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9 Febbraio 2023
13:32

Importante passo in avanti con l’utilizzo del DNA ambientale: aiuta a studiare le specie problematiche

Una nuova tecnica proposta da una equipe giapponese permette di studiare anche le specie più problematiche da tutelare e osservare utilizzando il DNA ambientale.

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Monitorare la presenza e lo stato di salute degli animali è molto difficile, soprattutto quando la specie possiedono dimensioni ridotte e una popolazione molto piccola. Eppure è scopo e lavoro quotidiano di migliaia di biologi conservazionisti far sì che proprio queste specie, a volte tra le più vulnerabili e vicine all'estinzione, vengano studiate attentamente, per aiutarle a superare un potenziale momento di crisi.

Le difficoltà sono comunque all'ordine del giorno e a complicare ulteriormente la situazione c'è anche la necessità in questi casi di effettuare una fine indagine ecologica che non minacci ulteriormente queste specie. Fortunatamente, la moderna biotecnologia è corsa in soccorso dei vari biologi impegnati in progetti di conservazione e monitoraggio della fauna selvatica: dal Giappone è infatti arrivata un'interessante proposta che si è dimostrata utile nei confronti della fauna ittica di acqua dolce. 

Uno studio dello scorso novembre, pubblicato su Landscape and Ecological Engineering, ha infatti dimostrato come l'uso del DNA ambientale (ossia il DNA disperso dalle diverse specie nell’ambiente) possa dimostrarsi utile per studiare anche le popolazioni più criptiche e piccole di un territorio. L'equipe giapponese che ha infatti proposto questa soluzione era interessata nel valutare lo stato di salute del Rhodeus atremius suigensis, un pesce estremamente minacciato che è stato designato già da diversi anni come una delle specie a rischio dal Ministero nazionale dell'Ambiente del Giappone.

In pratica, gli scienziati hanno sviluppato un sistema semi-quantitativo per tracciare R. a. suigensis utilizzando l'analisi del DNA ambientale (eDNA), tramite delle sequenze collegate a una sonda fluorescente che si andava a legare specificatamente per un particolare gene mitocondriale dell'animale liberato in natura.

L'uso della PCR (una tecnica di biologia molecolare) era ovviamene obbligatorio, ma più importante è stato il campionamento dell'acqua e il posizionamento delle trappole per pesci in 48 località diverse, presso un canale agricolo nel bacino del fiume Ashida, nella prefettura di Hiroshima.

Gli scienziati hanno così fatto uno studio statistico sulla relazione esistente tra la presenza di pesci effettivamente catturati (e poi liberati) e la concentrazione di eDNA che è stato possibile estrarre da ognuno delle 48 località, con il risultato che è stata dimostrata la correlazione fra la concentrazione di eDNA e la distribuzione e l'abbondanza di R. a. suigensis.

Questo permette non solo di confermare la validità di questo metodo per studiare animali così complessi, ma induce gli scienziati anche a considerarla molto conveniente rispetto i metodi classici di monitoraggio della fauna ittica.

Campionare infatti l'acqua nelle località che già si conoscono e in cui si è certi è presente la specie interessata, è un gran risparmio di tempo, uomini e risorse rispetto per esempio al metodo della pesca e del rilascio o delle fototrappole subacquee, che il più delle volte danno come esito delle immagini sfocate o di difficile interpretazione.

Ovviamente si ricorda che per svolgere questa tipologie di analisi è necessario quantomeno disporre di una PCR nel proprio laboratorio di ricerca, ma ormai questo strumento è divenuto quasi universale in tutti i laboratori biologici del mondo e permette di ottenere dei risultati soddisfacenti.

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La proposta del team giapponese è solo l'ultima di una lunga nuova serie di miglioramenti che negli ultimi anni hanno cambiato di molto il lavoro dei biologi coinvolti in progetti di monitoraggio. E sempre più importante si sta dimostrando la tecnologia della biologia molecolare, che sempre più spesso è capace di carpire informazioni anche da un ridotte sequenze di DNA ambientale. Noi di Kodami ne avevamo già parlato diverse volte, illustrando alcune nuove applicazioni. Per esempio, nuovi protocolli permettono per esempio di studiare gli elefanti africani senza doverli sedare o di estrarre informazioni utili sulla fauna selvatica anche a partire dalla stessa aria. Che cosa poi dire della possibilità di studiare la foca monaca a partire dal DNA ambientale estratto dal mare?

Le prospettive di questo sistema sono dunque innumerevoli e hanno già dato prova di funzionare in diverse tipologie di habitat, dalle steppe selvagge fino alla savana africana.

Sono laureato in Scienze Naturali e in Biologia e Biodiversità Ambientale, con due tesi su argomenti ornitologici. Sono un grande appassionato di escursionismo e di scienze e per questo ho deciso di frequentare un master in comunicazione scientifica. La scrittura è la mia più grande passione.
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