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9 Febbraio 2024
16:24

Oche da guardia al posto dei cani: l’esperimento in un carcere in Brasile

La direzione dell'istituto penitenziario di Sao Pedro de Alcantara, in Brasile, ha deciso di fare un esperimento per la sorveglianza dei propri confini: ha sostituito dei cani da guardia con delle oche. Una scelta che affonda le radici in una storia antichissima di questi pennuti che protessero anche l'antica Roma.

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Membro del comitato scientifico di Kodami
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In un carcere in Brasile la direzione ha deciso di fare un esperimento per la sorveglianza dei propri confini. Si tratta dell'istituto penitenziario di Sao Pedro de Alcantara che, durante il periodo natalizio, ha sostituito dei cani da guardia delle mura di cinta con delle oche. Ovviamente la notizia ha fatto il giro del mondo e molti hanno espresso perplessità in merito, chiedendosi dell’effettiva efficacia di questi guardiani piumati.

Marcos Roberto de Souza, direttore del carcere, interpellato dalla stampa in merito ha spiegato che le caratteristiche comportamentali di questi animali, e il loro basso costo di mantenimento, rappresentano dei vantaggi nel monitoraggio della sicurezza delle mura e che quindi, a suo dire, valga la pena di sperimentare.

Non abbiamo indicazioni specifiche in merito, ma le oche in questione è probabile che siano oche domestiche comuni. Le razze che vengono indicate come le migliori per assolvere a questa funzione da guardia sono: l’Oca Romana Ciuffata (Tufted Roman) o Oca Italiana, l’Oca di Pomerania (Saddleback Pomeranian) e l’Oca Africana che, a discapito del nome, pare essere in realtà una variante dell’Oca Cignoide della Guinea o Oca Cinese. Quest’ultima razza è nota per essere particolarmente rumorosa, rendendola molto efficace nel segnalare la presenza di intrusi o cambiamenti nell’ambiente. Questa caratteristica ha fatto guadagnare a questa razza di oche il nome di "Oca Trombetta".

Le oche “militari”

L’utilizzo di oche come guardiani non è affatto una pratica moderna, ma piuttosto una tradizione che si estende a diversi contesti storici e geografici, dimostrando la loro efficacia come animali da guardia in varie circostanze. La storia delle oche come guardiani affonda le radici nell’antica Roma, dove sono state celebrate per aver salvato il Campidoglio dall’invasione dei Galli nel 390 a.C., come riportato dallo storico Tito Livio.

Sono anche ricordate dal filosofo naturalista Plinio il Vecchio per la loro vigilanza durante l’assalto notturno dei Galli, suggerendo che il loro allarme ha permesso ai Romani di respingere gli invasori, mentre le sentinelle e i loro cani non si erano accorti di nulla. Questo episodio ha portato le oche a essere considerate sacre e protettrici dello stato romano.

A tal proposito Tito Livio (59 a.C. – 17 d.C.) scrisse nel resoconto che narra dei ripetuti tentativi dei Galli, guidati dal condottiero Brenno, capo della tribù celtica dei Senoni, di espugnare il Colle del Campidoglio:

“[i Galli] giunsero alla sommità in tanto silenzio da non solo ingannare i custodi, ma da non svegliare neppure i cani, animale attento agli schiamazzi notturni. Non ingannarono le oche, dalle quali, sacre a Giunone, nell’estrema mancanza di cibo tuttavia ci si asteneva. E questo fatto fu motivo di salvezza…”

Oche da guardia nel mondo

Oltre allo storico fatto del Campidoglio, le oche sono state utilizzate in altre epoche storiche e in vari contesti per la protezione di beni e comunità. Ad esempio, sono state “assoldate” per garantire la sicurezza delle installazioni del Comando di Difesa Aerea Americano in Germania, ispirandosi all’esperienza della distilleria Ballantine in Scozia che dal 1959 teneva questi animali come guardiani, e persino delle Stazioni di Polizia nella provincia dello Xinjiang, in Cina.

Durante la pandemia di COVID-19, circa 500 oche sono state schierate per pattugliare il confine di Chongzuo, lungo 533 km, tra Cina e Vietnam, per aumentare la sicurezza con la loro aggressività, a volte anche superiore a quella dei cani.

Guardiani che non dormono mai… o quasi

Tra le caratteristiche di questi animali oltre al fatto di avere un udito molto raffinato, un olfatto eccellente e una vista più acuta sia di quella dei cani che degli esseri umani (sono persino equipaggiate per vedere gli ultravioletti), essendo uccelli migratori hanno anche un’altra dote che li rende insuperabili in questo ruolo: non dormono mai. O meglio: possono addormentarsi con metà cervello alla volta, lasciando l’altra metà attiva e vigile. Caratteristica che consente a questi animali di riposare in volo, senza dover fare tappe che le costringerebbero ad atterrare di frequente.

Questi animali sono estremamente territoriali e pattugliano assiduamente i loro luoghi di nidificazione, ma sono anche in grado di riconoscere gli individui noti da quelli ignoti e potenzialmente pericolosi, proprio come farebbero i cani.

Sentinelle inafferrabili

Fu durante la Guerra Fredda che l’esercito americano si accorse del potenziale delle oche come guardiane, e nel 1986 decise di collocare circa 900 di questi anatidi in posizioni strategiche in tutto il Vecchio Continente.

In un sito di storia militare americana si legge, in un pezzo a loro dedicato, con una certa ironia:

“Niente rovinerebbe una missione segreta di sabotaggio sovietica come imbattersi in una guardia che non può essere raggiunta, catturata o addirittura gestita. Niente rovinerebbe l’atmosfera (o la missione) di un film di James Bond se 007 dovesse inseguire un’oca rumorosa e strombazzante mentre corre sbattendo le ali. Potrebbe anche bastare un’oca arrabbiata per neutralizzare le spie sovietiche.”

L’aggressività dell’oca

Se per caso pensaste che l’aggressività di un’oca furibonda sia cosa da poco, beh, vi sbagliate. Infatti oltre al chiasso e alla loro imprendibilità hanno anche un certo potenziale offensivo. Un oca adulta di dimensioni medie può pesare fino a 5,5 kg e accelerare fino a 96 km/h quando si sente minacciata, colpendo con sufficiente forza da poter atterrare un uomo adulto.

E probabilmente è proprio a fronte di questa potenzialità che ci fu il primo caso di risarcimento per “infortunio sul lavoro” nello stato dell’Illinois a coinvolgere la fauna selvatica. Si tratta della vicenda che vide coinvolto il signor Nolan Lett, di 57 anni, che lavorava per la divisione catering della Aramark Corp. a Oak Brook nel 1998. Lett si stava recando al lavoro quando si è imbattuto in due oche (questa volta oche del Canada) che gli hanno bloccato il passaggio. Nel tentativo di evitare un’ulteriore oca alquanto aggressiva che gli volò verso il viso, Lett cadde, fratturandosi il polso. L’uomo fu poi risarcito nel 2001 con 17,767.54 dollari.

Ovviamente l’aggressione di un’oca è evitabile se non si ignorano i suoi segnali molto eloquenti e i danni che può causare sono comunque limitati: non è in grado di spezzare un osso in modo diretto, come invece potrebbe ben fare un cane da guardia per esempio. Lo sfortunato signor Lett, in realtà, si dev'essere spaventato parecchio e il polso se l'è rotto rovinando a terra in malo modo non certo perché l'oca, seppure la specie del Canada possa mordere con forza.

Cosa non fare quando si incontra un'oca

La notizia dell’istituto penitenziario brasiliano che decide di adottare oche come guardiani delle sue mura è certamente una curiosità che ci ha dato occasione di raccontare alcune caratteristiche di questi splendidi animali che normalmente non rientrano nel nostro immaginario come temibili guardiani.

Abbiamo visto come nella storia l’uomo sia stato abile nello sfruttare tali caratteristiche a suo vantaggio in più contesti, come spesso accade, ma in realtà ci sono altre riflessioni che potrebbero esserci utili. Conoscere le caratteristiche di questi anatidi ci permette anche di evitare di fare spiacevoli esperienze.

Abbiamo compreso che sono particolarmente irritabili soprattutto quando sono a protezione dei loro territori di nidificazione. La protezione della prole è uno dei moventi più forti in natura per i comportamenti di aggressione, lo sappiamo bene anche noi quando vediamo minacciati i nostri piccoli. Questo ci dovrebbe far riflettere quando lungo i fiumi, nei parchi o nelle campagne, vediamo anatre, oche e cigni riposare placidamente sulle rive.

Evitiamo quindi di andare ad importunarli, magari assecondando la nostra pulsione epimeletica (alle cure) che ci induce a voler dare da mangiare ad ogni animale che vediamo. Avvicinarci a loro potrebbe essere motivo di un’aggressione. Inoltre, giusto a beneficio d’inventario, a questi animali fanno molto male i carboidrati come il pane bianco, e gli zuccheri delle nostre merendine (che tanto bene non fanno nemmeno a noi e ai nostri figli) ma soprattutto è certo che questi animali sanno procurarsi il cibo che gli serve, quello opportuno, per loro conto. Fidatevi dei cartelli che spesso le associazioni ambientaliste affiggono proprio nelle aree dove questi animali si soffermano spesso.

Ma c'è anche un’altra considerazione da fare. Ancora una volta viene da riflettere sul fatto che la nostra invasività erode sempre più spazio vitale alle altre specie animali che tutto hanno per la testa fuorché venire ad aggredire la specie tra le più pericolose del pianeta, cioè noi.

I casi di attacchi di oche, soprattutto selvatiche, che vengono spesso documentati come quello riportato ad esempio poco sopra, dimostrano quanto i confini tra noi e le altre specie siano sempre più labili e talvolta ci raccontino anche di una certa incapacità nell'interpretare il linguaggio degli altri animali, forse causata da una disabitudine all’interazione, che un tempo – probabilmente – era più consueta.

Ecco che allora gli incidenti possono accadere più frequentemente del dovuto. Forse molti sarebbero evitabili. Ma attenzione perché spesso questi fatti vengono ingigantiti e magari usati per influenzare l’opinione pubblica ad avere un occhio più accondiscendente, persino di approvazione, per la caccia sportiva, proposta come soluzione dei problemi che noi stessi causiamo con il nostro comportamento arrogante ed egocentrico.

Un’ultima riflessione va al brano riportato di Tito Livio che ci tiene a dire che quelle oche non venivano mangiate nemmeno nei momenti di carestia, ma solo per il fatto che erano care alla dea Giunone. Sarebbe così bello se quella considerazione di carattere religioso nei confronti di questi animali si fosse poi trasformata in riconoscenza nei secoli a venire, almeno per la città di Roma. Quella notte la storia avrebbe potuto prendere una piega molto diversa per tutti noi, se non fosse stato per il loro starnazzare e sbatter d’ali.

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Luca Spennacchio
Istruttore cinofilo CZ
Ho iniziato come volontario in un canile all’età di 13 anni. Ho studiato i principi dell’approccio cognitivo zooantropologico nel 2002; sono docente presso diverse scuole di formazione e master universitari. Sono autore di diversi saggi.
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