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22 Marzo 2023
13:27

Le specie più diffuse sono quelle che sfruttano la devastazione ambientale causata dall’uomo

Secondo uno studio le specie meglio distribuite sul pianeta Terra sono quelle che hanno colto nel miglior modo le opportunità legate alla distruzione dell'ambiente e al cambiamento del clima.

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Quando solitamente si parla di tutela della biodiversità, siamo involontariamente indotti a pensare che tutte le forme di vita se la passino male, a causa dei cambiamenti climatici e delle attività umane che stanno alterando i diversi ecosistemi. Tuttavia, uno studio pubblicato su Nature communications ha appena dimostrato come esistono un gran numero di specie selvatiche che sembrano aver sfruttato la devastazione ambientale provocata dalla nostra specie, per ottenere ancora più successo ed espandere la loro distribuzione.

Lo studio è stato pubblicato recentemente ed è il frutto della revisione di un enorme set di dati provenienti da oltre 235 pubblicazioni differenti, che prendevano in considerazione la distribuzione di diverse specie, tra cui quelle considerate invasive e quelle a rischio di estinzione. I dati così assemblati coprivano l'arco di circa 90 anni, dunque prendevano in considerazione quasi un intero secolo di interazioni fra le specie e la comunità umana.

Come affermano gli scienziati impegnati nel progetto, che erano guidati da un team dell'Università Martin Lutero di Halle-Wittenberg (MLU) e del Centro tedesco per la ricerca integrativa sulla biodiversità (iDiv) di Lipsia, il lavoro di analisi di questi dati è stato enorme e ha richiesto il contributo di potenti server per incrociare le diverse informazioni relative alle specie presenti nei diversi database, che fra piante e animali ammontavano a 19.000. Solo con il contributo dei computer gli scienziati sono stati in grado quindi di determinare quali specie si sono espanse, quali hanno subito un calo demografico, chi ha rischiato l'estinzione per colpa degli umani e quali specie possedevano popolazioni invece che erano rimaneste invariate.

Al termine di questa prima fase preliminare, gli scienziati hanno confrontato le varie tendenze e le distribuzioni delle specie per capire il modo in cui piante e animali rispondono alle attività umane. Il risultato di questa analisi ha dato parecchie conferme, ma ha fornito anche alcune sorprese, come la conferma che le aree protette possono mitigare alcuni effetti negativi dei cambiamenti climatici legati alla biodiversità e ridurre il declino delle specie di piccole dimensioni. Gli esiti più interessanti però sono legati alla distribuzione delle specie selvatiche che sembrano invece aver tratto vantaggio dalla presenza degli umani.

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Le specie infatti con areali più ampi tendono ad aumentare di numero nel tempo, mentre le specie con areali più piccoli sono sempre più in declino, a causa di una forte riduzione della dimensione dei loro territori. Per fare un esempio, fra le tante specie prese in considerazione dagli scienziati, in uno studio condotto nel nord dell'Australia, alcuni organismi limitati geograficamente come la palma del cavolo rosso (Livistona mariae) hanno perso grandi lotti di terreno rispetto ai primi anni 9o, mentre gli organismi più ampiamente distribuiti, come la radice di freccia polinesiana (Tacca leontopetaloides) e la corteccia di diamante (Triumfetta rhomboidea), hanno aumentato di oltre il 40% l'estensione dei propri areali e sono stati trovati in più siti rispetto al passato.

Questa regola ovviamente non appartiene solo alle piante ed è osservabile anche negli animali. Basta pensare infatti a come diverse specie di meduse abbiano ampliato i loro areali o come alcuni pesci distribuiti solo in alcune regioni oggi rischiano l'estinzione per comprendere che dovunque chi ha maggiore successo appartiene solitamente a una specie generalista che sa sfruttare le opportunità offerte dagli umani e dalle loro attività. Ma perché organismi come le piante infestanti o alcune specie aliene sembrano essere in grado di sfruttare maggiormente tali opportunità?

«Uno dei motivi potrebbe essere che le specie diffuse tendono ad avere un'ampiezza di nicchia più ampia, il che significa che vivono in molti diversi tipi di habitat – ha dichiarato il primo autore dell'articolo, il dottore Wubing Xu – Queste specie possono disperdersi infatti più rapidamente tra i diversi siti e i diversi habitat rispetto alle specie che presentano areali più limitati, e quindi hanno maggiori probabilità di persistere o addirittura di aumentare la propria popolazione, in risposta ai cambiamenti ambientali globali».

Questo da una parte ci permette di comprendere che esistono specie che continueranno a trarre vantaggio dalla presenza umana, reagendo alla distruzione dell'ambiente in maniera quasi positiva e che aumenteranno sempre la loro presenza anche in città, accrescendo la biodiversità urbana. Dall'altra però spesso le specie che hanno maggior successo non sono propriamente quelle che noi vorremmo come "vicini", visto che possono anche interferire con le attività umane. Inoltre, di conseguenza dovremmo impiegare ancora più energie per permettere alla fauna e alla flora in difficoltà di sopravvivere.

«Ricordiamoci che la nostra ricerca ha dimostrato anche che lo stato protetto di alcune specie e di alcuni territori può mitigare la crisi della biodiversità» commentano gli scienziati. Se vogliamo quindi aiutare le specie che sembrano essere in declino, abbiamo a disposizione già dei potenti mezzi che ci permettono di ottenere risultati, che possiamo esprimere con delle semplici regole: (1) dobbiamo istituire un maggior numero di riserve marine e terrestri, (2) permettere che queste aree protette dispongano di una maggiore estensione, (3) dobbiamo attribuire pene più severe per chi caccia animali o venda piante a rischio di estinzione e (4) donare più fondi per sviluppare progetti di conservazione.

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Solo così potremmo garantire una maggiore chance di sopravvivenza a quelle specie (la maggioranza) che nel corso degli ultimi 90 anni sembrano aver perso terreno per colpa dell'espansione antropica e dei cambiamenti del clima. Quale è però oggi la situazione dell'aree protette? Anche in questo caso, lo studio ci può dare una mano e ci permette di capire la gravità della situazione.

Ad oggi, solo il 17% delle aree terrestri e delle acque interne e circa l'8% delle aree marine sono definite come "protette", anche se spesso con livelli di protezione incredibilmente bassi. Confrontando però le tendenze all'interno e all'esterno di queste aree, i ricercatori hanno scoperto che i cambiamenti indotti dalle attività umane provocavano conseguenze meno estreme nelle aree protette terrestri, mentre nelle aree marine protette gli animali e in particolare i coralli sembrano subire molto di più i mutamenti in corso. Per aiutare quindi gli ecosistemi marini, risulta urgente una revisione delle politiche ambientali delle differenti nazioni, così da aumentare l'estensione delle aree soggette al divieto di pesca.

Sono laureato in Scienze Naturali e in Biologia e Biodiversità Ambientale, con due tesi su argomenti ornitologici. Sono un grande appassionato di escursionismo e di scienze e per questo ho deciso di frequentare un master in comunicazione scientifica. La scrittura è la mia più grande passione.
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