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12 Settembre 2023
15:19

La PETA irrompe alla sfilata di Coach a New York: «Smettetela di vendere la pelle di qualcun altro»

Le sfilate diventano sempre più spesso lo scenario per mettere in atto le proteste animaliste. Proprio come hanno fatto tre attiviste della Peta, interrompendo il defilé di Coach, marchio statunitense di pelletteria di lusso, alla biblioteca pubblica di New York.

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Sulle passerelle della settimana della moda continuano a sfilare pelli e pellicce in barba alle promesse dai brand più in voga di rispettare la scelta etica di non farlo più, annunciate con grande enfasi. Non a caso, infatti, le sfilate diventano sempre più spesso lo scenario per mettere in atto le proteste animaliste, esattamente come hanno fatto tre attiviste della Peta, interrompendo il defilé di Coach, marchio statunitense di pelletteria di lusso, alla biblioteca pubblica di New York.

L’azienda stava presentando la collezione primavera/estate del prossimo anno, quando a un certo punto una delle attiviste è riuscita a salire in passerella ricoperta solo da vernice raffigurante un corpo scuoiato. Quindi altre due l'hanno seguita, una con un cartello e l'altra con il messaggio dipinto direttamente sul petto che diceva: “La pelle di Coach uccide”.

Più tardi, l’Organizzazione per i diritti agli animali, ha pubblicato su X, l’ex Twitter, un post in cui ha spiegato, per quanto non ce ne fosse particolarmente bisogno, l’origine della protesta rivolgendosi direttamente all’azienda produttrice di borse e accessori in pelle. «È ora di smetterla di vendere la pelle di qualcun altro, Coach» ha scritto l’organizzazione sul suo profilo con tanto di video e foto di ciò che era successo, specificando il motivo per cui farlo: «Le mucche uccise per la pelle, vengono scuoiate e smembrate mentre sono ancora coscienti dopo aver subito, senza alcun antidolorifico la castrazione, il taglio della coda e la decornazione».

«Preferirei andare in giro nudo che indossare una pelliccia» è stata una delle campagne più popolari e longeve della PETA, talmente di successo che addirittura venne conclusa nel febbraio 2020, un fatto a dir poco rarissimo. C’è da dire che l'organizzazione animalista ha lottato davvero con grande sforzo per raggiungere lo scopo e i risultati sono stati davvero entusiasmanti, come è evidente dal sempre crescente numero di designer e stilisti che decidono di voltare le spalle alle pellicce.

Ma, per la PETA di certo la battaglia non è finita e la nuova sfida intrapresa oggi ha un obiettivo ancora più alto: rendere inaccettabili anche tutti gli altri materiali di derivazione animale come la lana, la pelle, il piumino, il cashmere e il mohair, che seppur percepiti dai consumatori come moralmente più accettabili, vengono invece ottenuti lo stesso con pratiche crudeli e brutali.

Basti pensare alla spiumata da vive delle oche per le imbottiture dei piumini durante la quale vengono portati via anche pezzi di carne dei poveri volatili che poi vengono ricuciti in fretta e furia solo per contenere le perdite di questi allevamenti lager, un orrore che si ripete da una fino a quattro volte in un solo anno.

E basti pensare alle condizioni in cui vengono allevate le pecore per la loro lana, un materiale che le persone pensa venga ottenuto senza fare del male a nessuno e che, invece di male ne fa, e molto. Alle pecore senz’altro, visto che la maggior parte "a fine produzione" viene trasportata in lunghi viaggi per mare in condizioni di sofferenza indicibile per trovare la morte in un macello. Per non parlare della violenza usata durante la tosatura e della selezione genetica fatta per creare animali a cui la lana cresca tutto l’anno.

Le proteste come quella rivolta a Coach messe in atto dal Gruppo per i diritti degli animali, hanno l’intento di mettere in risalto proprio quanto l’industria del fashion sia impattante sulla natura, insistendo sul fatto che molto spesso le dichiarazioni sull’utilizzo di materiali allevati in modo etico da parte dei brand, in realtà sono fasulle e che le vere fashion victims, le “vittime della moda”, sono solo e soltanto gli animali.

Al momento, non sembra che la macchina della moda abbia intenzione in qualche modo di ascoltare, ma chissà che forse informando maggiormente sulle pratiche terribili utilizzate per realizzare un maglione di morbida lana d’angora o le scarpe da calcio, non succeda che il concetto di moda di sempre più persone non si limiti più ad acquistare ciò che è bello, ma inizi a volare più alto, abbracciando l’etica, la tutela della biodiversità e la sostenibilità in tutti i suoi aspetti.

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Simona Sirianni
Giornalista
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