immediata uccisione dei suini negli allevamenti bradi o semibradi, con divieto di ripopolamento per 6 mesi, e l’abbattimento di maiali e cinghiali negli allevamenti familiari per autoconsumo. Le disposizioni arrivano, come detto, a qualche giorno dal “lockdown” totale imposto con le prime conferme di casi di peste suina tra la popolazione di cinghiali che abita i boschi al confine tra Liguria e Piemonte.

Un provvedimento emergenziale che durerebbe, salvo modifiche, 6 mesi, e che ha scatenato le proteste di moltissimi liguri, non solo privati cittadini impossibilitati a passeggiare all’aria aperta e a percorrere i sentieri, ma anche i titolari delle numerose attività economiche che sul trekking, le escursioni nella natura e le gite fuori porta basano la loro sopravvivenza. E dunque agriturismi, rifugi, fattori didattiche, società che organizzano uscite nei boschi.

"No al lockdown nei boschi liguri", la protesta parte da Genova

Proprio un gruppo di cittadini liguri, con il supporto della pagina Facebook “Angeli col fango sulle magliette”, nata a Genova nel 2011 come risposta popolare all'emergenza alluvionale, hanno deciso di lanciare sui social l’iniziativa “No al lockdown nei boschi liguri”, accompagnata da un mail bombing verso il Comune di Genova, Regione Liguria, Ministero della Sanità e Ministero delle Politiche Agricole.

«Le cittadine e cittadini liguri sono sgomenti e indignati di fronte all'ordinanza ministeriale sul contenimento della peste suina, che si configura come l'ennesimo provvedimento restrittivo calato dall'alto che colpisce questa volta i nostri boschi, compromettendo il diritto al movimento e alla libera circolazione ed imponendo di fatto un vero e proprio lockdown di sei mesi nell’entroterra ligure – si legge nella lettera aperta diffusa tramite i social – Sono decenni che i cinghiali razzolano in quantità nel nostro territorio, aumentando sempre di più anche in città. Le varie amministrazioni non sono state capaci di contenerli, demandando la responsabilità ai cacciatori, invece che approntare, per esempio ma non solo, una caccia di selezione. Adesso, invece di proteggere gli allevamenti di suini, sanificando adeguatamente in modo sicuro tutti gli accessi, le stesse istituzioni vorrebbero chiudere le persone fuori dai boschi, come se questa ulteriore e illegittima privazione di libertà e diritti fondamentali potesse in qualche modo arginare il movimento di cinghiali e dei selvatici tutti, che anzi si muoveranno ancora meglio perché indisturbati».

Le proteste riguardano anche il modo in cui è stata data notizia dei provvedimenti, e le modalità di informazione dei cittadini: comunicazioni «incomplete e contraddittorie che, ancora una volta, inducono il terrore della malattia nelle persone già fragili e terrorizzate da due anni di pandemia», sottolineano ancora i firmatari della lettera e della conseguente petizione. Che hanno espresso perplessità sull’utilità di un provvedimento di questo genere, visto che la peste suina, effettivamente molto contagiosa e in molti casi letale per i suini, si diffonde appunto tra i suini e non rappresenta un pericolo per gli esseri umani e per gli altri animali.

La questione principale riguarda ovviamente la trasmissione della malattia tra cinghiali a maiali con il rischio di uscita dai confini regionali e conseguenze che potrebbero rivelarsi pesantissime se il virus approdasse negli allevamenti. D’altro canto proprio negli allevamenti sarebbe più semplice circoscriverlo: in casi come questi scattano chiusura e abbattimenti circoscritti, una misura che non può essere applicata ai boschi, dove i cinghiali circolano liberamente e dove sono ormai in numero molto elevato.

Peste suina, 15 i casi accertati

A oggi sono 15 i cinghiali deceduti risultati positivi alla peste suina, 3 dei quali trovati in Liguria, tra Ronco Scrivia e Isola del Cantone. I restanti sono stati individuati nei boschi del Piemonte, e in questi giorni  il nucleo regionale di vigilanza faunistico ambientale sta già effettuando battute nei boschi in cerca di altri animali che potrebbero essere stati contagiati. L’obiettivo è fornire al governo dati confortanti per poter restringere l’area della zona rossa, ma farlo richiede tempo, e nel frattempo l’accesso ai boschi resta negato, quantomeno per quanto riguarda i sentieri non asfaltati.

Attività economiche in ginocchio

«Le misure, così come descritte finora, restano incomprensibili e sproporzionate – sottolineano ancora i firmatari della petizione contro il lockdown boschivo – L'unico obiettivo che orienta queste decisioni sembra essere quello di salvaguardare l'economia che riguarda il mercato della carne suina, a discapito del diritto al lavoro di chi di boschi "vive" (strutture ricettive, ristorazione, attività escursionistiche, guide ambientali, eccetera) e al tempo libero di centinaia di migliaia di persone, liguri e non solo, che frequentano abitualmente i boschi della nostra regione. Non è sufficiente ragionare in termini di deroghe e soluzioni di compromesso: la politica ha il dovere di trovare strade alternative alla chiusura, sensate, giuste e sostenibili per tutte e tutti. Il divieto di accesso ai boschi va rimosso talmente e va ripristinato immediatamente il nostro diritto di godere della natura come cittadini e come esseri umani».

Alla protesta si sono uniti agricoltori e imprenditori che hanno aperto attività ricettive in mezzo alla natura: l’Associazione Albergatori e Ristoratori delle Valli Borbera e Spinti, per esempi, ha parlato di una «condanna a morte», di «un’ennesima tegola sui nostri territori, sul nostro lavoro, sulle nostre vite. Con enorme fatica ci stavamo rialzando, stavamo tornando a reggerci sulle nostre gambe ed ora, sempre a causa di decisioni incomprensibili, siamo stati azzoppati, ancora e di nuovo – scrive il presidente Michele Negruzzo – Decisioni che dimostrano, se ancora ce ne fosse bisogno, di quanto una certa maniera di fare politica sia lontana dalla realtà che ognuno di noi vive quotidianamente sulla propria pelle. Di fatto siamo ripiombati, per sei mesi in zona rossa, è stato decretato un nuovo lockdown, questa volta insensato».

In Liguria Toti ha già annunciato che la giunta approverà una delibera per stanziare le prime somme per i ristori per le categorie coinvolte, e che i ministri della Salute Speranza e delle Politiche agricole Patuanelli presto costituiranno un tavolo politico per discutere dei contorni della gestione della crisi e dei ristori.

«Il virus potrebbe arrivare dalla Georgia»

Il virus intanto è ancora in fase di sequenziamento, ma secondo Roberto Moschi, responsabile Veterinaria di Alisa, «sembra che arrivi dalla Georgia. Stiamo lavorando su due fronti paralleli – ha spiegato – da un lato la ricerca di cadaveri nel bosco, per cui poi vedremo i risultati delle analisi, e, dall’altro, la gestione degli allevamenti domestici: in accordo con l’Istituto zooprofilattico, facendo un’analisi dei rischi, abbiamo deciso l’abbattimento, considerato che i nostri allevamenti sono tutti semibradi, con i maiali lasciati liberi, a contatto con l’area boschiva. Oggi procederemo a verificare il censimento dei capi nell’area interdetta, circa 500, che saranno abbattuti. Per quanto riguarda le carni, l’ordinanza nazionale prescrive il divieto di uscita dalla zona infetta, quindi non hanno mercato».

Il direttore dell’Istituto Zooprofilattico di Liguria Piemonte e Valle d’Aosta, Angelo Ferrari, ha precisato che della diagnostica dovrà occuparsi direttamente l’Izs, senza bisogno della conferma del centro di referenza per i casi in zona infetta: «L’obiettivo è quello di accelerare il più possibile la rapidità delle analisi, limitando quindi il focolaio – ha chiarito – Anche la scelta dell’abbattimento nasce dall’esigenza di creare un “vuoto sanitario” per evitare in ogni modo il passaggio della peste dai capi selvatici o semibradi ai capi negli allevamenti».

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Andrea Barsanti
Giornalista
Sono nata in Liguria nel 1984, da qualche anno vivo a Roma. Giornalista dal 2012, grazie a Kodami l'amore per gli animali è diventato un lavoro attraverso cui provo a fare la differenza. A ricordarmelo anche Supplì, il gatto con cui condivido la vita. Nel tempo libero tanti libri, qualche viaggio e una continua scoperta di ciò che mi circonda.
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