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Le alluvioni in Emilia-Romagna colpa degli animali? L’esperto: «I problemi sono altri: ridiamo spazio ai fiumi»

Dopo le pesanti alluvioni che hanno colpito l'Emilia-Romagna in molti hanno puntato il dito sulle tane scavate dagli animali negli argini. Ne abbiamo parlato con Giuliano Trentini, ingegnere per l'ambiente e il territorio e vice presidente del Centro Italiano per la Riqualificazione Fluviale.

5 Maggio 2023
17:31
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Intervista a Giuliano Trentini
Ingegnere per l'ambiente e il territorio e vice presidente del CIRF - Centro Italiano per la Riqualificazione Fluviale
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L'Emilia-Romagna è ancora alle prese con le devastanti conseguenze dell'alluvione che ha provocato allagamenti, frane ed esondazioni, soprattutto tra le province di Bologna e Ravenna. Ci sono ancora centinaia di persone sfollate, abitazioni allagate senza elettricità e campi coltivati completamente sommersi dall'acqua esondata. In un clima di totale emergenza, ci si si chiede quali possano essere le cause che hanno portato a tutto ciò e in molti stanno puntando il dito contro le attività di scavo negli argini di alcuni animali, in particolare quelle degli istrici.

Daniele Bassi, sindaco di Massa Lombarda, ha infatti dichiarato che secondo i primi rilievi effettuati dai tecnici, la rottura degli argini del torrente Sillaro, nell'area compresa tra i comuni di Massa Lombarda e Conselice, sembra sia stata causata dalla presenza di tane scavate dagli istrici che avrebbero contribuito a far cedere la barriera.

Per comprendere meglio la portata e il peso che le attività degli animali selvatici hanno davvero sui fenomeni alluvionali, ne abbiamo parlato con Giuliano Trentini, ingegnere per l'ambiente e il territorio e vice presidente del CIRF, il Centro Italiano per la Riqualificazione Fluviale, un gruppo che lavora per favorire la diffusione della cultura della riqualificazione fluviale e delle conoscenze ad essa connesse per promuovere il dibattito sulla gestione più sostenibile e naturale dei corsi d'acqua.

Ingegner Trentini, è corretto dare la colpa agli animali?

«Il problema delle attività di scavo per specie come le nutrie esiste ed è reale, ma prendersela con gli animali così come con i cambiamenti climatici – che renderanno comunque sempre più frequenti eventi estremi come questi – distoglie l'attenzione dal reale problema. La fragilità è intrinseca dei nostri territori e la colpa di tutto ciò, dove per colpa non mi riferisco all'acqua che inonda ma ai danni che ne sono derivati, va ricercata nel modo in cui concepiamo i sistemi fluviali e gestiamo i territori e le nostre attività. Le alluvioni ci saranno sempre, non possiamo di certo eliminarle, ma possiamo ridurre i danni e imparare a conviverci, agendo su noi stessi».

C'è chi propone come possibile soluzione il contenimento di alcuni animali. Ha senso?

«Anche eliminando completamente specie aliene come le nutrie o i gamberi della Louisiana non si eliminerebbe il problema. Ci sono tanti animali autoctoni che scavano tane come appunto istrici, ma anche volpi, tassi. L'hanno sempre fatto e continueranno a farlo, non possiamo di certo eliminarli. Il punto è che l'evento eccezionale fa perdere perdere di vista la vera chiave di lettura su questi fenomeni, che nonostante certi linguaggi che si utilizzano come la messa in sicurezza, è ineliminabile. Non possiamo fare altro che imparare a conviverci, concentrandoci su come il territorio e la società sono strutturate per affrontare eventi del genere».

Qual è quindi il vero problema?

«È il mondo in cui concepiamo e gestiamo i fiumi che ci espone a queste situazioni. Per secoli abbiamo ristretto artificialmente i corsi d'acqua, prima per l'agricoltura poi con l'urbanizzazione selvaggia e questa cosa non può più funzionare. Occorre rendersi conto che non possiamo controllare tutte le variabili di fenomeni così complessi. Gli argini che abbiamo costruito sulle sponde degli alvei possono aiutare ridurre i danni, ma per essere mantenuti hanno bisogno di costi di manutenzione elevatissimi, mentre se scegliessimo una strada alternativa e che tanti altri paesi stanno portano avanti in tutta Europa, i problemi si ridurrebbero considerevolmente».

E qual è questa strada?

«Dare più spazio ai fiumi e allontanarci dalle sponde. Con alvei più naturali e meno artificiali, l'intero sistema fluviale diventa più stabile e resiliente e aiuterebbe limitare di parecchio i danni causati delle alluvioni. Occorre un vero e proprio passaggio concettuale, che in Europa si sta già facendo ma che qui in Italia si fa ancora fatica a capire. C'è differenza tra rischio e pericolo e noi possiamo agire solo sulla probabilità di subire danni. Le alluvioni ci saranno sempre e diventeranno ancora più frequenti per gli effetti della crisi climatica, ma se non ci sono case o fabbriche nelle immediate vicinanze dei fiumi, non c'è alcun rischio. Dobbiamo quindi chiederci, quanto davvero la nostra società o i nostri edifici sono stati progettati per ridurre questi rischi? Le persone che vivono in questi luoghi conoscono realmente i rischi che corrono? Nel 99% dei casi le risposte a queste domande sono sempre negative. Ed è da qui derivano i danni e i morti, perché le nostre società e le persone non sono preparate. Vedono questi eventi come eccezionali, ma non c’è nulla di eccezionale».

E cosa si sta facendo per cambiare questa concezione?

«Esistono ormai da anni soluzioni basate sulla natura che riportano i fiumi a uno stato di elevata naturalità e che aumenta la sicurezza. Un progetto pioniere in questo campo è per esempio Room for the River (Spazio ai fiumi, ndr), un movimento al livello europeo nato nei Paesi Bassi che punta sulla riqualificazione fluviale, sull'ingegneria naturalistica e sulla riduzione delle attività umane nelle vicinanze dei corsi d'acqua. Restituire più spazio ai fiumi e alle dinamiche naturali, riduce i rischi e minimizza considerevolmente persino i costi. Ogni anno vengono spesi centinaia di milioni di euro per la messa in sicurezza, per non parlare dei danni. Quanti interventi di riqualificazione si potrebbero fare con tutti questi soldi? Lasciando fare ai fiumi il lavoro che da sempre fanno lasciandogli spazio, risolveremmo molti più problemi che intervenendo in seguito ad eventi estremi».

E in Italia a che punto siamo?

«In realtà abbiamo alcuni esempi virtuosi anche qui in Italia, la provincia di Bolzano da ormai 25 anni fa continui interventi di rinaturalizzazi0one e allargamento degli alvei, che stanno portando avanti con grandi benefici per tutti. Ci sono poi altri esempi anche nel territorio romagnolo, ma purtroppo son ancora su una scala troppo limitata rispetto alla dimensione a cui si è spinta l'urbanizzazione e l'artificializzazione dei nostri corsi d'acqua. In Italia, purtroppo, per motivi culturali e politici facciamo molta più fatica che altrove».

E come mai siamo così indietro rispetto ad altri paesi?

«Abbiamo ancora una scarsa comprensione collettiva dei fenomeni complessi e poi perché per ridare spazio ai fiumi dobbiamo necessariamente ridurre parte dello spazio dedicato alle attività antropiche. Sono convinto che questa sia la ragione principale, che però esiste anche in tutti gli altri paesi, ovviamente. Solo che altrove hanno saputo affrontarla, perché si sono resi conto della reale portata del problema e dell'immenso valore di questo tipo di interventi, riuscendo così a trovare a livello collettivo e sociale il modo per attuarli. L’unico modo è rinunciare a parte di territorio e ridare spazio ai fiumi, non è di certo il buco scavato dalle nutrie il problema. E se ci sono riusciti nei Paesi Bassi perché non possiamo farlo anche noi? Chi più di loro ha fame di territori vivendo sotto il livello del mare?».

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Salvatore Ferraro
Redattore
Naturalista e ornitologo di formazione, sin da bambino, prima ancora di imparare a leggere e scrivere, il mio più grande sogno è sempre stato quello di conoscere tutto sugli animali e il loro comportamento. Col tempo mi sono specializzato nello studio degli uccelli sul campo e, parallelamente, nell'educazione ambientale. Alla base del mio interesse per le scienze naturali, oltre a una profonda e sincera vocazione, c'è la voglia di mettere a disposizione quello che ho imparato, provando a comunicare e a trasmettere i valori in cui credo e per i quali combatto ogni giorno: la conservazione della natura e la salvaguardia del nostro Pianeta e di chiunque vi abiti.
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